Non fecero nemmeno denuncia.
Valutarono che era meglio tenere carabinieri e polizia lontani da quella casa. D'altro canto, soldi ne avevano e potevano permettersi di comprare tutto quello che volevano, ma non subito, l'acquisto compulsivo non avrebbe avuto alcun senso. Si limitarono a prendere una nuova serratura, poiché così gli venne consigliato.
«Che due coglioni!» grugnì Alessandro accigliato, mentre in ginocchio finiva di montare il nottolino. Poi provò ad aprire e chiudere e fortunatamente funzionava.
«Tuttavia, se sei del mestiere, non hai bisogno delle chiavi per entrare» informò l'Illuminato, che seguiva le operazioni da vicino. «Quando hai gli attrezzi giusti non c'è serratura che tenga».
«Forse è andata proprio così e nessuno ha fatto doppioni» commentò Riccardo, mordendosi un labbro nervosamente. «Comunque questa storia non ci voleva».
«Una vera iattura!» gli fece eco Alessandro.
Di fatto fu un evento che li riportò alla realtà.
Adele aveva ragione.
Frequentavano gente di merda.
Anche se erano consapevoli che non avevano a che fare con stinchi di santo, non riuscivano a concepire l'idea che alcuni fossero capaci di meschinità di tale bassezza: rubare in casa di amici.
Dopo varie riflessioni conclusero che qualcosa doveva cambiare. Dovevano fare selezione, stare più attenti e tornare a studiare. Spacciare droga non poteva essere l'unico obiettivo della loro vita. Era indispensabile avere un fine più alto.
Ma le parole erano una cosa e la realtà un'altra.
Pochi giorni e i buoni propositi svanirono come neve al sole, almeno per Riccardo. Lui con noncuranza riprese le solite vecchie abitudini, che consistevano in niente lezioni, zero studio e un sacco di gente intorno con cui relazionarsi.
Al contrario di Alessandro, lui non era soggetto a particolari pressioni. Nessuno gli chiedeva conto di quello che facesse. Iris, a differenza di Adele, non era interessata. Lei stessa non è che avesse chissà quale voglia di studiare. Lo faceva per dovere e ci dedicava giusto il tempo necessario.
Tra i due solo Alessandro iniziò a percepire un disagio, un malessere che strisciava silenzioso nello spazio cupo dei suoi pensieri. Un'inquietudine di fondo che si amplificava al buio, quando spegneva la luce, e scompariva al mattino dopo il risveglio. Il sonno era agitato e tormentato da demoni che non lo facevano riposare. L'allegria che ostentava spontanea iniziò ad apparire sfumata e ombrosa. Di fatto, esibiva una postura senza entusiasmo, che a fatica mascherava il ribollire frenetico dei suoi conflitti interiori.
Lo scopo della sua essenza era cambiato. Il suo era diventato un vuoto esistenziale. Una forma di disconnessione dal mondo che lo portava a vivere in un deserto arido che non contemplava nessun significato, se non irrequietudine e ricerca continua di nuovi eccessi per dare continuità all'inconsistenza dei precedenti.
Quella che pensava fosse vita vera si era trasformata in vita persa. Provato psicologicamente capiva che doveva reagire, che quel comportamento non poteva continuare. La sua sensibilità glielo suggeriva. Il suo cervello, in balia degli stupefacenti e del rimorso, stava per andare in stallo come un aereo che non aveva più portanza. Dopo mesi di quell'esistenza il peso del giudizio e del fallimento tornarono a riproporsi come una ghigliottina opprimente.
Il furto, la rissa, i rave andati male, il ribrezzo per le serate borderline, la nausea per sé stesso, i messaggi in chat del gruppo, le telefonate dei genitori e l'insistenza di Adele, risvegliarono in lui - finalmente - la sua coscienza assopita.
Devo ridare un senso a tutto e ricominciare da zero.
Nel tentativo di placare l'ansia che lo attanagliava come una morsa ferina chiese gli appunti in chat a Giulia e decise di preparare almeno un esame. Andare a recuperarli a casa sua fu un'esperienza altrettanto traumatica, quasi come ricevere un altro pugno in faccia. L'umiliazione e la vergogna che provò in quei momenti lo turbarono profondamente. Lei gli esami li aveva fatti tutti, e superati col massimo dei voti. Capiva che se avesse seguito il suo esempio non sarebbe stato lì a mortificarsi, ma sullo stesso podio a celebrare il successo.
«Non serve che fai le fotocopie, quando finisci me li ridai, fai con calma» disse lei sulla porta, passandoglieli. Poi aggiunse: «Non ti si vede più in giro. Sei sparito completamente. Che ti è successo?»
«È una lunga storia. Magari un giorno te la racconterò» rispose Alessandro abbassando lo sguardo, consapevole che non sarebbe mai successo. Quella realtà - in cui lui ci annegava sconosciuto a sé stesso - lei nemmeno poteva immaginarla. «Grazie di tutto» chiosò, riponendo gli appunti nello zaino.
«Figurati! Mi fa piacere aiutarti. Momenti difficili possono sempre capitare» replicò lei comprensiva.
Annuì in assenso. «Scusa, ma adesso devo andare».
Quindi girò i tacchi e si allontanò senza nemmeno un sorriso.
Per avere più tempo scelse quello che aveva l'appello con la data più lontana. Diede fondo al suo residuo senso di responsabilità e provò a riprendere le vecchie abitudini.
«Studia. Non perché devi, ma perché lo vuoi. Sei ancora in tempo. Ce la puoi fare. Non ti manca nulla. Studia!» ripeteva guardandosi fisso nelle iridi, riflesso nello specchio del bagno.
Ma non era facile.
In quella casa, e intorno a lui, la vita scorreva frenetica, in eccesso e leggerezza. Seguiva una routine fatta di amici, chiacchiere, devastazione e spaccio. Al tavolo si alternavano vecchie glorie e nuove promesse.
Un via vai itinerante e intermittente.
Era facile cedere, lasciarsi andare, ma lui iniziò a reagire.
Diluì i suoi propositi con la realtà in cui era immerso. Si adattò a quella confusione inserendoci nel mezzo i suoi libri e gli appunti. Iniziò ad alternare la dimostrazione di un teorema a uno spinello, la risoluzione di un esercizio a un tiro di coca, la comprensione di una formula a un bicchiere di rum. Prese l'abitudine a studiare nelle condizioni più estreme e sotto l'effetto di svariate sostanze stupefacenti.
Di base era costantemente fuso.
Ogni cosa diventava sempre più impegnativa, più faticosa; per caparbietà non tolse mai gli appunti dal tavolo. Era una questione di principio. Se fosse stato il caso avrebbe fatto spazio spostandoli di lato o al massimo sul mobile di fianco. Per alcuni diventò un mito - l'uomo dalle imprese straordinarie - per altri solo un perditempo che faceva finta di studiare.
Quando alla data dell'appello mancavano ormai pochi giorni Alessandro cadde in depressione. Gli argomenti che doveva studiare erano ancora troppi. Poteva solo sperare nella fortuna o in un voto basso. Non aveva alternative. Il tempo bruciato era troppo, così come i mesi passati a non fare niente.
A mattina, mentre un sole vivo riempiva di luce calda la sala, Alessandro seduto al tavolo studiava, o perlomeno ci provava. Le interruzioni erano continue.
«Ale ma che cazzo stai a fa? Butta quei libri!» fece Tigei, facendogli l'occhiolino.
«Lascialo studiare. Almeno lui ci prova» lo difese Riccardo, apprezzando il suo sforzo.
«Tieni! Fumate almeno sta canna» continuò Tigei, indifferente ai suoi tormenti.
Tutto contribuiva a rallentarlo, a trascinarlo nella consistenza densa delle sabbie mobili. Era il richiamo verso l'ignoto, un mondo permeabile nascosto nell'oscurità.
La sregolatezza, la droga e la mancanza di sonno lo avevano messo al tappeto. Era stanco e spossato. Le articolazioni gli facevano male e la testa iniziò a pulsargli come il tamburo battuto di un monastero zen, con un dolore insistente e insopportabile.
Stufo di quella situazione prese un antidolorifico, gli appunti e uscì di casa senza dire niente. Pensò che il modo migliore per far passare ogni malanno fosse quello di stare all'aria aperta, lontano da quell'ambiente tossico e deteriorato. Anche se quella era la sua casa - quella che secondo i propositi iniziali doveva garantirgli indipendenza e autonomia - non era certo l'ambiente ideale per riposare e riprendersi.
Sprofondato nei suoi pensieri fece una lunga passeggiata. Raggiunse il Monte dei Cappuccini e, come altre volte aveva fatto, si sedette a cavalcioni sul muretto a osservare il panorama circostante.
Sull'acqua del fiume il sole scintillava creando una danza dai riflessi dorati. Su quei riverberi scivolavano lenti cigni bianchissimi. Rondini veloci attraversavano il cielo. Nelle aiuole primule e narcisi coloravano di primavera. Gli alberi intorno, con la loro chioma lussureggiante, celebravano la rinascita.
Quanta meraviglia!
Oltre quell'orizzonte azzurro si fermò a contemplare i misteri dell'essere umano. Pensò al ciclo della vita, al suo mondo e a sé stesso. Con la mente tornò a rievocare fatti ed eventi che lo avevano travolto, trascinandolo in circostanze fuori da ogni logica, e portato a camminare su sentieri che mai avrebbe immaginato di poter percorrere. Tutto per inseguire quel desiderio - mai sopito - di emozioni forti. Una smania che lo aveva reso una persona che mai avrebbe desiderato: un drogato, uno spacciatore, un buono a nulla.
Come la natura, che si rinnovava a ogni primavera, anche lui sentiva il bisogno di rinascere e di rigenerarsi. Doveva ripartire, con grinta, verso una nuova vita.
Il dolore finisce quando viene rimossa la causa. Pensò realizzando che il suo mal di testa era passato.
Alla pari di un dolore che sopraggiungeva all'improvviso, sentiva nell'anima una sensazione di profonda sofferenza, silenziosa e maledettamente presente. L'ansia che percepiva era un male che poteva essere eliminato solo rimuovendo la causa.
Quel giro fuori controllo doveva essere chiuso.
Non voleva avere ombre sul suo futuro.
Era giunto il momento di dire basta.
Di cambiare ogni cosa.
Staccò dai pensieri, prese gli appunti e si mise a studiare.
Passò un paio d'ore a ripassare, poi la fame ebbe la meglio e lo portò dritto in una pizzeria al taglio sotto i portici. Addentò un pezzo di focaccia, bevette una birra e quando finì il telefono vibrò. Un messaggio.
Adele: «Ciao. Ho finito la lezione e sono passata da casa tua. È un delirio quel posto e son dovuta scappar via. Dove sei?»
Alessandro: «Sono stato al colle a studiare. Ti raggiungo. Dove ti trovo?»
Adele: «Sto andando a casa mia. Ti aspetto lì».
Alessandro: «Arrivo».
Restò spiazzato. Come una fitta che coglie all'improvviso percepì all'istante che qualcosa non andava. Si alzò e si incamminò piegato come una canna di bambù dopo la prima raffica di vento.