Choices ||Jegulus/Wolfstar |...

Od __pads

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Tutti commettiamo errori. Ma facciamo anche delle scelte. È importante per James, questa differenza. Ce la me... Více

Introduzione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 42
Capitoli 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52

Capitolo 41

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Od __pads

Note traduttrice: Questo capitolo è così bello che vi piacerà leggere anche la parte di Mary. Ok dai, era una battuta, povera piccola Mary. In realtà lei ci piace, vero? VERO?




Capitolo 41


PARTE I JAMES

Il tempo passò.

James si concentrò sul Quidditch.

Sui suoi esami.

A volte vedeva Regulus - dall'altra parte della Sala Grande, che camminava nel corridoio - si diceva che fossero coincidenze, che non lo stesse cercando. Che non stesse di proposito in giro dove sapeva che ci fossero le lezioni di Regulus o per i corridoi che sapeva che gli piaceva prendere. Non che importasse. Regulus non lo vedeva mai e James non diceva mai niente. Si incrociavano come estranei.

Parlava con Regulus tutto il tempo nella sua testa. Gli parlava di cose stupide che non contavano, o cose che pensava che Regulus avrebbe trovato divertenti. Gli diceva che gli mancava. Che lo amava. Cercò di smetterla ma non ci riusciva, finché alla fine sembrò che ogni suo pensiero facesse parte di una conversazione a senso unico. 

A volte immaginava lo scenario in cui si incontravano o erano costretti a stare insieme durane una punizione, o in un posto in cui non avevano altra scelta che parlare. E per qualche motivo questo cambiava le cose, e improvvisamente Regulus decideva di lasciare Serpeverde e dormire nel letto di James ogni notte e tornare a casa con lui alla fine dell'anno.

A volte odiava un po' Regulus. Ma solo un po'. Solo nei suoi giorni peggiori. Quando stava sveglio la notte e desiderava poter strappare il cuore dal suo fottuto petto.

"Oh, capitano, sbrigati!" Sirius gridò dal piano di sotto. "Farai tardi per la tua maledetta partita!"

"Lo so, lo so!" James stava frugando freneticamente tra le sue cose, cercando i suoi guanti da Quidditch. Pelle di Drago, marroni, resistenti all'acqua e con una presa forte da morire. "Dove cazzo li ho messi," imprecò, aprendo i cassetti del comodino con uno strattone.

Cominciò a lanciare oggetti per terra: la mappa finì sul suo letto, delle vecchie penne tintinnarono mentre le metteva da parte, alcune lettere di sua madre...

"Dove cazzo..." brontolò, ora iniziando davvero a seccarsi. Aprì il secondo cassetto con una forza tale che qualcosa di pesante dal fondo scivolò in avanti, quasi cadendo.

James si bloccò.

Era una scatola di legno, buttata sul fondo del cassetto durante uno dei suoi tanti scatti d'ira negli ultimi mesi.

Per un momento si limitò a fissarla, incapace di muoversi, respirare o pensare. La sua vita era diventata una serie di campi minati. Volti che non riusciva a vedere, parole che non riusciva a sentire e cose che non voleva toccare.

Lentamente, raccolse la scatola, sprofondando sul letto accanto a lui mentre la teneva in grembo. Il mondo si stava improvvisamente rimpicciolendo. Tutto stava diventando tranquillo. Ridotto a nient'altro che una minuscola pallina rossa. James la tirò fuori con cautela, sentendo la magia ronzare tra le sue dita. E lì, quando la girò nel modo giusto—

J&R

La vista delle loro iniziali intrecciate gli trasmise una sensazione così dolorosa nel petto che James si lamentò davvero, le dita si strinsero più forte attorno alla palla.

Fanculo.

Questo non era ciò di cui aveva bisogno.

Non adesso.

Non prima dell'ultima partita di Quidditch dell'anno.

Non prima di doverlo affrontare in campo.

"JAMES!" Sirius urlò, abbastanza forte che la McGranitt probabilmente lo aveva sentito dal suo ufficio. "I tuoi maledetti genitori ci stanno aspettando!"

"A-" la sua voce uscì strozzata e soffocata e dovette fermarsi, schiarendosi la gola. "Arrivo!" riuscì a dire al secondo tentativo. Rigettò la scatola nel cassetto, sbattendolo. A volte era come se diventasse così triste che si arrabbiava. Come se volesse solo rompere tutto. Non si era mai sentito così prima, non era mai stato il tipo che prendeva a pugni i muri.

Era spaventoso ad essere onesto.

Non era sicuro da dove provenisse.

O come gestirlo.

Sapeva che Sirius l'aveva notato. Remus. Peter. Sapeva che spaventava anche loro.

James chiuse gli occhi, espirando, cercando di calmarsi. Non poteva perdere la testa in quel momento, c'erano delle persone che contavano su di lui. I suoi genitori erano venuti fin lì per vederlo, per l'amor del cielo. Provò a contare, aiutava a volte.

Sentì il rumore dei piedi sulle scale e si alzò rapidamente, infilandosi le mani nelle tasche per nascondere il fatto che tremassero. Un secondo dopo, Sirius varcò la porta, era vestito con la sciarpa della sua casa e una maglietta con una testa di leone che James era quasi certo di aver ricevuto da Euphemia per Natale.

"Hey amico?" fu tutto ciò che disse.

"Sì, scusa, non riesco a trovare i miei fottuti guanti."

Gli occhi di Sirius si abbassarono sul massacro che era diventata la loro stanza. "Stai davvero facendo a pezzi questo posto eh?" non sembrava infastidito, ma poi, la pulizia non era mai stata la priorità numero uno di Sirius.

"Scusa" disse comunque James, perché la sua mente si stava muovendo solo un po' troppo lentamente in quel momento.

"Non scusarti con me amico, scusati con Moony piuttosto, potrebbe volere la tua testa su un piatto per quello che hai combinato"

"Gli comprerò della cioccolata per rimediare. Dai, andiamo."

Sirius lanciò a James uno sguardo curioso mentre lo guardava farsi strada attraverso il percorso ad ostacoli che era diventata la loro stanza.

"I tuoi guanti?" chiese Sirius, ma James gli fece cenno di allontanarsi spingendolo attraverso la porta.

"Fanculo. Non ho bisogno di quei guanti per schiacciare Serpeverde".

Sirius rise, gettando il braccio intorno alle spalle di James mentre si facevano  strada nella sala comune. "Questo è lo spirito giusto!"



Fu una bella partita

Una delle preferite di James.

La posta in gioco era troppo alta perché Serpeverde potesse fare schifo come facevano normalmente. I colpi erano aggressivi ma non illegali, le giocate si avvicinavano di poco a quelle sleali, ma non superavano mai quella linea sottile. Erano sempre al limite.

Ma lo era anche James.

Il punteggio era pari, nessuna squadra andava più avanti di un gol rispetto all'altra. James dovette ammettere anche se odiava farlo, che i Cacciatori di Serpeverde sapevano cosa stavano facendo.

"Macdonald!" gridò James, immergendosi sotto un Serpeverde mentre altri due si avvicinavano.

 Non ebbe tempo per controllare che fosse in posizione, dovette solo sperare e lanciò la Pluffa sopra la sua spalla e facendo un tuffo profondo per evitare il Bolide che gli era stato sparato da sinistra. A giudicare dagli applausi che risuonarono tra le tribune di Grifondoro, la Pluffa trovò il suo obiettivo.

James tornò in carreggiata, accelerando verso i cerchi di Serpeverde, raggiungendo Mary che stava schivando la squadra avversaria a destra e a sinistra. I loro occhi si fissarono solo per un secondo, ma fu tutto ciò di cui James aveva bisogno per sapere cosa stava arrivando. La pluffa tornò da lui, sorprendendo i Serpeverde che non si erano resi conto che era arrivato. La pelle ruvida della Pluffa sfregò contro le sue mani nude mentre si agganciava e accelerava verso la porta con un leggero vantaggio.

"Stai per soffocare Potter!" gridò il portiere Serpeverde. Ma James sorrise soltanto.

Ci pensò per non più di un secondo, gli occhi rimbalzarono su ogni angolo vuoto e poi di nuovo sul portiere. James sapeva da che parte si sarebbe buttato. Poteva semplicemente sentirlo. Quindi tirò.

"UN ALTRO GOAL PER GRIFONDORO" la voce amplificata riempì l'arena insieme al tifo di quasi tutte le case tranne Serpeverde. "Questo riporta la partita ad un pareggio gente."

Mary si schiantò contro di lui, quasi facendolo cadere dalla scopa. "Li batteremo", sibilò.

James le sorrise di rimando, sentendosi meglio di quanto non si sentisse da mesi. "Diavolo sì, lo faremo."

Marlene si accostò a loro, battendo la spalla contro quella di James. "Siete fantastici voi due insieme."

"Questo ragazzo è un fottuto professionista", gli occhi di Mary erano luminosi, le guance arrossate dal vento e dall'adrenalina. Sembrava una dannata conquistatrice.

"Ci prenderò quel Boccino, lo prometto."

James mise l'estremità della sua scopa su quella di Marlene. "So che lo farai", disse, proprio mentre Madama Boomb fischiettava facendo loro sapere che la Pluffa era di nuovo in gioco.



La partita non diventò più facile. Nessuna squadra era disposta a cedere terreno. C'erano poche chiamate ravvicinate ma passarono venti minuti senza goal da nessuna parte. La folla stava diventando irrequieta, così come i giocatori. James non riusciva a ricordare un caso in cui l'ultima partita della stagione fosse stata un pareggio. Non aveva idea di quale fosse il protocollo.

Era in movimento, la Pluffa sotto il braccio, la passò a Mary ma viene intercettata. "Cazzo" sibilò, girando la scopa e tornando verso il proprio obiettivo. Fu allora che lo vide.

Il Boccino.

Per un secondo James rimase congelato. Non era vicino a lui, per niente, e non appena avesse iniziato ad inseguirlo, la gente se ne sarebbe accorta, ma non è che potesse attirare l'attenzione di Marlene senza svelare tutto.

Sembrava che fosse sospeso nell'aria per ore, ma dovevano essere solo pochi secondi perché nessuno sembrò capirlo. E poi apparve Regulus. Se avesse visto James, non lo diede a vedere, si librò semplicemente nell'aria vicino al Boccino, fissandolo. James sentì il suo cuore sprofondare. Erano così vicini. Avevano giocato così bene. E ora avrebbero perso.

Solo che Regulus non si muoveva.

Come James, sembrava paralizzato dalla vista del Boccino.

Poi-

Poi-

Si voltò.

"Che cazz-"

James non ebbe nemmeno il tempo di finire la sua maledizione prima che Marlene si precipitasse e afferrasse la palla. E poi fu il pandemonio. Grida e applausi, corpi che si schiantavano contro di lui.

"Grifondoro ha catturato il Boccino!" la voce riempì lo stadio. "Grifondoro vince la partita!"

James si sentì insensibile quando alla fine atterrò di nuovo in campo. Le persone gli stavano parlando, ne era sicuro, ma non le sentiva. Non riusciva a sentire nulla davvero. In qualche modo, nel caos della gente - studenti che correvano sul campo, insegnanti, giocatori, tutti che si mescolavano - vide Regulus. Da solo. Andare verso gli spogliatoi.

James lasciò cadere la scopa e iniziò a camminare. Il sangue gli ribolliva a mano a mano che si avvicinava, le mani a pugno lungo i fianchi. Non aveva davvero un piano. Era così fottutamente arrabbiato. Perché James sapeva che non avevano vinto, sapeva che era una bugia e che diavolo avrebbe dovuto farci? A parte fingere che non lo sapesse. Doveva far finta che non avesse visto quello che aveva visto. In qualche modo Regulus era riuscito a trovare un modo per trasformare James in un bugiardo. Di nuovo. Che diavolo di gioco stava giocando? Perché non poteva semplicemente—solo—perché doveva distorcere tutto nella vita di James in quel modo?

Era così arrabbiato che quando raggiunse Regulus non riuscì a trattenersi dal spingerlo forte alla schiena.

"Che cazzo era quello?" James chiese.

Regulus incespicò in avanti prima di voltarsi, l'espressione, prevedibilmente, vuota.

"Congratulazioni Potter" disse in tono piatto, il che riuscì solo a far incazzare di più James.

"Vaffanculo" ringhiò. "Hai rovinato tutto, cazzo", indicò con la mano il cielo.

Regulus inarcò la fronte. "Ha così poca fiducia nella tua squadra? Non pensi che potrebbero batterci senza il mio aiuto?"

James stava tremando. "Ti ho visto" sibilò, e se questo sorprese Regulus, lui non reagì. "Ti ho visto voltare le spalle."

Ci fu un lungo momento di silenzio, il petto di James era ansante. Non aveva idea di cosa stesse succedendo nel resto dello stadio o se qualcuno se ne fosse accorto. Non riusciva a prendersi cura di se stesso.

Alla fine Regulus alzò le spalle. "Volevi questo" annuì in direzione dei festeggiamenti dietro di loro. "E te l'ho dato. Questo, almeno, ho potuto dartelo".

James non aveva mai voluto urlare così tanto in tutta la sua vita.

"Vaffanculo" disse invece, dando un'altra spinta a Regulus, la voce piena di tutto ciò che c'era tra loro. "Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo." Caricò ogni maledizione con una spinta: non erano violente, non avevano lo scopo di ferire, non proprio.

"James" disse Regulus piano, e James pensò che fossero passati secoli da quando aveva sentito Regulus usare il suo nome di battesimo. Regulus avvolse le sue mani attorno ai polsi di James, tenendoli al suo petto, entrambi respiravano pesantemente. Nonostante il suo aspetto calmo, James poteva sentire il rumore del battito cardiaco di Regulus contro le sue costole.

"Pensi che mi importi di una stupida partita di Quidditch?" chiese James, le dita arricciate nella maglietta di Regulus come se non potesse trattenersi. Come se fosse disperato di toccare e sentire e prendere. "Non volevo questo", era così confuso, così avvolto dal dolore, dalla tristezza e dalla rabbia. "Volevo te. Perché non potevi darmi te?" la sua voce si spezzò e finalmente vide la maschera di Regulus cedere, vide il crepacuore nei suoi occhi.

Oh grazie a Dio, pensò.

Oh grazie a Dio non sono solo in questo.

Regulus sembrò che stesse per parlare, ma fu allora che un nuovo paio di mani afferrò James, tirandolo indietro, e improvvisamente il mondo intorno a loro tornò a fuoco.

C'erano persone e urla e poi c'era Madama Boomb.

"Non ho mai visto una tale dimostrazione di scarsa sportività in vita mia!" stava urlando a James. Cercò di trovare Regulus, ma non riuscì a vederlo attraverso la folla di persone che lo circondava.

No, i suoi pensieri piagnucolavano.

No per favore.

Non portarlo di nuovo via.

"Venti punti in meno a Grifondoro", disse Madam Boomb, riportando la sua attenzione su di lei.

 Maria-che doveva essere in piedi nelle vicinanze - emise un suono indignato.

"E punizione", continuò la professoressa.

James stava a malapena prestando attenzione, stava ancora lottando per vedere Regulus in modo che potesse—potesse—cazzo. Cosa poteva fare? Lì? Circondato letteralmente da uno stadio pieno di persone. Dai suoi-

"Oh merda" sibilò sottovoce, guardando improvvisamente la folla. "Oh merda i miei genitori sono qui."

"Sig. Potter!" disse Madama Boomb severamente. "Ha capito cosa le ho appena detto?"

James sbattè le palpebre. "Ehm... sì. Sicuro. Punti. Detenzione. Capito."

Tutto sul campo era ancora un completo caos, c'erano troppe persone che urlavano e James non riusciva a capire se fossero arrabbiate o se stessero festeggiando, l'interno della sua testa non stava messa meglio. Una metà si preoccupava del terrore di affrontare i suoi genitori dopo lo spettacolo che aveva appena causato, l'altra ripensava più e più volte allo sguardo negli occhi di Regulus. Il modo in cui la sua voce era diventata morbida quando aveva pronunciato il nome di James.

"Dai James," sentì una mano fermarsi sulla sua spalla e si girò per trovare Marlene. Gli lanciò un'occhiata a metà tra compassione e pietà. Non aveva idea di cosa sapesse o di cosa pensasse di aver appena visto, ma non la respinse.

"Ti portiamo negli spogliatoi, va bene?"

Annuì sordamente, lasciandosi guidare attraverso le celebrazioni e nel tranquillo edificio dalla parte opposta.



Si fece una lunga doccia.

Calda.

Non era un caso che lo spogliatoio fosse vuoto quando lui uscì. Lo voleva. La pelle diventava cruda mentre contava i passi e le porte che sbattevano, aspettando che la sua squadra fosse tutta fuori.

Si vestì velocemente ma non se ne andò, prese posto poi sulla panca, i gomiti sulle ginocchia, le mani giunte, la testa china. Non voleva muoversi. Non voleva affrontare nulla al di fuori di quella stanza. Era abbastanza sicuro che sarebbe caduto a pezzi se lo avesse fatto.

Quando sentì la porta aprirsi quasi urlò a chiunque fosse di togliersi dal cazzo. Risultò essere una buona cosa tenere a freno la lingua.

"Bene bene", sentì la voce di sua madre e sussultò all'istante. "E' stato un vero spettacolo."

James avrebbe preferito davvero non parlarne, invece chiese: "Papà?"

Ci fu una pausa che durò solo un secondo di troppo. "E' dovuto andare via a metà partita. Lavoro."

"Ah," disse James, trattenendo una risata secca. "Certo."

La sentì avvicinarsi, la vide sedersi accanto a lui con la coda dell'occhio. "Mi ha detto di dirti che è orgoglioso di te."

Sembrava una battuta considerando come erano finite le cose, ma James non glielo fece notare.

 "Non ci ha nemmeno guardato vincere".

"James" disse, suonando come la madre che era. "Non hai bisogno di vincere per renderlo orgoglioso. Sai che non gli importa".

L'ultima frase fece male in un modo che non avrebbe dovuto. Perché quello che voleva dire era che a suo padre non importava se vinceva. Ma aveva a lungo sospettato che forse era perché a suo padre non importava affatto. Di lui. Almeno, non abbastanza. Di certo non abbastanza per guardare un'intera partita di Quidditch.

Si odiò solo per averlo pensato.

Non era giusto. Sapeva che non lo era.

I suoi genitori lo adoravano.

Il lavoro di suo padre era importante.

C'era una guerra in corso.

James era un ingrato.

"Oh ehi" tubò sua madre, strofinandogli la mano calda tra le scapole "Tesoro, cos'è? Cosa c'è che non va?"

Non sapeva cosa avesse fatto per farla sembrare così - così preoccupata - non seppe come fermarlo.

"Ho sbagliato tutto" riuscì infine a dire, con voce piccola e piena di buchi. Come se qualcosa lo stesse mangiando dentro.

"James" disse piano. "Sei consapevole di aver appena vinto la stagione?"

Si limitò a scuotere la testa, cercando disperatamente di ricacciare nello stomaco i singhiozzi che gli salivano su per la gola. Rimasero seduti per un lungo momento in silenzio, la mano di sua madre che continuava a fare lenti e rilassanti cerchi contro la sua schiena.

"L'ho deluso mamma" disse alla fine, anche se sapeva che non aveva alcun senso. Forse avrebbe pensato che stesse parlando di suo padre. Forse era davvero così. "E fa male", stava piangendo ora. Patetico. "Fa così male."

La mano di sua madre scivolò dalla sua schiena alla sua spalla, attirandolo dentro di sé. La lasciò fare, la lasciò stringerlo, sua madre gli baciò la sommità della testa prima di stringerlo ancora più forte.

"Sei solo una persona James" praticamente sussurrò. "Solo un ragazzo. Non puoi aspettarti di essere sempre tutto per tutti. Non sarebbe giusto" lo baciò di nuovo, lasciando che un altro silenzio si prolungasse tra loro prima di parlare; "Gliel'hai detto?"

Forse sua madre sapeva di chi stesse parlando. Non sarebbe stato così sorprendente. In qualche modo lo faceva sempre.

James sbuffò. "Dirgli cosa?"

Lo strinse di nuovo. "Quanto significa per te?"

Ti amo, Regulus

Ti amo, Regulus.

Ti amo.

"Sì" gracchiò. "Sì, gliel'ho detto. Lui lo sa."

Sentì sua madre annuire. "Allora non l'hai deluso."

Come se fosse così semplice. Come se potesse mai esserlo.

"Non se ne andrà".

"Lo so", disse sua madre a bassa voce.

"L'ho pregato di farlo. L'ho pregato, cazzo".

"Lo so."

La sua voce era dura e brutta. "Lo odio per essere rimasto."

Gli baciò la tempia, la fronte, la guancia. "Ti è permesso odiare le persone quando ti hanno ferito" disse. "Anche le persone che ami."

Ti amo Regulus.

Ti amo Regulus.

Ti amo.

James si allontanò da sua madre, strofinandosi la faccia fino a quando non iniziò a pungere e poi abbassò la testa contro gli armadietti dietro di lui, sospirando mentre guardava il soffitto.

"Sarà sempre così?" chiese alla fine.

Sua madre si prese il suo tempo per rispondere.

"Non così, no" disse alla fine. Delicatamente.

Ma James sentì la risposta nascosta sotto le sue parole. "Ma farà sempre male?"

Lei annuì. "Come premere su un livido."

Lui rise. Era vuoto, freddo ed estraneo. "Non voglio che sia un livido", disse senza pensare, non concedendosi un momento per elaborare il fatto che stava attualmente discutendo della sua rottura con Regulus Black con sua madre.

"Beh" disse dopo alcuni istanti, allungando una mano e stringendogliela. James la guardò, incontrando i suoi occhi luminosi, e lei sorrise, se non un po' tristemente. "Forse la vita ti sorprenderà. Forse non sarà un livido".



PARTE II REMUS

"Pensi che dovremmo fare qualcosa in questo momento?" chiese Lily accanto a Remus, la tazza piena di un liquido scuro Babbano che il fratello maggiore di Mary era riuscito a mandarle via gufo.

Remus inarcò la fronte. "Fare qualcosa? Tipo cosa esattamente?"

Le celebrazioni del Quidditch erano state ritardate in modo che potessero coincidere con l'ultimo giorno di lezione. Due feste, una notte. La sala comune di Grifondoro era fuori controllo.

"Sai", fece un gesto alle baldorie generali. "Siamo Prefetti".

Remus sbuffò, guardandola. I due erano appoggiati al muro più vicino alle scale. Remus piacevolmente brillo ma non troppo ubriaco. "Hai voglia di essere un Prefetto in questo momento?"

Lily non riuscì a trattenersi dal sorridere. "Non proprio, no."

"Allora, ecco la tua risposta."

Dall'altra parte della stanza Sirius stava attualmente tentando di far scopare Peter. Non che fosse un compito impossibile, Peter non era davvero brutto, forse un po' un cherubino, ma non era male. Tuttavia, attualmente stava superando se stesso.

"Non pensa davvero che funzionerà, vero?" chiese Lily, seguendo lo sguardo di Remus.

Lui fece solo spallucce. "Non sottovalutare mai Sirius."

"Beh certo, se fosse Sirius a provarci con lei..."

"Sirius è una spalla molto esperto" disse, osservando il ragazzo in questione tirare fuori il suo sorriso più affascinante, il braccio avvolto intorno alle spalle di Peter, spingendolo sottilmente più vicino alla ragazza con cui stava chiacchierando.

Lily lo schernì. "Nessuno è così esperto."

Remus la guardò, divertito. "Ti credevo una persona che valutava prima la personalità e poi l'aspetto"

Lily alzò gli occhi al cielo. "In un mondo ideale, sicuro."

"Un mondo ideale ma non questo?"

"Sto solo dicendo che è ingenuo pensare che alla gente non importi del tuo aspetto" ci fu una pausa e poi, con un tono disinvolto piuttosto forzato, Lily proseguì: "Prendi James per esempio."

Remus inarcò la fronte. "James?" chiese incuriosito.

"Mi stava implorando per un appuntamento con lui prima ancora che avessimo avuto due conversazioni complete, non aveva neanche idea di chi fossi. Gli piaceva solo la mia... faccia." Le sue guance erano diventate rosa e mentre sorseggiava con determinazione il suo drink Remus si chiese se forse aveva bevuto un po' più di quanto avesse realizzato.

"James ti stava implorando per un appuntamento con lui quando aveva undici anni", disse alla fine Remus. "Non aveva idea di chi fossi".

"Esattamente!" Lily disse con enfasi. "Gli interessava solo l'aspetto".

Remus la valutò per un momento, mordendosi il labbro inferiore, chiedendosi se non avesse dovuto semplicemente lasciare perdere quella conversazione. "Non è vero, però."

Lily lo guardò, la fronte corrugata. "Cosa non è vero?"

"La cosa di James per te, non era solo per l'aspetto."

Qualcosa di strano le contorse il viso e abbassò gli occhi sul bicchiere, ma non beve. Dopo qualche secondo rise.

"Lo so" disse alla fine. E poi, scuotendo la testa e alzando lo sguardo. "Sai cosa mi ha detto quel bastardo? Cosa mi ha detto dritto in faccia?"

Sì. Era decisamente ubriaca.

"Che cosa?" chiese Remus, incapace di trattenersi.

"Ha detto: 'Sei una fottuta forza Lily Evans e lo sei sempre stata," fece un'impressione piuttosto azzeccata di James, Remus non potè fare a meno di pensarlo, " 'cercare di attirare la tua attenzione è stato come inseguire una tempesta —terrificante, esilarante e incredibile ogni volta'." 

Emise un respiro profondo.

"Wow" disse Remus, non sicuro di cos'altro ci fosse da dire.

"Giusto? Voglio dire... giusto?!"

"Quando l'ha detto esattamente?"

Lily fece un gesto sprezzante con la mano. "La scorsa estate."

Remus inarcò la fronte. Non se l'era aspettato. Aveva pensato... con Regulus... I suoi occhi iniziarono a scrutare inconsciamente la stanza alla ricerca di James, ma non lo trovò. Di recente era difficile trovarlo. Remus gli aveva dato spazio, costringendo Sirius e Peter a fare lo stesso, ma ad un certo punto avrebbero dovuto parlargli. Non potevano lasciarlo sguazzare per sempre.

"Voglio dire, come può dire una cosa del genere..." Lily continuò, riportando Remus al presente. "Come può dire una cosa del genere e poi non—non—" guardò implorante Remus affinchè sentisse il suo cuore soffrire per lei.

"Non lo so" disse onestamente. Che cosa esattamente James provasse per Lily - o cosa avesse provato per Lily - Remus non era mai stato in grado di spiegarlo. Anche a quel tempo, era un continuo avanti e indietro. Le piaceva? La amava? O era solo una un gioco? Era difficile da dire con James all'epoca.

Remus stava per dire qualcosa di un po' più confortante - o almeno sperava che lo fosse- quando all'improvviso gli occhi di Lily si spalancarono e quasi fece cadere il bicchiere. 

"Santa merda!"

"Che cosa?" chiese Remus, guardandosi intorno, cercando di seguire il suo sguardo. "Che cos'è?"

"Merda" sorrise di nuovo, cosa che Remus considerò un buon segno. "Lo ha fatto davvero."

E fu allora che Remus lo vide: Peter che succhiava la faccia di una ragazza.

"Ew," non potè fare a meno di dire, facendo ridere Lily accanto a lui.

"Hai appena detto ew?" arrivò un'altra voce che accense istantaneamente qualcosa di caldo nella bocca dello stomaco di Remus. "Quello è uno dei miei migliori lavori," sorrise Sirius mentre si appoggiava accanto a Remus, praticamente premendo i loro corpi insieme.

"'Sera Evans," indicò con la testa Lily che alzò gli occhi al cielo.

"Non posso credere che ci sei riuscito."

"Cosa posso dire, ho un talento infinito."

"Sei una persona in gamba" disse Remus, guadagnandosi un pizzicotto di lato.

Lily si limitò a scuotere la testa. "Oh mio dio... gli si sta strisciando addosso?"

"Quello è il mio ragazzo," disse Sirius come un genitore orgoglioso, asciugandosi una lacrima inesistente dal viso. "Crescono così in fretta. Un minuto prima sono in piedi goffi in un angolo, troppo spaventati per parlare con qualcuno e quello dopo sono..."

"Oh, per favore, non giocare più a fare la commedia" piagnucolò Remus, guardando molto chiaramente ovunque tranne che nella direzione di Peter. "Non ho bisogno di quelle immagini mentali."

Erano così vicini che quando Sirius si girò verso Remus le sue labbra gli sfiorarono la tempia.

 "Dai Remus, non fare la suora con me. So che tipo di immagini mentali hai."

Malgrado se stesso, Remus rabbrividì, il respiro caldo di Sirius che serpeggiava lungo il suo collo. Puzzava di alcol. Odorava di notti tarde e decisioni sbagliate e bocche che amavano divorare.

"E questo..." disse Lily, trangugiando il resto del suo drink e lanciando un sorrisetto a Remus, "...è il mio segnale. Buonanotte ragazzi."

"No, Lily non devi..."

"Ci vediamo, rossa" la liquidò Sirius, facendo vomitare Lily con il dito medio mentre si allontanava nella stanza affollata.

"I suoi modi, Maestro Black, sono atroci," Remus fece la sua migliore impressione dell'accento elegante di Sirius.

Sirius sbuffò, strofinandosi contro il collo di Remus. Era più affettuoso di quanto non fosse di solito in pubblico, ma nessuno stava prestando attenzione e Sirius non era esattamente famoso per tenere le mani a posto.

"Sei sicuro di dover tornare a casa tua?" chiese, la voce che solleticava la pelle di Remus.

"Solo per un po'" disse, incapace di trattenersi dall'appoggiarsi al calore di Sirius.

James, ovviamente, aveva offerto a Remus una stanza a casa sua per l'estate. O, beh, sua madre gli aveva offerto una stanza, James e Sirius avevano fatto diverse battutine su dove si aspettavano che Remus avesse dormito. Remus aveva accettato ovviamente, ma prima voleva comunque andare a casa. Solo per una settimana. Non era più stato lì da, da quando sua madre era morta. E una parte di lui sentiva che ne aveva bisogno. Si sentiva come se non fosse mai completamente in grado di accettare che lei se ne fosse andata finché non sarebbe entrato in quella casa e l'avesse trovata vuota. Voleva essere lui a fare le valigie, non suo padre. Voleva dire addio.

"Ehi," Sirius gli diede un leggero colpetto e Remus sbattè le palpebre, tornando al presente. "Stai bene?"

"Sì," Remus gli sorrise. "Sì, scusa, la mia testa è solo... ma sto bene," premette ulteriormente su Sirius, sentendosi un po' sconsiderato. "Sto benissimo in realtà." Guardò gli occhi di Sirius cadere sulle sue labbra.

"Dammi un po' del tuo drink," disse Sirius dopo una lunga pausa, a voce bassa. "Ho perso il mio".

Remus alzò gli occhi al cielo, porgendogli il bicchiere, "Non che tu ne abbia bisogno," aggiunse.

Ma Sirius non si mosse, invece, fissando il contatto visivo diretto, aprì le labbra e aspettò. Remus sentì il respiro affannoso mentre fissava Sirius Black – bellissimo, malvagio e docile. La sua mano in realtà tremò leggermente quando portò il bicchiere alla bocca di Sirius, gli occhi che si abbassarono momentaneamente al movimento della sua gola.

Quando finalmente Sirius si tirò indietro, fece scorrere la lingua lungo il labbro inferiore – Remus giurò che stesse accadendo al rallentatore.

"Sei osceno", sarebbe dovuto sembrare provocatorio ma non fu così. Invece sembrò affamato.

Sirius si sporse di nuovo in avanti, gli occhi scintillanti, i loro nasi quasi che si toccavano.

"Ti voglio."

Un altro brivido attraversò Remus. "Beh" disse, colpito dalla fermezza della sua voce, "purtroppo per te, sono molto difficile da conquistare."

Le labbra di Sirius si contrassero. "Oh lo so. Ma ho intenzione di provarci lo stesso".

La pelle di Remus era rovente, le terminazioni nervose crepitavano su e giù per le sue ossa. Dovette chiudere gli occhi solo per far riposare uno dei suoi sensi. "Oh", fu tutto ciò che riuscì a tirare fuori. Appena una parola. Più un respiro.

Sentì le dita di Sirius che gli circondarono il polso, il suo pollice che gli sfregava. Il tocco era delicato, leggero come una piuma e Remus si sentì sopraffatto.

"Ti amo" sussurrò, perché in quel momento lo sentiva così forte che non potè trattenersi.

"Ti amo anch'io," il pollice continuava a suonare con il battito di Remus. "Vieni a letto con me."

Remus aprì gli occhi, girandosi per incontrare quelli di Sirius. "Gli altri-"

"La stanza è vuota." Non che questo li avesse mai fermati prima. "Vieni a letto con me Remus" chiese di nuovo Sirius, lasciandolo andare, la perdita fu così atroce da farlo piagnucolare mentre guardava Sirius salire lentamente le scale. 

Certi giorni credeva di essere intrappolato in una delle sue fantasie, quelle in cui si sentiva così in colpa a dodici o tredici anni. Quando immaginava come sarebbe stato essere ricambiato. Non aveva mai pensato di vivere il tipo di vita in cui Sirius Black poteva essere suo. Aveva il terrore ogni secondo di svegliarsi. Aveva il terrore che un giorno avrebbe guardato accanto a lui e Sirius non sarebbe stato lì. Remus era sopravvissuto all'attacco di un lupo mannaro, alla morte di sua madre, all'abbandono di suo padre. Ma perdere Sirius?

Questo lo avrebbe distrutto.



PARTE III LILY

Probabilmente aveva bevuto troppo. Non proprio in modo preoccupante, sapeva che se non si fosse sentita così stressata per... tutto, non avrebbe bevuto così tanto.

Da un lato desiderava disperatamente tornare a casa. Vedere sua madre, abbracciarla e toccarla e sapere per certo che stava bene. Essere in grado di scoprire davvero cosa stava succedendo e quanto fosse grave e come la stavano curando i suoi medici. Mary pensava che se fossero riuscite a scoprire di più sui trattamenti Babbani, avrebbero potuto aiutarli a capire come la magia poteva aiutare. Lily non era convinta ma era un'idea buona come un'altra.

D'altra parte, c'era una parte di Lily che temeva di tornare a casa. Temeva la sensazione di essere bloccata, di essere senza la sua magia, senza i suoi amici, a mentire costantemente su quello che aveva fatto tutto l'anno. Fingendo tutto il tempo che la magia non fosse reale, che lei non sapeva chi fosse.

E poi c'era Sev. Non avevano parlato, non dall'attacco di Mary, ma... le cose tra loro erano sempre più incasinate quando tornava a casa. Quando tutti gli altri rumori svanivano. Perderlo faceva più male lì.

"Ho bisogno di un po' d'aria," mormorò a nessuno in particolare.

Mary era impegnata a chiacchierare con un Tassorosso del settimo anno e Dorcas e Marlene si erano trovate in un angolo in cui erano drappeggiate l'una sull'altra in un modo che non era credibilmente platonico.

Lily non aveva davvero un piano mentre inciampava nel corridoio. Era passato l'orario del coprifuoco, ma visto che era  l'ultimo giorno di scuola, sapeva che la maggior parte dei professori non le avrebbe detto nient, cioè, non è che potessero punirla. L'unica persona a cui doveva davvero prestare attenzione era  Gazza.

Trascinò la mano lungo i freddi muri di pietra mentre camminava. Voleva uscire, decise. Voleva sentire la frizzante notte di inizio estate. Voleva guardare le stelle.

Fu quell'ultimo pensiero, immaginò, che la spedí verso la Torre di Astronomia. Un errore. Quando raggiunse la vetta si sentí miseramente sobria, senza fiato e sudata per tutto l'alcol che aveva bevuto.

Fuori la brezza fredda le sfiorò la pelle calda, uno shock per il suo corpo. Anche se non fu tanto scioccante quanto la presenza di James Potter, che si girò di scatto nel momento in cui la porta si chiuse dietro di lei, gli occhi luminosi e sbarrati nell'oscurità.

La sua espressione si attenuò all'istante quando la vide.

"Aspettavi qualcuno?" chiese, ferma davanti alla porta, sentendo un terribile dolore al petto.

Gesù, si era davvero imbattuta in James Potter in attesa di qualcuno? Che cosa aveva esattamente l'universo contro di lei?

James sbuffò, ondeggiando leggermente, e fu allora che lei notò la bottiglia stretta nella sua mano destra. Apparentemente non era l'unica ad aver bevuto per buttare giù i suoi sentimenti, quella sera.

"Non sto aspettando nessuno, no" disse, girandosi di nuovo verso il cielo notturno.

Dopo alcuni secondi di incertezza Lily si fece avanti, andando a mettersi accanto a lui.

"Stavi sperando che venisse qualcuno allora?" chiese, sapendo fin troppo bene come ci si sentiva.

Sorrise secco, sollevò la bottiglia e bevve un buon sorso.

"Forse... sì, in realtà, suppongo che sia cosí."

Lily annuí, seguendo il suo sguardo in lontananza. "Beh, allora mi dispiace, sono solo io." Oof, era uscita fuori in modo terribile. Avrebbe dovuto  davvero tornare dentro.

James fece una risata confusa. "Solo tu? Sei Lily Evans" disse, biascicando un po'.

Lily aspettò che continuasse ma lui non lo fece.

"Non so cosa significhi", disse alla fine.

"No," annuí a se stesso. "Non puoi saperlo."

Bevve un altro sorso dalla sua bottiglia prima di porgergliela, lei la prese automaticamente: fu praticamente un riflesso.

"Cos'è anche questo?" chiese, girando la bottiglia tra le mani. Cercò di leggere l'etichetta ma era tutta in latino.

"Non ne ho idea", disse James. "Gli elfi domestici l'hanno rubato per me. Ha un sapore schifoso ma è fottutamente forte."

"Allettante," disse Lily, restituendogliela.
"Ma penso che passerò."

James inarcò la fronte ma non la forzó, ingoiando un altro sorso senza batter ciglio.

"Forse dovremmo fare un passo indietro, sì?" disse Lily, guardando stancamente il bordo della torre.

Non era in condizioni di fare da babysitter ad un ubriaco e sconsiderato James Potter. Com'era prevedibile, lui le sorrise soltanto.

"Preoccupata per me Evans?"

"Sempre," disse senza pensare, sentendo all'istante le sue guance riscaldarsi mentre guardava fuori nella notte, evitando lo sguardo di James. "Visto che sei un fottuto idiota", non era nemmeno sicura che fosse sicura di quello .

"Non so come ti sopporti Remus."

James sbuffó. "Neanch'io, onestamente."

Rimasero in silenzio per un po'. Non era un silenzio scomodo, anche se probabilmente avrebbe dovuto esserlo, forse era merito delll'alcol.

Il cielo quella notte era limpido, si estendeva all'infinito davanti a loro, scuro, liscio e scintillante di stelle. Lily respirò profondamente, lasciando che l'aria dolce le riempisse i polmoni. Non aveva intenzione di dire niente. Non sapeva nemmeno davvero da dove le uscirono fuori le parole, semplicemente... caddero semplicemente dalla sua bocca .

"Penso che mia madre stia morendo."

Dirlo ad alta voce era allo stesso tempo bello e terribile. Bello, perché qulle parole le aveva tenute nascoste da settimane. Mesi. Da quando sua madre le aveva detto per la prima volta che era malata. Terribili, perché desidera con tutto il suo essere di potersi convincere che non fossero vere. Il che era irrazionale. Ma più lei, Mary e Marlene non riuscivano a trovare risposte, e più le lettere di sua madre si rifiutavano di parlare della sua salute, più Lily sentiva di non poter evitare di pensarla in quel modo.

James, si rende conto alla fine, la stava guardando. Non parlò per alcuni secondi e poi le rimise bruscamente la bottiglia tra le mani.

"Io-"

"Oh diavolo no", disse James. "Non esiste che tu non beva dopo questa confessione."

In qualche modo Lily riuscí a ridere, si portò la bottiglia alla bocca e se ne pentí all'istante.

“Oh mio Dio,” tossí, ridandogliela "Oh mio dio, è davvero schifoso."

James sorrise un po'. "Poi ti ci abitui."

"Sei sicuro che sia adatto per gli esseri umani?" rispose, cercando di togliersi il sapore dalla bocca. "Non credo che sia un bene bere quella roba."

"Oh scusa, ti sei messa in bocca bastoncini di catrame in fiamme e all'improvviso sei preoccupata per la tua salute?"

"Bastoni di catrame in fiamme?" ora stava ridendo e soffocando insieme. "Sembri mia madre."

A suo merito, James lasciò che fosse imbarazzante solo per circa un secondo. Forse anche meno.

"Lo prendo come un complimento" disse, con parole gentili.

Lily sospirò, asciugandosi il viso e guardandolo la luce della luna che si rifletteva nei suoi occhiali. "Dovresti."

Il viso di James divenne più serio, i suoi occhi dolci. "C'è qualcosa che posso fare?"

"Per la morte di mia madre?" doveva essere l'alcol a lasciarglielo dire ad alta voce senza batter ciglio.

"Sì."

Lily deglutí. Voleva disperatamente che ci fosse qualcosa da fare. James poteva scrivere un'altra lettera e risolvere magicamente i suoi problemi. Ma lei sapeva che non era così semplice.

"Non credo", disse alla fine, rivolgendogli un debole sorriso. "Ma grazie, per averlo chiesto."

"Me lo dirai?" disse, così serio che quasi faceva male. "Se posso fare qualcosa? Se arriva il momento…”

Lei lo guardò con un affetto sconsiderato. "Te lo dirò."

Annuí, fissando il cielo. Guardandolo, Lily poteva vedere le borse sotto i suoi occhi, le rughe di cipiglio vicino all'estremità della sua bocca dove non c'erano mai state prima. Non potè fare a meno di pensare a quel giorno in cui l'aveva trovata impazzita nella neve. A quello sguardo sul suo viso. E all'improvviso viene colpita da quanto fosse strano che James Potter si nascondesde li quando c'era una festa in corso. Qualcosa in cui normalmente sarebbe stato al centro dell'attenzione, per quanto odioso.

Dopo qualche altro momento di silenzio lei gli diede una gomitata con il gomito. "Vuoi dirmi cosa ti sta succedendo?"

Emise una risata secca. "I miei problemi sono piuttosto insignificanti rispetto ai tuoi."

Lily si accigliò. "Non credo."

La guardò con la coda dell'occhio. "Non sai nemmeno cosa sono."

"Se fanno male fanno male", fece spallucce. "Il dolore non è una competizione."

“Mmm,” disse James, come se non le credesse del tutto. Alla fine sospirò, lasciando andare qualcosa mentre chiudeva gli occhi. "Ho il cuore spezzato in questo momento, se devo essere onesto."

“Ah,” disse Lily, ingoiando qualunque cosa quelle parole le stessero trascinando dentro. "Ecco chi speravi che fosse alla porta, prima?" chiese, indicando la porta anche se lui non poteva vederla.

“Sì,” la sua voce era un po' ruvida. "Passo molto tempo a sperare in... persone in questi giorni."

"Mi dispiace", disse, perché sembrava la cosa giusta da dire. "È una sensazione terribile, il cuore spezzato."

"Penseresti che a ormai dovrei essermi abituato." Le lanciò uno sguardo obliquo che le fece alzare gli occhi al cielo.

"Mi sento attaccata", lo prese in giro, facendo sbuffare James.

"Non è un attacco."

"Non lo so, lo sembrava."

Lui la guardò. "Vuoi che mi scusi per avermi fatto spezzare il cuore da te Lily Evans?" c'era divertimento nei suoi occhi, insieme alla tristezza. La sua gola si seníe stretta.

“No,” disse alla fine, offrendogli un sorriso tremante. "Conoscendoti, faresti una cosa plateale."

James rise. "Probabile... chiederei ai ragazzi del coro di cantare per te a colazione o qualcosa del genere."

"Sono abbastanza sicura che tu l'abbia giá fatto una volta."

"Non l'ho fatto!"

“Lo hai fatto! E sono stati maledettamente stonati per tutto il tempo."

"Beh per quello non è certo colpa mia."

“Sto solo dicendo che avresti potuto fare dei provini. Voglio dire, se hai intenzione di essere un idiota, almeno fai uno sforzo. "

James stava ancora ridendo. "Se non altro, il fatto che fossero stonati aveva reso tutto più divertente."

“Per te forse,” disse Lily. "Sono io quella che ha dovuto ascoltarli per un'ora, mi hanno fatto perdere la colazione."

"Ora è davvero una tragedia".

Lily annuí gravemente, a malapena in grado di trattenere il suo sorriso. "Non dirlo a me."

C'era qualcosa di caldo negli occhi di James quando li incontrò di nuovo, qualcosa che le arrivo dritto al petto e le strinse il cuore.

“Grazie,” disse infine, con voce bassa.

Lily alzò il sopracciglio. "Per cosa?"

Fece spallucce. "Stavo passando davvero una notte di serata prima che arrivassi tu."

Lily cercò e non riuscí a non leggere troppo in quelle parole, a non lasciare che il suo cuore balbettasse e le farfalle nello stomaco iniziassero a sbattere le ali. Deglutí

"Sono contenta di poterti aiutare."

PARTE III MARY

Mary Macdonald era orgogliosa di molte cose, ma prima di tutto della sua capacità di sgattaiolare fuori dalla stanza del dormitorio di un ragazzo con un'eccezionale furtività e, se poteva dirlo lei stessa, equilibrio. Era presto, il sole stava appena riscaldando il cielo, striature rosa e arancioni attraversevano il corridoio mentre tornava alla Torre di Grifondoro dai dormitori di Tassorosso.

Si fermò alle cucine per strada, mangiando un boccone veloce poiché aveva intenzione di dormire durante la colazione.

Una ragazza più grande le aveva insegnato un incantesimo per rinfrescarsi il trucco quando era al secondo anno. Ne conosceva uno anche per i capelli, ma c'era qualcosa nei "capelli appena arruffati" che a Mary in realtà piaceva molto. Sbirciò il suo riflesso in una delle finestre che incrociò per strada e sorrise. Sperò di incontrare qualcuno prima di tornare nella sua stanza perché al momento sembrava incredibilmente sexy e sarebbe stato un peccato se nessun altro potesse vederlo.

Naturalmente, si rammaricò di quel pensiero non appena sentí la voce nasale che gridò dietro di lei.

"Hey troietta!"

Mary alzò gli occhi al cielo. “Mi stai perseguitando adesso Barty? Stai diventando davvero patetico".

Non si girò ma fece scivolare la bacchetta nel palmo della mano. Lei sapeva cosa stava per succedere. Poteva sentirlo. Non avrebbe voluro perdere tempo, non dopo quello che era successo prima. Non ora che erano soli.

"Petrificus..."

“Expelliarmus,” scattò prima che lui potesse finire l'incanto. Prese la sua bacchetta volante nella mano vuota, l'indignazione sul suo viso era quasi comica.

“Avanti Barty, se vuoi prendermi dovrai impegnarti un po' di più. Voglio dire, Petrificus Totalus? Cosa siamo, primini? Non riesco ad immaginare che possa impressionare il tuo grande e cattivo Signore, vero?"

Il suo viso si rannuvolò e si avvicinò, puntandole il dito. "Non osare parlare di lui."

Mary battè le ciglia. “Perché no? Ho sentito che ha molto da dire su di me".

"Oh quanto cazzo ti piacerebbe."

“Oh, ma lo fa,” continuò con una voce dolcissima e malaticcia. "I Mezzosangue stanno rovinando questo, e i Mezzosangue stanno infangando quello, e oh i Mezzosangue ruberanno tutta la nostra magia."

"Chiudi quella fottuta bocca".

Mary rise davvero. "Scusa, cos'è esattamente che ho detto che è così offensivo per te?"

Ringhiò, gli occhi ardenti di rabbia. "È la tua mancanza di rispetto."

"La mia mancanza di rispetto?" lei chiese. "E chi dovrei rispettare esattamente," i suoi occhi andarono su e giù. "Te?"

Avrebbe dovuto aspettarselo. Non lo fece. Ma avrebbe dovuto.

In un batter d'occhio Barty si mosse, una mano l'afferrò per la gola e l'altra le prese il braccio, sbattendole il polso contro il muro di pietra dietro di lei finché le bacchette non caddero dalla sua mano. Lottò contro di lui finché la presa sulla sua gola non si fece più stretta.

Mary non era mai stata soffocata prima, non aveva mai respirato senza fiato e non c'era nessuno lì. La paura bruciante che le attraversò tutto il suo corpo fu travolgente. Ma Barty non mollava, la inchiodò al muro e strinse, strinse, strinse.

Era troppo giovane per morire, specialmente in quel modo. Non era nemmeno così forte, ma era comunque più forte di lei e lei non poteva usare la sua fottuta bacchetta, non poteva livellare il campo di gioco.

“Ascolta stronzetta” ringhiò, abbastanza vicino da poter sentire la sua saliva sulla sua guancia. "So che ti senti davvero al sicuro qui dentro, ma un giorno tu e i tuoi amici dovrete lasciare questo posto e quando ci incontreremo fuori da queste mura le cose saranno diverse."

Strinse le dita e Mary fu abbastanza sicura che stesse urlando. O lo avrebbe fatto se avesse avuto aria.

“Quando ci incontreremo nel mondo reale, distruggerlo tutto ciò a cui tieni, e ti farò guardare mentre lo faccio, ti farò assistere alla carneficina prima che ti uccisa il Signore Oscuro in carne ed ossa."

Non riusciva a respirare.

Non riusciva a respirare.

Non riesco a respirare.

Dio, faceva male, i suoi polmoni erano letteralmente in fiamme, cazzo. Non sapeva che soffocare sarebbe stato così, come se qualcuno le stesse dando fuoco al petto.

La sua vista rimbalzo intorno, dentro e fuori fuoco, ma la vide comunque, nel momento in cui lui si sporse in avanti e Dio, avrebbe voluto avere la forza di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Avrebbe voluto potersi girare e andarsene. Ma tutto ciò che potè fare fu guardare mentre premeva la bocca nel punto esatto in cui aveva lasciato il segno di rossetto sulla sua guancia.

Quando si tirò indietro c'era un luccichio malato nei suoi occhi. "Non ti libererai mai di me", disse a bassa voce. E poi, proprio mentre la sua vista diventava sempre piú oscura,  la sua mano scomparve.

Mary si accartocciò a terra, ansimando e soffocando, i polmoni cercavano di prendere aria troppo velocemente. Il mondo girava, il suo corpo tremava come se ci fossero dei terremoti sotto la sua pelle.

In lontananza, sentí Barty ridere mentre si allontanava.

PARTE IV REGULUS

Regulus non vide James dopo la partita di Quidditch. Non era più nei corridoi fuori dalle sue aule, né camminava misteriosamente verso la Sala Grande insieme a lui la mattina. Faceva più male di quanto avrebbe dovuto, stava perdendi quei piccoli momenti di connessione. Sapeva che James lo stava lentamente lasciando andare sempre di più.

Nei suoi momenti più deboli, Regulus immaginava di avvicinarsi alla sala comune di Grifondoro e chiedere di vederlo. O attraversare la Sala Grande e baciarlo senza senso proprio lì davanti a tutti. Erano pensieri ridicoli ovviamente, ma lui li aveva comunque.

Per la prima volta nella sua vita provò un senso di sollievo quando varcò la soglia di Grimmauld Place. A differenza di Hogwarts, quelle mura non ricordavano tutto ciò che aveva perso. La vita che fingeva di poter avere. Quelle mura erano la sua realtà. Il suo passato, presente e futuro. Quella realizzazione età forse ciò che faceva più male, lo faceva sentire in trappola, gli faceva venire voglia di urlare. Ma ora che aveva assaggiato un po' della luce che c'era al di  fuori da quelle mura, forse poteva finalmente lasciar passare tutto.

"Avanti", disse la madre in tono piatto quando bussò alla porta del suo studio.

"Ah", i suoi occhi si alzarono e poi tornarono sulla pergamena di fronte a lei, "sei tornato".

“Sì,” disse, le spalle abbassate e le mani intrecciate dietro di lui. "Volevo parlare con te."

Gli occhi di Walburga si alzarono di nuovo, fermandosi leggermente più a lungo questa volta come se cercassero di leggere i suoi pensieri. Sapeva che in realtà non stava cercando di leggerli, ovviamente, lo avrebbe sentito se ci stesse provando. Tornò alle sue carte, scarabocchiando per qualche altro minuto prima di posare la penna sulla scrivania e rivolgergli la sua totale attenzione.

“Sì, vai avanti. "Cosa c'è Regulus?"

Per un momento, solo un momento, le parole si bloccarono in gola.

Ti amo Regulus

Ti amo Regulus.

Ti amo.

Tossí. "Non voglio tornare ad Hogwarts l'anno prossimo." Walburga alzò il sopracciglio così Regulus continuò velocemente. “Credo di aver imparato tutto quello che posso lì, e sono pronto a impegnarmi completamente con il Signore Oscuro. Per prendere il mio posto al suo fianco”.

Perché preoccuparsi ancora di fingere? Quella era la strada che aveva scelto. Quello per cui era nato. Quello che si meritava. Non aveva più nessun motivo per torturarsi con la persona che avrebbe voluto essere.

Dopo alcuni secondi di silenzio, Walburga si alzò dalla sedia e solo anni di allenamenti impedirono a Regulus di sussultare mentre si avvicinava, le dita magre e pallide raggiunsero il suo viso, cullandolo tra i palmi delle mani.

Era terrorizzato.

Ma non si staccò.

E poi, fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettato, qualcosa che non era sicuro di aver mai visto - sua madre sorrise.

“Oh figlio mio,” disse, con voce quasi sommessa. "Ti stavamo aspettando."


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