Choices ||Jegulus/Wolfstar |...

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Tutti commettiamo errori. Ma facciamo anche delle scelte. È importante per James, questa differenza. Ce la me... Еще

Introduzione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitoli 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52

Capitolo 10

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Capitolo 10



Regulus aveva undici anni la prima volta che si innamorò di James Potter. Era davvero piuttosto scomoda come cosa, dal momento che aveva già deciso di odiarlo. Non per nessuna delle ragioni più ovvie —tipo la tensione tra le loro famiglie, la guerra imminente—ma perché, fino a quando Sirius non era andato ad Hogwarts, Regulus era stato il suo migliore amico. Costruivano castelli, leggevano storie e inventato mille avventure nel giardino sul retro. Quando Regulus aveva un incubo, Sirius era lì. Quando la loro madre era arrabbiata, Sirius era lì. Quando il loro padre si era ammalato, Sirius era lì.


Ma l'estate dopo il suo primo anno a Hogwarts tutto ciò di cui Sirius parlava era James Potter. James Potter questo, James Potter quello e oh non era poi così fantastico. Regulus iniziò rapidamente a disprezzarlo. Un sentimento che sua madre sembrava condividere. Non che lei e Sirius fossero mai andati particolarmente d'accordo, Sirius non era mai stato molto bravo a stare tranquillo o a stare fermo o a tenere in ordine i suoi vestiti. Ma non avevano iniziato a odiarsi fino a quando Sirius non era andato ad Hogwarts. Finché non era arrivato James Potter.

Così, quando salì sul treno il settembre successivo, con sua madre che gli sussurrava vischiosamente all'orecchio tutte le cose che gli avrebbe fatto se si fosse ritrovato smistato in Grifondoro come suo fratello, Regulus già odiava James Potter. Più di quanto avesse mai odiato nessun altro nella sua piccola vita da undicenne.

Sirius lo aveva trascinato nello scompartimento con i suoi amici, e Lupin era stato gentile e Minus un po' nervoso e Potter—Potter lo guardava a malapena. Un cenno della testa, ecco tutto, prima che lui e Sirius si parlassero un miglio al minuto, facendo battute che Regulus non capiva e raccontando storie di cui non faceva parte. E per tutto il tempo James Potter non l'aveva guardato neanche una volta! Il che era irritante, perché come avrebbe dovuto comunicare la sua intensa antipatia per il ragazzo se non gli aveva nemmeno concesso il dubbio della parola?


Naturalmente, tutto quello era diventato meno problematico dopo lo smistamento. Serpeverde e Grifondoro erano nemici naturali. Raramente interagivano, tranne quando erano forzati, e inoltre, Regulus era del primo anno, praticamente un ragazzino. Non era mai stato importante per Sirius che lui fosse più piccolo ma—ora aveva Potter. Quindi Regulus non vedeva molto spesso suo fratello. O gli amici di suo fratello. E soprattutto, si sentiva perso. Andava avanti con le sue lezioni, tranquillo e riservato, non volendo attirare troppa attenzione su di sé. Non voleva essere notato. Era così che era sempre sopravvissuto a Grimmauld Place. Pensava che avrebbe funzionato anche ad Hogwarts.


Si era sbagliato.



A poche settimane dall'inizio della scuola, Severus Piton lo trovò mentre baciava un ragazzo. O, forse più precisamente, aveva trovato un ragazzo che baciava Regulus. Ad undici anni, a Regulus non piaceva molto baciare, trovava l'intera faccenda piuttosto sconveniente se doveva essere onesto. Ma Roger Flint era più grande, e più grosso, e sembrava non interessarsi in un modo o nell'altro di ciò che Regulus voleva davvero. Aveva cercato di spiegarlo a Piton, dopo che Flint era scappato, ma Piton era stato così gentile da dire a Regulus che quello non aveva importanza. La gente avrebbe pensato che fosse stato un mostro in entrambi i casi. Quindi era nel suo interesse fare quello che gli avrebbe detto Piton, e in quel modo nessuno l'avrebbe scoperto.

All'undicenne Regulus non era venuto in mente che Severus Piton, che aveva a malapena la forza nelle sue membra allampanate per alzare la propria bacchetta, non avrebbe esposto mai Roger Flint a tutta la scuola. Tutto quello che sapeva era che non voleva che Sirius lo sapesse.


Oh come erano cambiate le cose

Così aveva fatto come Piton aveva chiesto: "I miei compiti, Black" "Il mio bucato, Black" "Spingi quel Tassorosso giù per le scale, Black". Regulus aveva fatto tutto. A differenza di Sirius, era sempre stato bravo a fare quello che gli veniva detto.

Alcuni mesi dopo, vide James Potter dare un pugno in faccia a Severus Piton fuori dalla grande sala. E, beh, era ​​stato difficile non innamorarsi di lui dopo. 

Regulus prese quei ricordi e li mise in una scatola. E poi la seppellì. Scavò nella profondità di se stesso, attraverso l'angolo più oscuro e più introvabile, e la mise lì. Ci mise tutto ciò che riguardava James. Non si entrava a Grimmauld Place con i pensieri esposti.


"La signora Black è fuori per il pomeriggio, ma dice a Kreacher di informare il suo giovane padrone Regulus che tornerà per cena alle sei in punto."

Regulus annuì, in piedi goffamente nel mezzo della sua camera da letto, sentendosi come un fantasma. Uno sconosciuto.

"Kreacher sta preparando il fagiano arrosto preferito di padron Regulus."

Regulus guardò l'elfo e si costrinse a sorridere. "Grazie Kreacher, lo apprezzo davvero."

L'elfo si pavoneggiò. "Naturalmente Padrone, Kreacher vive per servire la nobile casata dei Black."

Regulus deglutì. "Sì. Sempre."

Aveva bisogno di tenersi più sotto controllo, lo sapeva, stava lasciando che tutti i pensieri lo raggiungessero. Le pareti grigie, l'odore pesante dell'aria, le foto mancanti alle pareti. Non poteva essere pieno di crepe già la prima volta che vedeva sua madre.

"È... è sveglio mio padre?» chiese infine.

Kreacher annuì. "Sì signore, è molto, molto eccitato di vedere il Padron Regulus, signore", l'elfo fece del suo meglio per sorridere, la vista stranamente accattivante nonostante tutti i denti.

 "Adesso prenderà il tè, signore, nel suo letto."

Regulus annuì "Eccellente, grazie Kreacher, per ora è tutto."

Kreacher gli fece un inchino sparendo fuori dalla stanza prima che la sua testa si fosse rialzata.

Regulus chiuse gli occhi, sentendo il peso e la pressione delle pareti di quella casa così facilmente quanto era facile per lui vederle. Non c'era mai aria in quella fottuta casa. Respirò profondamente, cercando di calmare i tremori ansiosi che gli correvano su e giù per le ossa. Espira. Tutti quelle sensazioni erano inutili e aveva bisogno di farla finita. Non aveva senso avere paura lì. Meglio avvolgersi in uno strato di apatia, di disinteresse.

Niente importava. Se niente contava, niente faceva male.

Aprì gli occhi, rimettendo a fuoco la stanza buia e sentendo l'inizio di un familiare intorpidimento diffondersi dentro di lui. Bene, pensò, flettendo le dita, rilasciando parte della tensione dei suoi muscoli.


Non c'era privacy a Grimmauld Place. Le pareti erano ricoperte dalle sagome oscure dei Black di un tempo. Sussurravano e si accigliavano e si affannavano. E tutti appartenevano a sua madre. Piegati alla sua volontà. Sentì i loro occhi su di lui mentre camminava rigido verso il piano di sotto, i loro sguardi gli fecero prudere la pelle.

Inspira. Espira.

Niente importava.

Si fermò davanti alla porta aperta della camera di suo padre, i suoi genitori non condividevano la camera da letto ovviamente, non lo facevano da quando Regulus era piccolo. Da prima che suo padre si ammalasse. Nei suoi ricordi, suo padre era una figura imponente, con grandi mani calde e una presenza prepotente. Non parlava mai molto, anche allora, era sempre tranquillo. Regulus sapeva che aveva preso da suo padre, così come sapeva che Sirius aveva preso da sua madre. Era sicuro che entrambi avessero sofferto per quella innegabile verità.

Suo padre era seduto su una sedia vicino alla finestra, la vestaglia di flanella avvolta intorno a lui, i capelli scuri ricoperti di bianco, i riccioli, un tempo così simili a quelli di Regulus, erano diventati quasi lisci.

Inspira. Espira.

Niente importava.

"Papà?"

La testa dell'uomo più anziano scattò verso la porta, nervosa, sospettosa, prima di trovare la faccia di Regulus, e poi sorrise. Per un momento, sembrò quasi che non stesse per morire.

"Reggie!" fece per alzarsi ma vacillò, le sue forze erano svanite. Regulus non aveva dubbi sul fatto che Kreacher fosse stato colui che lo aveva aiutato a salire su quella sedia la prima volta.

 Attraversò velocemente la stanza in modo che suo padre non ci riprovasse, chinandosi in modo da potergli avvolgere le braccia.

"Guardati", sgorgò suo padre mentre teneva le mani sulle spalle di Regulus. "Sei cresciuto."

Regulus alzò gli occhi al cielo. "Sono passati solo tre mesi".

Ma suo padre si limitò a sorridere. "Ah, non sei cresciuto in altezza, ma nel cuore, mon chou, i tuoi occhi sono molto più saggi di quest'estate."

Regulus sentì una fitta di qualcosa nel petto, ma lo soffocò rapidamente. Non gli serviva ricordare tutto ciò che era cambiato dall'estate. Non lì. Non adesso.

"Viens," suo padre indicò la sedia di fronte a lui, "asseyez-vous, asseyez-vous. Parle à ton père pendant un moment, parle-moi de ta vie, je deviens fou coincé dans cette pièce".

 Il suo francese era rapido, una parola si fondeva con l'altra. Orion aveva trascorso gran parte della sua infanzia crescendo nella campagna francese, quindi quando era stanco, ubriaco o malato, quello era il linguaggio che veniva fuori. 

Regulus aveva sempre amato il modo in cui suo padre parlava francese, il modo profondo in cui la sua voce avvolgeva le vocali e abbracciava la fine di ogni parola. Lento e scorrevole, in un modo che l'inglese non sarebbe mai stato.

Sua madre lo odiava, ma era solo perché non era brava come lui. Gli insegnanti privati non sostituivano l'infanzia passata a parlare una lingua diversa, e Walburga non poteva sopportare di essere da meno in nulla.

"Va bene, va bene," Regulus prese posto. "Non c'è davvero molto da dire: studio, gioco a quidditch, tutto qui", fece spallucce.

Suo padre fece un verso di scherno, sporgendosi leggermente in avanti sulla sedia. 

"Fai più che giocare, pensavi di poter fare una finta di Wronski senza che Horace venisse a dirmelo, eh?"

Regulus si sentì arrossire. "Non è stato così impressionante."

"Per favore, ho sentito che gli scout stanno già parlando di te. Non si sa mai, potresti essere il giocatore più giovane a firmare con una squadra importante nella storia del quidditch, sai? Su ne sait jamais".

Perchè ovviamente mi fareste giocare, vero? Quasi disse Regulus. Perché entrambi sapevano che anche se fosse stato chiamato da una squadra - l'anno prossimo, tra due anni - Walburga non lo avrebbe mai permesso. Regulus doveva servire alla causa. Tutto il resto era polvere.

"Forse," rispose invece, guardando fuori dalla finestra, il cielo era quasi grigio come la carta da parati. "Ti tengono davvero in trappola qui tutto il tempo?"

Suo padre fece un brontolio irritato. "Dannati guaritori. Non mi lasciano fare niente".

"Stanno solo cercando di aiutare."

"Questo è quello che dicono loro."

Regulus alzò gli occhi al cielo, girandosi di nuovo verso suo padre che stava già alzando le mani in segno di resa. "Merde Reggie, non guardarmi così. Eseguo gli ordini, faccio quello che dicono, lo giuro mon petit".

"Sarà meglio."

"Davvero, è così, perché pensi che sia così infelice eh?" sparò a Regulus un sorriso giocoso che il ragazzo più giovane fece del suo meglio per ricambiare.

"Va bene allora."

"Va bene allora" ripetè beffardo suo padre.

"Non l'ho detto così."

"L'hai detto assolutamente così, mon chou."

Invece di rispondere, Regulus prese uno dei biscotti sul piatto intatto di fronte a lui, osservando la corporatura magra di suo padre mentre prendeva il suo primo boccone.

"Non stai mangiando", disse dopo aver ingoiato. Non era una domanda. Suo padre era il guscio di quello che era una volta, le spalle accasciate, la pelle che pendeva dalle ossa in modi innaturali.

"Sto mangiando", disse suo padre in tono sprezzante, ma Regulus si limitò a guardarlo accigliato, infilandosi in bocca il resto del suo biscotto.

"Non abbastanza."

Orion rise. "Accidenti, chi è il genitore qui?"

Non lo so, pensò Regulus, dimmelo tu. Ma per la seconda volta tenne a freno la lingua.

Suo padre si fermò poi, gli occhi che guizzavano nervosamente verso la porta.

"Non è qui" disse Regulus, rispondendo alla domanda che non era stata posta.

Orion annuì. "Hai parlato con tuo fratello?"

Il cuore di Regulus cadde. Sirius era un argomento pericoloso in quella famiglia e non era sicuro di essere pronto ad attraversare quel campo minato in questo momento.

"Sì," disse lentamente, incerto su cos'altro dire, non quando suo padre lo guardava in quel modo. "Lui è... beh."

Suo padre sorrise dolcemente. "Va bene."

Regulus si limitò ad annuire, guardando indietro dalla finestra.

Si era creata una voragine, tra lui e Sirius, nel momento in cui suo fratello era scappato. In realtà era nata nel momento in cui il fratello non doveva più fare affidamento solo sulla compagnia di Regulus, ma fu solo l'estate scorsa che Regulus pensò che Sirius aveva davvero perso fiducia in lui. Non fu la notte in cui se n'era andato, niente di così esplosivo e ovvio. Fu un momento tranquillo, Regulus era appoggiato alla porta della camera da letto di Sirius, Sirius che lo ignorava.

"Non so cosa vuoi che faccia Sirius," aveva chiesto, sentendosi in parti uguali seccato e dispiaciuto.

Sirius aveva sospirato, stropicciandosi gli occhi come se parlare con Regulus fosse estenuante. Forse lo era.

"Voglio che tu reagisca," aveva detto infine Sirius, le stesse parole che aveva detto a Regulus tutto il giorno. "Reagisci."

Regulus rispose prima che potesse pensarci meglio, prima che potesse ricordare con chi stava parlando.

"Qual è il punto?"

Sirius lo aveva guardato allora, lo aveva guardato come se non l'avesse mai visto prima. Come se non avesse idea di chi fosse. E forse non ce l'aveva.


"Regulus?"

Si alzò all'istante, le braccia rigide lungo i fianchi mentre sua madre apriva la porta della sua stanza. Era una donna esile, i capelli scuri tirati all'indietro, le vesti scure che si accartocciavano ai suoi piedi quando si alzava. Aveva gli occhi di Sirius.

"Maman" disse rigido, incerto su quale dei suoi volti intendesse mostrare oggi.

I suoi occhi lo percorsero prima di fare un passo avanti, prendendogli il mento tra l'indice e il pollice. "Sembri più magro."

Non seppe cosa dire, quindi non disse nulla, rimanendo compiacente e silenzioso mentre lei lo osservava.

"E i tuoi capelli sono troppo lunghi."

A volte invidiava i babbani, loro dovevano mettere tanta energia e determinazione dietro le loro azioni, dovevano camminare ovunque, raccogliere tutto e aspettare che le cose finissero da sole. Tutto era diverso per i maghi. Era tutto troppo facile. Troppo veloce. Le parole erano appena uscite dalla bocca di sua madre prima che sentisse le dita ghiacciate della sua magia. I suoi riccioli caddero senza vita ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo per un momento, triste.

"Molto meglio," sua madre fece un passo indietro, ammirando il suo lavoro. "I tuoi voti sono buoni?" chiese bruscamente, il cambio di argomento fu improvviso ma non sorprendente. Walburga raramente sprecava parole quando si trattava dei suoi figli.

"Sì."

Lei annuì. "Scendi, la cena è pronta. Domani verranno i tuoi cugini".

Regulus sentì il suo stomaco contrarsi mentre si dirigeva verso la porta.

"Quando vengono?" sperò che lei non sentisse la tensione nella sua voce.

"Mezzogiorno," Walburga si lanciò alle sue spalle, già nell'ingresso.

Regulus emise un respiro tremante, poi portò la mano sui capelli appena tagliati. I capelli erano corti e spinosi e quasi rasati a zero. Non erano del tutto scomparsi, ma erano il più corti possibile. Non avrebbe dovuto fare così male. Non era sicuro del perché lo facesse.

I capelli svanirono del pavimento mentre usciva dalla stanza.


Voleva volare ma non c'era spazio. Non lì in città, nascosti dietro strati e strati di incantesimi segreti. Quindi andò a correre.

L'aria era frizzante, il selciato era appena stato sgombrato dalla neve. Regulus potè vedere il suo respiro congelarsi fuori dalle sue labbra mentre lo costringeva ad uscire dai suoi polmoni ancora e ancora. Non era sicuro quanto tempo era stato via, un po', se poteva basarsi sul dolore che sentiva ai muscoli. Tuttavia, non era abbastanza, ancora non era riuscito a calmarsi. Quindi continuò. Isolato dopo isolato. Il sole ora era completamente alto nel cielo, una giornata luminosa per essere dicembre, anche se non c'era calore.

Non si permise di pensare a nient'altro che fare il passo successivo, oltre che a combattere la debolezza delle gambe. Bloccò il mondo che c'era oltre Londra. Oltre Grimmauld. Non pensò a Hogwarts. O a tutto ciò che era accaduto al suo interno. E ogni volta che quei pensieri o sentimenti cercavano di trascinarsi in superficie, creava una nuova scatola. Scavava una nuova buca. Li seppelliva sempre più a fondo.

Riusciva a malapena a stare in piedi quando tornò a casa.

"Padron Regulus ha saltato la colazione", disse Kreacher infelice mentre Regulus si trascinava in cucina, dopo aver fatto la doccia, vestito e leggero.

"Scusa Kreacher," disse mentre si sedeva al tavolo da lavoro, guardando l'elfo correre, preparandosi per il pranzo.

"A Kreacher è stato detto dalla padrona che non può dare da mangiare a Regulus ora, che dovrà aspettare i suoi cugini."

Regulus annuì lentamente, appoggiando il mento sulle braccia conserte e inspirando profondamente. La cucina profumava di cipolle caramellate e roast beef. Il suo stomaco rispose di conseguenza.

Kreacher gli lanciò un'occhiata da sopra la spalla, ma Regulus non si mosse.

"Aspetterò" disse, rassicurando l'elfo.

Ma Kreacher scosse solo la testa. "Non posso dare da mangiare al maestro Regulus, capisce? Mi è stato detto così, quindi non lo farò," Regulus stava aprendo la bocca per affermare ancora una volta che aveva capito, quando un piatto di pane e formaggi apparve davanti a lui.

"Vorrebbe aiutare moltissimo il padron Regulus, ma semplicemente non può andare contro i desideri della sua Padrona."

Regulus sbattè le palpebre, sollevando la testa dalle braccia, un piccolo sorriso che gli tirava la bocca.

"Grazie Kreacher," prese il cibo, tanto più affamato ora che lo aveva di fronte.

"Non mi ringrazi, non sto facendo nulla", ma giurò di aver visto l'elfo fare l'occhiolino.

A Regulus era sempre piaciuta la cucina, forse perché era il posto più caldo della casa, o perché Kreacher gli dava sempre un po' di quello che sta cucinando. Probabilmente, immaginò, era perché il resto della sua famiglia non andava mai davvero lì. Nemmeno Sirius, quando era ancora in giro. Era una bella via di fuga. Un posto dove poteva respirare un po' più facilmente.

Era parzialmente interrata, la finestra sopra il lavandino a filo con l'erba del giardino, le pareti di pietra non trattata, il camino enorme e profondo, che consentiva ogni tipo di cottura e anche la preparazione della burrobirra. Il pavimento e il tavolo erano in legno non verniciato: tutto in quello spazio sembrava giusto e naturale, privo dell'artificio che era sparso nel resto della casa. Non c'erano ritratti, né sgargianti abbellimenti, niente era ricoperto d'oro o d'avorio. Regulus immaginava che era così che avrebbe dovuto essere una vera casa.

Si sforzò di rilassarsi mentre mangiava, costrinse i muscoli a lasciarsi andare.

Inspira. Espira.

Niente importava.

Stava bene. Quella situazione andava bene. L'aveva fatto una dozzina di volte prima, non c'era motivo di pensare che ora sarebbe stato diverso.

La sensazione, quando arrivò, fu come cadere in un lago ghiacciato, ma lentamente. Iniziò dalla testa e scorse attraverso il corpo, le mani si congelarono mentre si dirigevano verso la sua bocca e poi improvvisamente caddero di nuovo sul tavolo.

In piedi.

E lo fece. Prima che potesse pensare al fatto che la voce non era la sua o che una calma innaturale si era improvvisamente stabilizzata intorno alle sue ossa.

Girati.

Bellatrix gli stava sorridendo, riccioli castani selvaggi che le scendevano lungo la schiena mentre Rodolphus si gettò sulla sedia accanto a Regulus, sembrando completamente annoiato dalla situazione.

"Oh piccolo Wegulus," gli premette la punta della bacchetta sulla fronte e lui voleva muoversi, lo voleva, voleva buttarla via, ma non ci riuscì. Non poteva muoversi. Riusciva a malapena a pensare.

"Non impari mai, vero?" Gli fece scivolare la bacchetta lungo il naso, le labbra, facendola arrivare fino al mento.

In ginocchio, disse la voce nella sua testa.

Il suo corpo cadde con una crepa dolorosa sul pavimento di pietra dura. Potè sentirsi tremare, sentire il respiro affannoso nelle sue orecchie. Lei era nella sua testa. Nella sua pelle.

"Cosa dovrei fargli fare adesso?" Bellatrix gli camminava intorno, la mano che gli scorreva sulla testa rasata. Rodolphus si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia, il viso che apparve in vista. Regulus non potè girare la testa, non potè seguire il percorso di sua cugina, non potè distogliere lo sguardo dagli occhi vuoti di suo marito.

"Abbaia" disse, un brutto sorriso che gli allungava il viso.

Bellatrix rise.

Abbaia, comandò la voce.

Abbaia. Abbaia. Abbaia.

E lo fece. In ginocchio, abbaiò.

"Bene" Bellatrix si fermò davanti a lui, continuando a ridere.

Ora basta.

Lui tacque, la gola secca, lottando per respingere la sua presenza nella sua testa e fallendo. Falliva ogni volta.

Bellatrix sporse il piede, l'elegante pelle nera della scarpa che spingeva al centro del suo petto. Se ne accorse a malapena. Sentì le sue costole schiacciarsi. I suoi polmoni a malapena riuscivano a respirare.

"Bacialo" disse, il divertimento chiaro nella sua voce, Rodolphus sbuffò una risata in sottofondo.

Bacialo.

Ci provò. Davvero. Cercò di tirare fuori la sua forza di volontà da dietro il velo dell'incantesimo. Ma non era altro che un grido lontano. Una voce soffocata. Quindi fece come gli era stato detto. Non era quello che faceva sempre?

"Oh eccoti qui" era sua madre, non potè vederla perché Bellatrix non gli aveva ordinato di guardare, non gli aveva permesso di togliere la bocca dalla sua scarpa. Ma non ne aveva bisogno. Avrebbe riconosciuto la sua voce ovunque.

Ci fu una breve pausa, non era sicuro di cosa stesse facendo, cosa pensasse della scena davanti a lei.

"Venite, il pranzo è pronto, Narcissa e Lucius sono già in sala da pranzo", e poi, quasi come se avesse avuto un ripensamento; "Onestamente Regulus, devi imparare a rafforzare la tua mente. Dovete farlo esercitare".

Oh, lo fecero.

Ancora e ancora.

Alla fine dell'estate Regulus si era sentito consumato, come se il suo corpo fosse stato capovolto.

Sentì il rumore delle scarpe di sua madre mentre si allontanava.

"Peccato", Bellatrix lo buttò a terra col piede, "sembra che l'ora dei giochi sia finita."

Sussultò mentre l'incantesimo si interruppe, mentre tornava a schiantarsi contro il suo corpo, afferrandosi con le mani mentre tremavano insieme a tutto il resto.

"Vieni ora cuginetto, non vogliamo certo far aspettare tua madre."

Non riuscì ad alzare la testa, era troppo pesante, la stanza girava. Osservò i suoi piedi: Rodolphus si era alzato dalla sedia, i due se ne erano andati

Inspira. Espira.

La sua pelle era umida, madida di sudore freddo.

Inspira. Espira.

Ebbe appena il tempo di girare la testa prima di vomitare sul pavimento della cucina. Non sapeva come fosse possibile vomitare così tanto, visto che aveva mangiato così poco. Pensava che dopo tutto quel tempo si sarebbe abituato a quella sensazione, ma non era mai così facile. Essere invasi. Non diventava mai più facile e lui non diventava mai più forte.

Regulus crollò sulla schiena, il petto ansante mentre cercava di concentrarsi sulla sensazione del pavimento freddo sulla pelle. Passarono solo pochi istanti prima che la faccia preoccupata di Kreacher apparisse sopra di lui.

"Padron Regulus deve alzarsi ora" disse, posando una piccola mano sulla schiena di Regulus e aiutandolo a staccarsi da terra. Con lo schiocco delle sue dita fece apparire un bicchiere d'acqua che venne premuto sulle labbra di Regulus. Bevve, con gratitudine.

"Grazie," gracchiò. "Scusa per il..." indicò la pozza di vomito accanto a loro, ma Kreacher si limitò a scuotere la testa, schioccando di nuovo le dita, lasciandosi dietro un pavimento pulito.

"Cos'è del vomito per un elfo domestico?"

Regulus quasi sorrise.

"Regulus!" risuonò la voce di sua madre. Non urlò, comandò. C'era una differenza.

Sussultò mentre restituiva l'acqua a Kreacher e si alzava barcollante in piedi. Per un secondo la stanza oscillò.

Inspira. Espira.

"Padron Regulus?"

Reg cercò di forzare un sorriso. "Va tutto bene Kreacher. Devo solo arrivare al tavolo, giusto?"

Non aveva bisogno di vedere la sua faccia per sapere quanto dovesse apparire pallido. E debole.

"Kreacher manderà la zuppa..."

Ma Regulus scosse la testa. "No, meglio non cambiare nulla. Lo sai come sono fatti".

Kreacher si limitò a fissarlo impotente.

Regulus tenne la sua mano premuta contro il muro lungo tutto il corridoio per tenersi in equilibrio, togliendola solo nel momento in cui comparve in sala da pranzo.

La stanza era in gran parte occupata da un lungo tavolo nero. Sua madre era a capotavola, ovviamente, suo padre non si vedeva da nessuna parte – era a letto, Regulus suppose - Bellatrix e Rodolphus da una parte, Narcissa e Lucius dall'altra.

"Eccolo", gli sorrise Narcissa, i capelli biondi incantati per abbinarsi a quelli del suo fidanzato. Si alzò dalla sedia e lo tirò in un abbraccio da cui Regulus fece del suo meglio per non indietreggiare. Non voleva essere toccato. Non adesso.

"Merlino sei diventato così grande, non posso crederci."

Sorrise rigido mentre lei lo tirava sulla sedia accanto a lei. Lucius annuì con la testa in segno di riconoscimento e Regulus fece lo stesso, anche se gli andò lo stomaco in subbuglio.

C'erano degli antipasti sul tavolo, ma Regulus non era sicuro di potersi fidare di se stesso che non vomitasse di nuovo, quindi scelse di concentrarsi sul suo piatto. Gli occhi che seguivano lo schema, le mani serrate in grembo.

Inspira. Espira.

Niente importava.

"Stavi dicendo Rodolphus", sua madre gli rivolse un'espressione distaccata prima di riportare la sua attenzione al marito della nipote.

"Minchum ha accettato di mettere più Dissennatori ad Azkaban, lo annuncerà la prossima settimana, nuove misure di sicurezza. Metterà tutti i fastidiosi Mangiamorte al loro posto".

Gli occhi di Regulus si alzarono a quella frase, alla risata gorgogliante che uscì dalla bocca di Bellatrix.

"Non lo sa, allora?" chiese Walburga mite.

"Minchum? Non ne ho idea. È abbastanza contento che io e Lucius abbiamo suggerito questa soluzione, vero Lu?" Rodolphus squarciò uno dei panini sul tavolo, indicando l'uomo di fronte a lui.

"Apprezza il nostro approccio senza farsi problemi", disse Lucius seccamente, suscitando altre risate da parte di Bellatrix.

"E i Dissennatori? Possiamo fare affidamento su di loro?" sua madre continuò.

Rodolphus alzò le spalle. "Certo, per quello che ci serve" parlò con la bocca ancora mezza piena, masticando pigramente. "Il Ministero non ha mai fatto nulla per loro e il nostro Signore sa essere molto convincente. Non posso dire se combatteranno o meno con noi, ma posso promettere che non combatteranno contro di noi".

"Allora lasceranno andare i prigionieri?" chiese Narcissa, sporgendosi leggermente in avanti.

Rodolphus annuì, deglutendo. "Li andiamo a prendere noi, i Dissennatori ci lasceranno avanzare. Nessun problema."

"Bene", disse sua madre, mentre Regulus sentiva che qualcosa iniziava a graffiargli l'interno della pelle. "Sarà più difficile per loro rallentarci".

"Non che siano stati in grado di fare molto in questo, comunque" ​​disse Lucius seccamente, tra gli sguardi compiaciuti e le risatine basse scambiate intorno al tavolo.

Ci fu un "woosh" d'aria e improvvisamente pentole e piatti fumanti apparvero davanti a loro.

"Ah, eccellente", sua madre si alzò a sedere più dritta, "a tutti, il pranzo è servito".


Diverse ore dopo stavano ancora parlando. I pasti non duravano mai un tempo ragionevole con loro, arrivavano fino al tardo pomeriggio e alla prima serata. Una volta che aveva bevuto un numero sufficiente di brandy e bicchieri di vino, Regulus scivolò via.

Fu un sollievo, la quieta oscura della sua stanza. Per un attimo appoggiò la fronte al muro ed espirò.

Niente importava.

Niente importava.

Niente importava.

Pensò di far visita a suo padre, ma aveva paura di svegliarlo o che lo sentissero al piano di sotto. Che si sarebbero accorti che se n'era andato. No, meglio restare lì. Tranquillo.

Fino alla scorsa estate non si è reso conto di quale scudo fosse stato Sirius per lui. Era facile scomparire quando c'era suo fratello. Patetico, lo sapeva, ma Sirius la gestiva sempre così bene. Si alzava da ogni colpo come se non potesse nemmeno sentirlo. Niente sembrava toccarlo. Invece per Regulus ogni minima cosa sembrava acqua nei polmoni.

La porta si aprì e Regulus si girò di scatto, Lucius gli fece cadere la bacchetta di mano con un colpo solo.

Fanculo.

"Ti stai nascondendo?" l'uomo più anziano sorrise, accalcandolo contro il muro. Il suo alito puzzava di alcol.

"Vattene Lucius." Non lo guardò nemmeno in faccia, ma puntò lo sguardo da qualche parte oltre la sua spalla, era più sicuro in quel modo.

"Bhe bhe, non molto gentile da parte tua," afferrò la mascella di Regulus, tirandola in avanti con una presa che senza dubbio gli avrebbe provocato un livido. "Abbiamo già parlato di quella tua bocca."

Per la seconda volta quel giorno Regulus sentì che stava per svenire. Lucius era troppo vicino...troppo fottutamente vicino e non poteva...non riusciva a respirare. Non poteva sopportare quelle e mani su di lui. Gli faceva male nel profondo.

Avrebbe parlato, ma la presa di Lucius era troppo stretta.

La sua bocca troppo soffocante, premuta contro di lui.

Inspira. Espira.

Niente importava. Se niente contava, niente faceva male.

Regulus portò il ginocchio a scontrarsi contro lo stomaco di Lucius, cogliendo di sorpresa l'uomo più anziano, il che fu sufficiente per lasciare che Regulus lo spingesse via, facendo un balzo per recuperare la sua bacchetta che si trovava sul pavimento vicino alla porta. Le sue dita si erano appena avvolte attorno al manico quando sentì un dolore acuto attraversarlo, la scarpa a punta di Lucius che si conficcava nel suo fianco. Non era abbastanza veloce, non lo era mai. Improvvisamente si ritrovò sulla schiena, il piede di Lucius che premeva sul suo petto.

"Che diavolo era quello, moccioso?" sputò, la bacchetta puntata sul viso di Regulus. Il suo petto lottava contro il peso di Lucius.

"Non lo sto facendo Lucius, non lo sto più facendo."

Lucius inarcò il sopracciglio, "Non lo fai più?" ripetè gelido, spingendo verso il basso Regulus per dare enfasi, costringendolo a un sussulto mentre l'aria abbandonava il suo corpo.

"Si accorgeranno che te ne sei andato," si sentì disperato ora, mentre cercava a tentoni con la mano sul pavimento la sua bacchetta, non sicuro di dove fosse andata dopo che era stato preso a calci.

Una smorfia nauseante si incise nella bocca di Lucius. "Pensi che a loro importi?"

Regulus deglutì, con grande difficoltà. "A Narcissa importa", riuscì a stento a dire. "Quindi, se vuoi che partorisca i tuoi cuccioli purosangue, vattene dalla mia stanza prima che mi metta ad urlare."

Regulus non sapeva cosa avrebbe fatto Sirius in quelle situazioni. Anche se immaginava che non si fosse mai trovato in una di quelle situazioni. Nessuno guardava Sirius e pensava "debole".

Gli occhi di Lucius erano intensi mentre si piegava in avanti, avvicinando i loro volti e inclinando il suo di lato. Come se Regulus fosse un indovinello che stava cercando di risolvere. E poi sorrise.

"Oh Regulus, ti sei trovato un ragazzo?"

Regulus strinse i denti, sentendo la scatola dei suoi pensieri sbattere dentro di lui. Ma la tenne chiusa. La tenne sepolta, mantenne i suoi pensieri vuoti di volti e di voci e di mani che non chiedevano mai più di quello che potevano dare.

"Lo sa che è così che sei veramente?" Lucius fece una risata crudele. "Un verme? Patetico, strisciante e usato?"

Non avrebbe dovuto fare male. Non sapeva perché lo facesse.

Passarono alcuni momenti di teso silenzio prima che Lucius si raddrizzasse, togliendo il piede da Regulus e lisciandosi le vesti.

"Fai come vuoi," disse altezzoso, Regulus che boccheggiava sul pavimento sotto di lui, "Ma sai," continuò mentre si fermava vicino alla porta, la luce del corridoio che tagliava brutalmente la stanza buia, "Alla fine lo scoprirà che piccola cosa triste che sei. E non riesco ad immaginare chi ti vorrà dopo".

Regulus non si mosse finché non fu di nuovo solo. Si sedette contro il muro e tirò le ginocchia verso di se', appoggiandoci sopra la testa.

Inspira. Espira.

Inspira. Espira.

Inspira. Espira.

Si chiese, distrattamente, se le altre persone dovevano anche loro ricordarsi di respirare, o se solo lui aveva questo problema.


Ecco, Roger Flint fu il primo ragazzo a cui non importava cosa volesse Regulus. Ma non fu di certo l'ultimo. 

Voglio che tu reagisca

Questo era ciò che aveva detto Sirius. La verità era che Regulus non reagiva perché era fortemente convinto della causa della sua famiglia. Sulla supremazia dei purosangue. Suppose che forse a volte avevano ragione, non ne era sicuro. Ma in realtà, Regulus rimaneva lì perché non pensava che la fazione di Sirius potesse vincere. Che avessero qualche possibilità. I suoi genitori, i loro amici, loro avevano così tanto potere. Così tanti soldi e influenza. 

Voglio che tu reagisca, aveva detto Sirius. Ma qual era il punto? Che senso aveva combattere per una causa persa?



Regulus trascorse la mattina di Natale con suo padre. Kreacher lo aiutò a portarlo giù in soggiorno, dove il fuoco era acceso e l'albero brillava e suo padre gli fece aprire tutti i suoi regali come se fosse ancora un ragazzino. Bevvero cioccolata calda e mangiarono frittelle.

Suo padre iniziò a cantare una versione terribilmente stonata di Jingle bell e quando Regulus non riuscì a fermarlo, si unì a lui.

Sua madre era fuori. Aveva degli incontri. Secondo suo padre, ne aveva molti in questi giorni, anche se lui rimaneva piuttosto vago su chi fossero o di cosa si trattasse. Regulus non spingeva la questione. Non voleva davvero saperlo.


"Ti ricordi quando avevi sei anni..."

"Già non mi piace come inizia questa storia", rise Regulus dal pavimento, era appoggiato su una mano, le gambe distese davanti a lui mentre guardava suo padre. Era ancora in pigiama anche se era quasi l'una, anche suo padre, anche se in quei giorni raramente indossava altro. In sottofondo c'era il disco di Natale di Celestina Warbeck.

"No, no, questo è bello", sorrise suo padre.

"Uh-huh, non sono sicuro che le nostre definizioni di 'bello' siano le stesse, ma vai avanti."

"Oh il pense qu'il est si drôle... un po' di rispetto non ti ucciderebbe, sai?" strizzò l'occhio a Regulus che alzò gli occhi al cielo. 

"Eri a malapena alto così", tese la mano all'altezza della vita. "E seguivi Sirius ovunque andasse, voi due eravate assolutamente inseparabili."

L'ho seguito ovunque fino al giorno in cui è salito su quel treno, pensò Regulus, ma non lo disse. Suo padre era raramente così di buon umore e non voleva rovinarlo.

"E aveva nevicato tutta la notte, la neve mi arrivava praticamente al collo..."

"Stai esagerando papà."

"Pfft, non è vero, ci saranno delle foto da qualche parte, ne sono sicuro. Ad ogni modo, ci siamo girati per due secondi, lo giuro, stavamo, non so, pulendo la cucina o qualcosa del genere. E poi siete spariti, puf!

"Avevamo sei e sette anni, è difficile credere che fossimo così bravi."

"Oh ma lo eravate, abbiamo perquisito tutta la casa, chiamandovi ad alta voce, tua madre era assolutamente fuori di sé, e poi ho guardato fuori dalla finestra e ho visto una maglietta rossa legata a un bastone in cima al cumulo di neve."

Regulus in realtà lo ricordava. Ricordava quanto le mani gli bruciassero per aver scavato nella neve, ricordava quanto fosse contento quando Sirius gli disse che stava facendo un buon lavoro.

"Quindi uscimmo solo per vedere che voi due avevate trasformato l'intero giardino sul retro in un castello di neve e Sirius uscì vagabondando come suo solito e ci informò, in modo abbastanza formale, che eravamo nella sua proprietà."

Anche Regulus lo ricordava, ricordava di essere rimasto indietro, dentro i loro piccoli tunnel di neve, a guardare Sirius affrontare i loro genitori, da solo. Sempre da solo.

"Disse che sarebbe andato a vivere nel suo castello e che, poiché non era più sotto il nostro tetto, non doveva più seguire le nostre regole". Suo padre iniziò a ridere, non più il suono grosso e chiassoso di una volta, ma calmo, ruvido. Finì con un colpo di tosse.

"Stai bene papà?" Regulus avanzò, posando la mano sulla schiena di suo padre.

"Oui, oui, sto bene Reggie, sto bene", espirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. "Voi due eravate una tale coppia" sorrise tra sé. "Parlate ancora a scuola, vero?"

"Sì papà," mentì di nuovo. "Si. Sempre."

"Bene, bene," i suoi occhi si chiusero, il respiro ancora incerto nel petto. Non ci voleva molto in quei giorni, per sfinirlo. "La famille est importante ma chère, ton frère par-dessus tout, il s'en remettra...tornerà", il suo inglese e il suo francese si fusero insieme.

No, Regulus non ebbe il coraggio di dirgli che no, non sarebbe tornato.

"Forse è ora di riportare il Padron Black nel suo letto?"

Regulus sussultò all'apparizione improvvisa di Kreacher, stringendo la mano in modo protettivo su suo padre prima di costringersi a rilassarsi.

"Sì, sì, è una buona idea", guardò indietro. "Dai papà, ti portiamo di sopra, va bene?"

Suo padre brontolò, ma non sopportava di doversi subire l'espressione che avrebbe fatto Regulus se lo avesse contraddetto

"Joyeux Noël mon fils," borbottò mentre Regulus lo aiutava a mettersi a letto, tirando le coperte fino alle spalle. Si addormentò non appena appoggiò la testa sul cuscino.

"Joyeux Noël Papa".

Si fermò un attimo, ricordando quel giorno sulla neve. Sirius era stato così eccitato. Questo è nostro, aveva detto a Regulus, ci saremo solo noi qui, loro non possono entrare.

Walburga gli aveva tolto la voce per quello. Un colpo di bacchetta e Sirius non riuscì a parlare per tre giorni. Quello, ovviamente, non faceva parte del racconto del padre. Non lo diceva mai.

Regulus arrivò fino al corridoio fuori dalla sua camera da letto prima di fermarsi, guardando dall'altra parte del corridoio, verso l'altra porta. Non la vedeva aperta dalla scorsa estate. Da quando se n'era andato. Era davvero sciocco, stupido, ma si ritrovò comunque a camminare verso la stanza, trovò la sua mano a girare la maniglia della porta.

C'era ancora l'odore di Sirius: prodotti per capelli e stivali di pelle. Le pareti erano ricoperte di rosso e oro, i leoni ruggivano in alto. Per giorni, l'estate scorsa la loro madre era rimasta seduta in quella stanza cercando di staccarli, ma qualunque incantesimo avesse usato Sirius era più forte, perché non era caduto nemmeno un poster.

Non aveva avuto il tempo di prendere nulla, la notte in cui se n'era andato, quindi la sua stanza era rimasta intatta. Come se potesse tornare in qualunque momento. 

Regulus fece un timido passo avanti, verso il letto a lui familiare, le mani che si trascinavano lungo le pareti e i cassetti, come se stesse cercando di assicurarsi che fossero davvero lì. Trascorreva molto tempo in quella stanza. A Leggere, giocare, nascondersi dai mostri.

Sembrava diversa dal resto della casa. Anche dopo che se n'era andato, Sirius impregnava il tutto con la sua presenza. Sanguinava da ogni angolo. Era innegabile. Una forza. Regulus si sedette sul lato del letto, gli occhi vagavano per la stanza, catturarono una foto sul comodino. Tremando, la sua mano si allungò per prenderla, era incorniciata in una goffa cosa di plastica. Ritraeva Sirius e i suoi amici, da qualche parte ad Hogwarts, forse al terzo anno. James era preso in una risata, il sorriso si allargava sul suo viso mentre gettava indietro la testa. Regulus conosceva quella risata, sapeva come suonava, come sentiva e il sapore che aveva.

La scatola fece forza dentro di lui, implorandolo di aprirla, di pensare a tutte le cose che non poteva permettersi in questo momento. Non mentre era in quella casa che era così affamata di farlo a pezzi. Tuttavia, tolse via dal retro della cornice e si infilò la foto in tasca. Stupido.

Esalò un respiro, gli occhi che scrutavano la stanza un'ultima volta prima di alzarsi e tornare nel corridoio.

"Cosa stai facendo?"

Si bloccò con la mano sulla maniglia.

"Regulus?" disse sua madre rigidamente dall'alto delle scale. "Cosa ci facevi là dentro?"

Quasi rideva.

"Volevo vedere se la sua attrezzatura da quidditch andava bene per me", disse in tono piatto, una voce che aveva perfezionato nel corso degli anni. Funzionava sulla maggior parte delle persone.

"Mi stai mentendo?" chiese, avvicinandosi, e Regulus cercò di tenere sotto controllo il battito cardiaco, i capelli che gli si rizzavano sulla nuca mentre i suoi occhi scuri si fissavano su di lui.

"No."

Ma, ovviamente, era troppo tardi. Sapeva cosa sarebbe accaduto anche prima che lei alzasse la bacchetta. Prima che sussurrasse l'incantesimo.

Bruciò quando lei si fece strada nei suoi pensieri, sfogliandoli come le pagine di un libro. Sferzavano davanti alla sua mente ad una velocità vertiginosa, facendogli venire le vertigini. Ma era attento. Era pronto. Aveva messo via tutte le cose che avrebbero potuto ferirlo, le aveva seppellite in profondità. Non le avrebbe trovate, non le...

Fatta eccezione per la foto. L'afferrò, concentrandosi sui volti commoventi dei ragazzi. No, pensò Regulus in modo patetico, sperando che lei non sentisse, cercando di chiarire i suoi pensieri, ma persistevano. No, lasciali andare. Lascialo andare.

Sussultò mentre lei si tirò indietro dalla sua mente.

"Dammela", disse freddamente.

Lui la fissò, incerto sul perché questo sembrasse una sorta di tradimento.

"Regulus. Ora."

Lentamente prese la fotografia, tirandola a malapena fuori dalla tasca prima che lei gliela strappasse via, gli occhi non lasciavano mai il suo viso anche quando gli diede fuoco, lasciandola cadere a terra a raggomitolarsi su se stessa. Diventando cenere.

"Non è tuo fratello", e Regulus quasi sospirò di sollievo, perché non riusciva a capire su chi si stesse concentrando. "Lo capisci?"

"Oui mamam."

I suoi occhi scaltri lo percorsero su e giù, facendogli venire i brividi lungo la spina dorsale. "Quest'estate. Prenderai il marchio".

Sbattè le palpebre. "Che cosa?"

"È tempo, ormai. Le cose stanno accadendo Regulus, devi prendere il tuo posto".

Il posto di Sirius intendi, ma non lo disse ad alta voce.

"Non ho nemmeno finito la scuola" disse, sapendo, ovviamente, che non aveva importanza.

"E non è necessario che tu lo faccia, come se ti insegnassero davvero qualcosa in quel posto. Ti ho permesso di tornare quest'anno solo perché tuo padre ha insistito".

Non disse niente. Non aveva niente da dire. Niente che non finisse comunque con lui che si crogiolava nel dolore.

"Le cose stanno cambiando Regulus", si allontanò, la foto era un mucchio di cenere fredda sul pavimento, "e niente sarà più lo stesso una volta che avremo finito."

Si chiese se lei intendesse suonare minacciosa. Immaginò che probabilmente era proprio così.


Fu Sirius a insegnargli il trucco con la scatola. Gli aveva insegnato a nascondere le cose nella sua stessa testa. Si chiese se suo fratello lo faceva ancora, a volte. Nascondere parti di sé. O se ora che era libero da quel posto non ne aveva bisogno. Se riusciva a ricordare senza paura. Avrebbe voluto farlo. Era sicuro che non avrebbe mai fatto.

Si fece accompagnare a Londra da Kreacher. Era in anticipo di due ore per il treno, ma non sopportava più stare in quella casa. Non andò a Diagon Alley come aveva detto che avrebbe fatto, o al binario 9 3/4. Invece trovò una panchina nella stazione dei treni babbani e prese posto lì, appoggiandosi allo schienale e chiudendo gli occhi, ascoltando la folla che gli correva intorno, i treni in arrivo e in partenza, la voce attraverso l'altoparlante che gli ronzava nelle orecchie ogni cinque secondi. Si sentì... leggero. Un tremore nervoso dentro la sua pelle gli promise che non non sarebbe durato a lungo.


"Regulus?"

Sussultò, gli occhi che si spalancarono, il cuore che sussultò contro le costole. La sua bacchetta era in una fondina all'interno del suo braccio, ma non osò estrarla lì.

Una donna di mezza età era in piedi di fronte a lui, aveva i capelli castano scuro con un'unica striscia bianca sul davanti che era stata intrecciata lungo la testa. Il suo viso era gentile.

Lei gli sorrise dolcemente. "Sono Euphemia Potter", tese la mano.

Regulus sentì qualcosa sparargli attraverso il petto, qualcosa che gli tirò le viscere. Sbattè le palpebre verso di lei e poi verso la sua mano.

"Io..." si scosse. "Scusi, signora Potter, è un piacere conoscerla," allungò una mano e strinse la sua, la presa calda e forte. Ora che l'aveva detto, non potè non vederla: la somiglianza tra lei e suo figlio. La scatola vibrò di nuovo, con tutti i sentimenti e i pensieri che ancora non si sentiva abbastanza forte da affrontare. Non adesso. Non ancora. Sarebbe stato troppo.

"Posso sedermi con te?" fece un cenno al posto vuoto accanto a lui.

"Oh si, certamente."

Non sapeva cosa fare con le sue mani, trovandole alla fine che gli si agitavano in grembo, i suoi occhi incapaci di incontrare il suo sguardo.

"Vedo che anche tu sei mattiniero, eh?" disse gentilmente. "I ragazzi sono andati a Diagon Alley, ma mi è sempre piaciuta questa stazione, un posto eccellente per osservare la gente."

I ragazzi.

Non era sicuro di poter gestire quella conversazione in quel momento, si sentì già sul punto di disintegrarsi.

"Sei emozionato per il nuovo anno? Ho sentito che a breve farai una prima partita di quidditch?

Questo gli fece alzare lo sguardo, incontrando il suo a testa alta, aveva esperienza nel mantenere gli sguardi, ma quello di lei era diverso. Di un'intensità diversa.

"Davvero?" fu tutto ciò che riuscì a tirare fuori, e il suo sorriso divenne un po' più malizioso.

"Oh sì, ho sentito della finta che hai fatto così tante volte che mi sento come se fossi stata lì io stessa a vederla."

Deglutì con difficoltà, incerto su cosa fare sapendo di essere stato un argomento di conversazione in casa Potter.

"Sai, mio ​​figlio è un po' un libro aperto", continuò. Regulus lo sapeva. Ne era ossessionato. Ne aveva paura. 

"Non sono mai sicura se questo significa che ho fatto qualcosa di giusto come madre o qualcosa di sbagliato, ma ora è troppo tardi, in ogni caso, suppongo." I suoi occhi vagavano calmi sulle persone che correvano di fronte a loro. "Ma cavolo, non si è mai acceso così tanto come quando ha parlato di te."

Lei lo guardò e all'improvviso il suo petto si sentì troppo stretto. Per favore, smettila, avrebbe voluto dirle, ma non era sicuro di volerlo davvero. Una parte di lui era avida. Era affamata. Era alla disperata ricerca di sapere più.

"Regulus, voglio che tu sappia," continuò piano. "Che la nostra porta è sempre aperta, va bene? Se mai ne avessi bisogno".

Fu tutto un po' troppo, ad essere onesto. Di recente aveva avuto troppe persone nella sua testa, troppe mani sulla sua pelle. Non c'era niente di stabile in lui: era tutto fondamenta deboli e travi incrinate. Il suo corpo pronto a cedere su se stesso.

"Io..." tossì, cercando di liberarsi della debolezza alla gola. "Dovrei andare, il treno." Anche se entrambi sapevano che aveva ancora un sacco di tempo. Tuttavia, lei annuì con la testa, sorridendo lo stesso.

"Certo, non lasciare che ti trattenga."

Si alzò tremante, sperando di riuscire a superare la barriera del binario nello stato in cui era.

"È stato un piacere conoscerla, signora Potter."

"Effie, per favore."

Annuì anche se sapeva che non l'avrebbe mai chiamata così. Si chiese se Sirius lo facesse. O se lui la chiamasse semplicemente mamma. Era un titolo che le si addiceva, molto più di quanto si fosse mai addetto a sua madre.

Il suo corpo si sentì goffo e fuori posto mentre si allontanava da lei, tra la folla. Nessuno dei suoi arti si muoveva nel modo giusto.

Inspira. Espira.

Niente importava.


Dormì per la maggior parte del viaggio in treno, Evan e Barty litigarono tra loro sui sedili di fronte a lui. Si impegnò a non guardare nessuno sul binario quando arrivò, o nella sala grande a cena.

Ore dopo si ritrovò seduto da solo nella sala comune dei Serpeverde. Incapace di concentrarsi sulle sue letture, o fare uno qualsiasi dei corsi che aveva trascurato durante l'intervallo. Fissò il fuoco e si chiese se non avesse dovuto semplicemente andare a letto. Se non dovesse semplicemente lasciare che tutta quella cosa morisse. Certo, ci aveva pensato prima. L'aveva pensato quasi ogni volta. Non era proprio una domanda, quando la risposta era così ovvia. Avrebbe dovuto. Ovvio che avrebbe dovuto. Soprattutto nello stato in cui si trovava ora.

Il suo piede battè nervosamente sul pavimento, gli occhi che si spostavano dal fuoco, all'orologio sul mantello. Avrebbe dovuto solo andare a letto. Sarebbe stato meglio per entrambi. Avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto. Non lo voleva, ovviamente. Ma avrebbe dovuto.


Si chiese come avrebbe fatto James a sapere di venire, ora che non era in grado di vedere Regulus sulla mappa. Si chiese se si ricordava come entrare. Si chiese se la stanza lo avrebbe tenuto fuori se Regulus glielo avesse chiesto. Non lo avrebbe chiesto, ovviamente, ma ci pensò.


Fece uno sforzo enorme per non guardare il letto, per non ricordare l'ultima volta che era stato in quella stanza, la scatola era ancora chiusa, anche se le crepe avevano cominciato a scheggiarla. Aveva iniziato a far trapelare le cose. Non era affatto sicuro di poterlo gestire. Non era affatto sicuro di come poteva gestirle. Non era mai stato così male. Non si era mai sentito così a pezzi. Era sempre tutto troppo tranquillo in quella stanza, troppo freddo, e ora all'improvviso c'erano così tante persone e voci e così tanto calore che si sentiva come se stesse bruciando.

"Ti sei tagliato i capelli."

La testa di Regulus si alzò di scatto, non sapeva quanto gli era mancato il suono della sua voce fino a quando non si aprì quella porta.

E oh.

Oh.

Oh merda.

Qualcosa gli tirò il petto. Lo strattonò forte. Quella era stata una cattiva idea. Sapeva che era una cattiva idea.

"Sì" disse, perché sembrava che James stesse aspettando una sorta di risposta ed era tutto ciò che aveva da dargli. Sinceramente, si era dimenticato dei suoi capelli. Ultimamente aveva evitato gli specchi, evitando di confrontarsi con la propria faccia. Era più facile così.

"Mi piace" James sorrise, era gentile, Regulus sapeva che aspetto aveva: severo, freddo, spoglio. James si fece avanti, Regulus si era posizionato sulla parete di fondo, di fronte alla porta.

"Posso-"

"No." La parola uscì da Regulus così in fretta che riuscì a malapena a credere di averlo detto, e all'istante James si fermò. Le mani gli caddero lungo i fianchi. Sembrava che lo facesse da sempre, era perfetto. Capelli in disordine, occhiali macchiati. Perfetto.

Inspira. Espira.

Niente importava.

"Va bene," disse James, chiaramente cercando di riprendersi. Quella non era senza dubbio l'incontro che pensava di avere. Regulus sapeva che gli stava facendo del male. Sapeva che non sarebbe dovuto andare.

James si appoggiò allo schienale del divano. "Passato un buon Natale?" chiese incerto.

Regulus voleva ridere. Lui sicuramente no. "Certo, tutto bene. Il tuo?"

Era difficile concentrarsi, era stato difficile concentrarsi tutto il giorno. Era sempre un po' uno shock culturale tornare a scuola dopo essere stato a Grimmauld Place, ma quello, quello era proprio un altro livello.

Questa volta dovevi nascondere di più di te stesso, disse la voce nella sua testa.

"Reg?"

L'ultima volta che ti ho visto ero felice.

"Regulus?"

L'ultima volta che ti ho visto, mia madre stava cercando di strapparti via dalla mia testa.

"Regulus?" James ripetè il suo nome per la terza volta, ora più forte e spaventato. Era chiaro che avesse parlato e Regulus non ne aveva sentito una parola.

"Scusa", il tremore era iniziato ed era difficile tenerlo fuori dalla sua voce. "Non mi sento bene."

Potè vedere quanto James volesse disperatamente annullare lo spazio tra loro, ma non lo fece. Non fece un solo passo.

"Vuoi che ti porti in infermeria?"

"Non puoi portarmi in infermeria", perché qualcuno potrebbe vederci, ma non lo disse, la voce nella sua testa rasentava la crudeltà. La odiava. Ma non la fermò.

"Nessuno ci vedrà a quest'ora."

Regulus scosse la testa. "Non lo puoi sapere, e poi non voglio comunque andare in infermeria. Voglio solo tornare nella mia stanza. Voglio solo dormire."

Dolore, imperfettamente represso dal bel viso di James Potter.

Sono innamorato di te da quando avevo undici anni, pensò.

"Va bene," disse James alla fine. "Se questo è quello che vuoi."

Regulus annuì, lasciando che rimanessero in un teso silenzio solo un minuto in più prima che in qualche modo riuscisse a costringere le gambe a muoversi. Non guardò James.

"Reg?"

Una parte di lui non voleva fermarsi. Era così vicino, così vicino ad essere fuori di lì. Così vicino a liberarsi dal dolore crescente nel suo petto. Dalle crepe nelle sue ossa.

Ma si fermò, guardando dietro di sé per trovare James impassibile, la faccia spalancata.

"Mi sei mancato," gli fece un debole sorriso e Regulus sentì la sua mano stringere intorno alla maniglia della porta di fronte a lui nel tentativo di rimanere in piedi.

"Ci vediamo domani", fu tutto ciò che disse, non aspettando di vedere quale effetto avevano avuto quelle parole su James prima di buttarsi nel corridoio.

Aveva solo bisogno di tornare nella sua stanza. Aveva solo bisogno di chiudere gli occhi. Aveva solo bisogno di non essere sveglio per un po'.

Regulus si infilò le mani in tasca mentre si muoveva per i corridoi, con passo deciso, concentrato.

Inspira. Espira.

Niente importava. Se niente importava, niente faceva male.


"Black, curioso vederti qui."

I passi di Regulus balbettarono ma non si fermarono. Conosceva quella voce, la conosceva senza nemmeno girarsi.

"Beh, non è molto educato," Severus Piton si mise al passo accanto a lui.

"Mi stai seguendo adesso?" Regulus chiese a denti stretti, gli occhi molto determinati in avanti mentre fece uno sforzo per trattenere il respiro a un ritmo ragionevole.

"In realtà, avevo altri affari di cui occuparmi, ma così ho preso due piccioni una fava. Mi è sembrata un'ottima opportunità per ricordarti quel favore che ancora mi devi"

"Non ti devo un cazzo," ringhiò Regulus, troppo stanco per questo, troppo distrutto.

"Ah-ah-ah, penso che tu sappia che non è vero. A meno che tu non voglia che una certa voce si muova..."

Regulus sospirò. "Oh per favore, basta con le minacce vuote. Non dirai niente a nessuno".

"Non ne sarei così sicuro."

Regulus si fermò così bruscamente che Piton quasi inciampò su se stesso cercando di fare lo stesso. 

"Vorresti entare, eh Piton? Vorresti entrare a far parte della squadra? Vorresti andare in giro con Mulciber e Avery e definirti un Mangiamorte? Allora fossi in te starei attento a quello che dici su di me."

Piton lo guardò, chiaramente preso alla sprovvista, e Regulus sogghignò in un modo che sapeva lo faceva sembrare sua madre.

"Tu non sei nessuno," spinse Regulus, sentendo la rabbia, la paura e il dolore delle ultime due settimane che si sforzavano di uscire contro la sua pelle. "Tua madre non è nessuno. Tuo padre babbano non è nessuno. Pensi che ti permetteranno di unirti senza l'aiuto di persone come me?" rise e non riconobbe il suono della propria voce. "Quando hai il sangue più infimo di quella sanguesporco che non riesci nemmeno a scoparti?"

Successe velocemente.

Un minuto prima erano uno di fronte all'altro e quello dopo Piton lo teneva premuto contro il muro. Qualunque cosa teneva insieme Regulus, allora si spezzò. Come una diga, tutto si schiantò, tutto ciò che aveva cercato di tenere sotto controllo, di tenerlo sepolto. E non riuscì a respirare. Non riuscì a respirare. Ci provò, ci riprovò, ma niente sembrava funzionare.

Inspira.

Inspira.

Dai, inspira.

Ma aveva undici anni e Roger Flint lo stava schiacciando.

Inspira.

Inspira.

Inspira.

Era intrappolato nella sua camera da letto, il piede di Lucius Malfoy sul petto.

Inspira.

Inspira.

Inspira.

Sapeva che Piton stava parlando, sputandogli veleno in faccia, ma Regulus non riusciva a sentirlo. Si chiese se qualcuno fosse mai morto in questo modo prima d'ora. Perché il suo cuore si era appena arreso.

"Hey! Togliti di mezzo".

Nel momento in cui la presa di Piton venne strappata dalle sue spalle, crollò, le gambe incapaci di sostenerlo. Ma non cambiò nulla. Le sensazioni orribili che graffiavano la sua pelle, il dolore - il dolore che ora faceva molto più male - non andarono via.

Inspira.

Inspira.

Inspira.

Bellatrix era nella sua testa. Non poteva muoversi. Non riusciva a battere le palpebre. Sua madre stava sfogliando i suoi ricordi. Suo fratello stava uscendo dalla porta.

Inspira.

Inspira.

Inspira.

"Cosa sta succedendo qui?"

Era vagamente consapevole di una terza voce. Vagamente consapevole che qualcosa stava succedendo intorno a lui: corpi, incantesimi, piedi che si trascinavano sul pavimento di pietra.

Si dondolò avanti e indietro, le unghie che gli affondavano nelle ginocchia.

Lui lo sa che è questo che sei veramente? chiese Lucius. Un verme? Patetico e strisciante e usato?

Inspira.

Inspira.

Inspira.

Alla fine lo capirà. Che piccola cosa triste che sei. E non riesco a immaginare chi ti vorrà dopo.

Inspira.

Inspira.

Inspira.

C'erano chiacchiere, voci, lui sapeva che c'erano. Non sapeva cosa stessero dicendo però. Non pensava che importasse così tanto. Cosa potevano fargli? Cos'altro potevano fare?

"Regulus?"

James apparve, inginocchiato davanti a lui, le mani tese ma che non lo toccavano. Poteva sentire la sua magia, poteva sempre sentire la sua magia. Dolce e calda, si arricciava intorno a lui ma senza stringerlo. Regulus cercò di trattenerlo, cercò di usarlo come una corda per tirarsi fuori da qualsiasi buco in cui era caduto, ma non funzionò.

"Regulus, ho bisogno che tu respiri, va bene?" i suoi occhi stavano implorando, e solo in quel momento Regulus si rese conto di aver sentito la voce di James Potter nella sua testa per tutto quel tempo.

Inspira. Espira.

Aprì la bocca per parlare ma non riuscì, quindi scosse la testa. Strinse gli occhi.

"Va bene, va bene, starai bene."

E Regulus si chiese come facesse a dirlo senza soffocare.

"Quindi, ho scoperto che mia madre sa di Patroclo e Achille", continuò James, la sua voce bassa, calma. Stava solo parlando, "non chiedermi come, è un po' matta, sono abbastanza sicuro che sappia tutto onestamente. Ad ogni modo, ho iniziato a leggere l'Iliade, cosa che pensavo mi avrebbe colpito un po' di più, sai, pensavo fosse più sdolcinata, ma è principalmente un gruppo di ragazzi che si uccidono a vicenda. Non che mi stia lamentando".

Qualcosa uscì da Regulus, ed era quasi una risata. Non sapeva se stesse piangendo. Sperò di no.

"E poi, ovviamente tifo per i greci, ma devo essere onesto, un po' mi piace Ettore".

Ora Regulus rise per davvero, bagnato e ruvido com'era. I suoi occhi si aprirono e il mondo apparve sfocato. Quindi stava piangendo, allora.

"Certo che ti piace Ettore."

E oh se James sorrise a questo. Lento e morbido. "Eccoti qui," quasi sussurrò.

Regulus si rese conto che era vero. Stava tremando e piangendo e non era affatto sicuro di potersi alzare in piedi, ma stava respirando di nuovo. Grazie a Merlino stava respirando di nuovo.

"Sig. Potter?"

La voce fece alzare lo sguardo a Regulus, un'ondata di nausea lo investì quando vide Gazza e Piton lì in piedi. Il naso di Piton sanguinante, il colletto della camicia strappato.

"Porta il signor Black in infermeria e poi torna al tuo dormitorio" continuò Gazza. 

"Racconterò tutto alla McGonagall e a Lumacorno, senza dubbio ti vedrò in punizione domani sera."

"Sì,signore," disse James senza esitare, ancora accucciato sul pavimento.

"Vieni con me, tu" Gazza spinse Piton lungo ilcorridoio, i cui occhi non avevano smesso di rimbalzare da James aRegulus. "Vieni ho detto!" Gazza gli diede un'altra spinta e Piton con riluttanza distolse gli occhi da loro, lasciandosi quasi trascinare in direzione dei dormitori di Serpeverde.

All'inizio tacquero, in attesa che i passi si allontanassero lungo ilcorridoio.

"Regulus..."

Ma si interruppe quando Regulus si allungò in avanti, tirandogli la maglietta, tirandolo a sé.

"Woah-hey," c'era un po' di strascico, James si mosse in modo che la sua schiena fosse contro il muro, tirando Regulus in grembo, come un ragazzino, ma non gli importava, poggiò la faccia contro il petto di James.

"Mi dispiace," borbottò, la voce ancora ruvida. "Mi dispiace."

"Shh, ehi, no, va bene Reg, stai bene."

E niente di tutto ciò era vero, ma non si preoccupò di correggerlo. James fece scorrere dolcemente la mano su e giù per la schiena di Regulus, baciandogli la sommità della testa.

 "Questo va bene?" gli chiese.

E Regulus annuì. 

"Siamo nel corridoio," disse stupidamente, ma James sembrò capire. Regulus lo sentì spostarsi sotto di sé, tirare fuori la bacchetta. Pochi secondi dopo qualcosa cadde sopra le loro teste. Regulus sbattè le palpebre, alzando lo sguardo.

"Ci hai appena coperto con un mantello?"

James annuì. "E'un mantello dell'invisibilità."

Regulus lo fissò. "Hai un mantello dell'invisibilità?"

"Sorpresa!"

Regulus scosse la testa, premendo di nuovo il viso contro la maglietta di James. 

"Mappa magica, mantello dell'invisibilità...sei ridicolo."

James rise piano. "Così dicono."

Era al caldo tra le braccia di James, quindi rimase così, Regulus non volle muoversi, James probabilmente aveva paura di farlo. 

Alla fine, Regulus si sentì sussurrare; "Mi ha tagliato i capelli", pensò che avrebbe iniziato di nuovo a piangere. Non sapeva perché.

James annuì. "Ricresceranno," disse, dando un altro bacio sulla testa di Regulus. 

"E poi, te l'ho detto, mi piacciono. Da vero duro".

Regulus sbuffò per metà ridendo.

"Ridicolo."


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