๐˜—๐˜ฆ๐˜ณ๐˜ญ๐˜ฆ ๐˜ฆ ๐˜ณ๐˜ฐ๐˜ด๐˜ด๐˜ฆ๐˜ต๐˜ต๏ฟฝ...

Par ohmykjin

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Anni '70, Seoul Jeon Jungkook, chiamato anche ๐˜“๐˜ฆ ๐˜๐˜ช๐˜ด๐˜ช๐˜ฐ๐˜ฏ๐˜ฏ๐˜ข๐˜ช๐˜ณ๐˜ฆ, รจ uno dei fotografi piรน famosi di... Plus

Trama.
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Par ohmykjin

- Dobbiamo parlare, che ne dici? - disse Jennie squadrando la ballerina.
Artemis d'altro canto, sembrava su un altro pianeta. Il solo impatto visivo nel vederla, lì, in piedi davanti a lei, era abbastanza per frastornare le ultime credenze che portava appresse nel suo cuore.
Era disposta a rinunciare alla parte più vera di sè stessa per far trionfare l'amore che provava per Mise?
Era giusto rinnegare il suo essere donna pur di continuare ad amare quella ragazza sotto le spoglie di finto uomo? Sotto le spoglie di Park Jimin?

Non esisteva una soluzione capace di regalarle entrambe. Avrebbe perso lo stesso, qualsiasi fosse stata la sua scelta.

- Jimin? - Artemis posó i vetri che aveva in mano sul bancone. Nel sentire quel nome, la donna sorrise. Non perché ci fosse qualcosa di divertente o ironico, ma sorrise nell'amarezza del dolore, nel constatare che quel nome non le apparteneva più, ma che sentirlo pronunciare dalla bocca di altri individui, aveva ancora il potere di ferirla, di piegarla.

- Meriti una spiegazione Artemis. È l'unica cosa che ti chiedo, poi, se non vorrai più vedermi, lo accetterò - quanto le costava ammetterlo! Era frustrante persino pronunciare quelle poche parole, come avrebbe potuto dirle tutto ciò che meritava di sapere?

- Ma non accetterò andarmene via di qui senza che tu sappia la verità -
aspettó che Artemis reagisse. Le sarebbero andate bene anche una sfuriata, delle urla, un misero va bene per constatare la realtà dei fatti.
Quando alzó lo sguardo sulla ballerina, Mise fece solo un breve cenno con il capo.

Le fece un cenno con la testa, indicandole la porta dietro di lei, i riccioli ossigentai che le ricadevano sul volto ad ogni movimento.
Si ricordava quel piccolo sgabuzzino da quel giorno in cui Hoseok l'aveva trascinata lì per raccontargli la verità. Paradossale che dovesse tornarci esattamente per lo stesso motivo.

Artemis si accomodó sopra una scatola di cartone, contenente i rifornimenti di bicchieri e calici, che, puntualmente ogni sera finivano frantumati sul pavimento dalle mani degli urbiachi.

- Ti ascolto - la ballerina aveva poggiato una mano sotto il mento, guardando l'altra donna scacciare la tensione con gesti spasmodici dei polsi.
Jennie aveva il respiro pesante. Finalmente il momento che si era pregustata solo con l'immaginazione era arrivato. Sperava tanto che il suo cuore ne sarebbe uscito indenne.

- Avevo intenzione di dirtelo da tanto, tanto tempo Mise - cominció la donna. Era talmente nervosa che non riusciva nemmeno a sedersi da qualche parte. Il suo corpo aveva bisogno di scaricare la tensione, e ció implicava camminare avanti e indietro in quel minuscolo buco.

- Non è una cosa facile da dire. Non mi aspetto nemmeno che tu capisca - prese un grande respiro, sentendo la cassa toracica e l'addome espandersi. Era inutile girarci attorno, tanto valeva strappare il cerotto, brutalmente, sperando che non avrebbe causato troppe conseguenze. Puntò il suo sguardo sulla ballerina e la verità venne a galla.

- Io sono una donna, Artemis - ecco, l'aveva detto. L'aveva detto ad alta voce! Artemis non aveva un'espressione scioccata, tantomeno disgustata, sembrava semplicemente sorpresa di averla sentita senza peli sulla lingua.

- Lo so, sembra inconcepibile. Sono nata nel corpo di un uomo Mise. Sono intrappolata in un corpo che non mi appartiene. Questo... - disse indicando il suo involucro - non sono io - Jennie sentiva le lacrime in gola, conscia che quella realtà sarebbe stato l'ostacolo con cui avrebbe dovuto lottare per tutta la sua vita.

- Per ora, la donna che sono, vive solo nella mia testa. Io mi sento una donna, sono una donna. Come te Artemis. Siamo stati abituati a pensare che il corpo con cui nasciamo debba definire le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre decisioni. Che al mondo esiste qualcosa che è solo per donne, o solo per uomini, ma non è così. Se mi sentissi un uomo e avessi la passione per i tacchi, pensi che il mondo me lo lascerebbe fare? - chiese Jennie guardando la ragazza dritta negli occhi.

- No, no che non me lo lascerebbe fare. Il nostro corpo è la croce che dobbiamo portare per tutta la nostra vita, Artemis. Come se non bastasse, Dio ha voluto giocare con me. Sai cosa faccio quando sono a casa da sola? - Artemis scosse la testa. Sembrava provata da quel racconto, le mani giunte, gli occhi lucidi.

- Mi metto davanti allo specchio e immagino di avere un seno, di avere dei fianchi più stretti, di avere un profilo morbido, di potermi truccare e vestirmi con il mio abito migliore e uscire fuori di casa. Così potrei vivere come voglio - le lacrime calde ormai inzuppavano anche il colletto della camicia che indossava.

- Non puoi amarmi e stare insieme a me vedendomi come un uomo. Non è ciò che voglio, e non è ciò che sono. Io sono Jennie - dette quelle ultime parole, Jennie si sentì sprofondare nell'oblio. La parte peggiore era andata, aveva fatto uscire tutto. Si accasció, facendo scivolare la schiena sulla credenza dietro di lei, fino a toccare il pavimento sudicio.

Non vedeva più niente, il pianto aveva decisamente preso il sopravvento, e tentó anche di nasconderlo con le mani premute sugli occhi.
Se ne accorse solo quando le percepì. Le braccia calde di Artemis attorno a lei.
La teneva così stretta da soffocarla, i suoi capelli ricci che le facevano il solletico a contatto con il viso bagnato.

- Se pensi che ti odi, sei molto lontana dalla realtà - sussurró la bionda all'orecchio dell'altra ragazza.
- A dire la realtà, non ti ho mai odiata Jennie. Ero solo sconvolta e non capivo cosa stesse succedendo. Ho reagito male quella sera e per questo mi scuso - mentre parlava le accarezzava la nuca, nel tentativo di tranquillizzarla.

- Certo, avrei voluto che tu me lo dicessi senza che ci fosse stato quello spiacevole inconveniente, questo non lo nascondo. Dopotutto io ti ho raccontato tutta la mia vita, no? - Jennie annuì, ancora sepolta in quell'abbraccio.

- Ciò che voglio dirti è che ci sarò sempre per te, Jimin - pronunció Artemis. Qualche secondo dopo si sentì il rumore di una mano che andava ad infrangersi contro la pelle. Probabilmente la ballerina si era appena schiaffeggiata la fronte dopo essersi accorta del suo errore.
- Jennie, perdonami. Penso dovró farci l'abitudine -

- Mi dispiace così tanto Artemis - sussurró Jennie.
- Ora è passato, ho capito - rispose.
- Peró voglio essere sincera con te. Ma ora non credo di riuscire ad amarti nello stesso modo in cui ti amavo prima, Jennie, romanticamente parlando. Non fraintendere, ti voglio un bene dell'anima. Solo che sono attratta dagli uomini, questo lo sai.
Non voglio rischiare di mancare di rispetto a te, o peggio, intraprendere una relazione quando ancora devo metabolizzare la cosa - lo sapeva. Sapeva che sarebbe andata a finire così. E nonostante se lo aspettasse, faceva male comunque.

- Voglio averti nella mia vita Jennie. Da uomo, da donna o da nessuno dei due. Spero solo che tu capisca cosa sto cercando di dirti. Sei stata la luce più luminosa della mia vita negli ultimi mesi, come potrei lasciarti andare? -

- Lo so Artemis, capisco cosa stai cercando di dirmi - la donna sospiró. L'abbraccio si era sciolto, e ora si guardavano negli occhi.
Jennie azzardó un sorriso per smorzare la situazione e Artemis la seguì a ruota.

- Partners in crime? - domandó Jennie. In quell'istante, non sapeva perfettamente come definire quelle emozioni agrodolci. Era felice per averle detto la verità, ancora di più dopo aver visto come l'aveva presa, ma era a pezzi, data la consapevolezza che il loro amore era finito lì. Che il suo corpo era un ostacolo a tutto ciò che provavano. Forse non era giusto, ma doveva accettare la sua decisione. In fondo Artemis voleva ancora averla nella sua vita, no? Era abbastanza.

- Fino alla fine - la ballerina le sorrise, spostandole una ciocca di capelli da davanti al viso.

-E ora andiamo a casa mia, che ho assolutamente dei vestiti da farti provare -

~

- Ti ho già detto che non serve! -

- Blablabla Taehyung non ti sento! - urló Jungkook, un enorme sorriso sul viso.

- Jungkook! Smetti di fare lo stronzo! - urló di rimando il modello. Jungkook camminava pochi metri davanti a lui, un paio di jeans neri a vita alta e una maglietta dei Genesis a fasciargli il corpo tonico.

Sembrava così normale. Non seppe spiegare esattamente il perché, ma Jungkook non era mai parso più sereno e tranquillo di così.

- Non faccio lo stronzo, voglio solo farti un regalo, quante storie! - le strade, a quell'ora del pomeriggio erano strabordanti di traffico, persino sui marciapiedi bisognava fare a gara a chi passava per primo.
Le temperature miti e la bella giornata avevano convinto persino i topi da biblioteca ad uscire dal loro covo.

- Ma tu guarda questo... - sussurró Taehyung fra sè e sè.

Perso nei suoi pensieri, aveva smesso persino di guardare davanti a lui, tant'è che quando rialzó lo sguardo, Jungkook era sparito.
Dove si era cacciato ora? Sicuramente si era infilato in uno di quei negozi pensando che lo seguisse.

Decise di aspettarlo, appoggiandosi al muro dell'edificio.

Dieci minuti più tardi, Jungkook sbucó dalla porta di un negozio con una piccolissima sportina in mano.
- Vieni princesse, andiamo - disse il fotografo ancora più felice di prima.

- Ma cosa hai combinato si può sapere? -

- Ho comprato il regalo ovviamente! - Taehyung lo seguì, girando l'angolo dell'edificio. Superarono un parcheggio, e finirono in un piccolo giardino all'aperto, con al centro un'enorme statua di un uomo probabilmente caduto in battaglia durante la guerra fra le due Coree.

Si nascosero dietro la statua, accanto ad un albero che li proteggeva da occhi esterni.

- Spero di aver preso bene le misure - sussurró Jungkook, estraendo dalla sportina due piccoli cofanetti blu.

Jungkook aprì la scatolina, attento a non farsi vedere dall'occhio attento di Taehyung, che ormai ne aveva carpito il contenuto.

Il fotografo gli porse una mano, il palmo verso il cielo, suggerendogli con uno sguardo di imitarlo e poggiare la sua mano sul suo palmo bianco.

Jungkook si schiarì la voce e poi parló.
- Taehyung, vuoi sposarmi? - il modello quasi si strozzó con la sua stessa saliva. Cosa aveva detto quello scellerato?

- Sei impazzito? -
- Secondo te? Ho comprato degli anelli, diciamo così, per sport? - domandó.
- Mi sembra che tu sia fuori di testa - Jungkook scoppió a ridere.
- Sto scherzando, per il momento almeno -

- Volevo che tu potessi avere sempre qualcosa che ti ricordasse di me in qualsiasi istante, Taehyung - Jungkook prese l'anello e lo poggió sull'unghia dell'anulare del suo ragazzo.
- Per ricordarti che quanto tutto va a puttane, io ci sarò sempre. E che ti amo -

Taehyung annuì, il cuore sciolto come burro fuso, un sorriso talmente genuino che avrebbe potuto contagiare il mondo intero.
Jungkook gli infiló l'anello. Calzava a pennello. Era una fascia d'argento, con piccole incisioni decorative su tutta la superficie. Era bellissimo e solo a immaginarsi il prezzo, Taehyung si sentiva male.

- Ti amo anche io. E lo adoro da pazzi -
- Sono contento che ti piaccia. Poi ovviamente ne ho comprato uno uguale anche per me -
- Quindi un po' è come se fossimo sposati? - suggerì il castano.
- Non proprio sposati sposati, ma mezzo sposati, quindi sì, direi di sì. E poi il matrimonio non è solo uno stupido foglio di carta? -

Taehyung fece di sì con la testa.
- Posso mettertelo io? - chiese.
- Certo che sì - Taehyung prese l'altro anello e guardó il suo ragazzo negli occhi.

L'anello scivoló perfettamente sul suo anulare.
- Attento perché d'ora in poi saremo mezzo sposati - pronunció il modello.

- Non potrei chiedere niente di meglio, Kim Taehyung - e nonostante la paura, nonostante non fosse per niente un luogo sicuro, nonostante i pregiudizi degli altri, le loro labbra si trovarono.
In quel momento contavano solo loro due.

NOTA AUTRICE
lo so, sono sparita per un mese e mezzo tipo.
Sono stata in quarantena per 37 giorni. Lontana da casa altrettanto.
È stato un periodo difficile, l'università, gli esami, la mancanza di famiglia e amici. È stata dura.
Ma ora sono tornata, sono qui.

E spero che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia.
Fra poco finirà, e con essa, anche un pezzo del mio cuore.
Mi farebbe molto piacere leggere dei commenti riguardo a questo capitolo, ci tento particolarmente.

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