Chatting With A Stranger

Von martixlevi

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𝑙𝑒𝑣𝑖 π‘Žπ‘π‘˜π‘’π‘Ÿπ‘šπ‘Žπ‘› π‘₯ π‘Ÿπ‘’π‘Žπ‘‘π‘’π‘Ÿ Amare uno sconosciuto, Γ¨ possibile? Assapora la bellezza di innamor... Mehr

introduzione
[1] noia
[2] instagram
[3] obbligo
[4] insonnia
[5] numero
[6] chiamata
[7] scudo
[8] assenza
[9] videochiamata
[10] puzzle
[11] alba
[12] luce
[13] routine
[14] imbarazzo
[15] proposta
[16] notte
[17] bugiarda
[18] annuncio
[19] sogno
[20] college
[21] countdown
[22] partenza
[23] abbracciami
[24] praga
[25] inizio
[26] alcol
[27] lussemburgo
[28] caffè
[29] parigi
[30] festa
[31] sconosciuto
[32] doccia
[33] coppia
[34] gelosia
[35] rabbia
[36] saturno
[37] delusione
[38] mia
[39] londra
[40] pensieri
[42] berlino
[43] pianto
[44] amore
[45] addio
[46] fiamma
[47] occasione
[48] veritΓ 
[49] cancella
[50] errore
fine

[41] insieme

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Von martixlevi

Mi svegliai illuminata da un raggio di sole che colpiva i miei occhi chiusi.

La notte avevo dormito davvero poco.

Le gambe mi reggevano a stento, perché anche se ero cosciente, buona parte del mio corpo stava ancora dormendo. Così mi muovevo più o meno come una morta vivente.

Levi era già sveglio, seduto di fronte il tavolino che era posto in fondo alla stanza, che preparava del thè caldo.

Con le braccia avanti e la testa ciondolante, barcollai dal letto al tavolo.

Mi sedetti.

"Buongiorno." disse Levi guardando i miei occhi gonfi per via del pianto della sera prima.

"Buongiorno, puoi fare del thè anche a me?"

"È già pronto."

Presi il bicchiere che stava sul tavolo con una mano, la brocca, riempita da Levi e già calda, con l'altra. Versai l'acqua bollente nel bicchiere, facendone cadere un po' sui bordi.

Poi presi una bustina del thè, senza neanche guardare di quale si trattasse, e la immersi dentro l'acqua calda.

"Grazie." dissi a Levi e portai il bicchiere sulle mie labbra sorseggiando lentamente.

Seduta con gli occhi chiusi, nell'aria umida della stanza, ascoltai i rumori che giungevano da dietro le pareti che  avevo intorno.

Levi era in silenzio, sentivo tutto. I suoni arrivavano poco alla volta, alla spicciolata.

Sentii per prima una bambina. Piangeva. Non avevo idea di chi fosse, non l'avevo mai sentita prima. Poi udì i passi strascicati di sua madre che andava a prelevarla dalla culla. La sentì fare quella vocina piccola che facevano le mamme ai bambini che piangevano.

Sentii poi una risata, dalla camera da letto esattamente sopra la mia testa. Anzi due, le risate erano due. Non sentivo nessuna parola provenire da lì, solo risate.

Subito dopo mi arrivó lo scroscio dello sciacquone del bagno alle mie spalle. Poi il getto della doccia che venne aperta, lo scorrere della porta. E una voce di donna, che stonó una canzone alla moda.

Io stavo in silenzio, non facevo nessun rumore e così anche Levi.

Ascoltavo soltanto, briciole delle vite nascoste oltre le pareti che ho intorno. Pareti che non mi appartenevano.

Loro, le persone nelle camere dell'albergo londinese che mi circondavano, non sapevano nulla di me, non mi sentivano, non potevano: stavano vivendo la loro vita, non prestavano attenzione al resto del mondo.

Io invece sì, prestavo attenzione, seduta al tavolo con Levi, immobile, silenziosa, respirando a fatica li ascoltavo.

E mi sentivo sola.

Completamente sola.

"A cosa stai pensando?" sussurró Levi come per non voler interrompere quella quiete.

"Niente."

Finì velocemente il bicchiere e mi alzai dal tavolino, ma Levi mi fermó.

Allontanandomi di un passo, la sua mano continuó a stringere il mio braccio, come vi fosse rimasta incollata, come se avesse avuto bisogno di reggersi per non cadere all'indietro.

I miei occhi si posarono sul punto in cui le sue dita facevano presa sul cotone della mia maglietta, quindi si alzarono, interrogativi, su di lui.

"Voglio che tu mi dica cos'è successo ieri." disse.

Strinse più forte il mio braccio.

"Non mi piace vederti in quel modo." continuó.

I suoi occhi scuri avevano una nota di tristezza sospesa, ed erano lucidi, lucidi e tremolanti, come se stesse per mettersi a piangere.

Non so perché, ma posai la mia mano destra sulla sua, nel punto in cui mi stringeva.

Strinsi anche io, leggermente, e gli dissi: "Andrà tutto bene, non preoccuparti."

Per quanto fossero prive di qualsiasi fondamento, quelle parole ebbero l'effetto di riscuoterlo.

I suoi occhi persero un po' del velo di disperazione che li ricopriva e, guardandomi fisso, con le labbra che tremavano come se avesse voluto sorridere, ma non ne fosse capace.

"È per tuo padre?" mi chiese.

Sentì il veleno che mi si allargava nel sangue, cominciai a percepire la fatica nel respirare, l'aria che faceva resistenza nella gola, i colpi del cuore che si facevano più lenti e pesanti.

"T/N, parlami."

Il sudore mi si geló addosso.

Se non chiedevo aiuto, se non mi affidavo completamente a lui, anche solo per un secondo non avrei mai finito questo incubo.

"Ieri mio padre mi ha detto cose brutte." spiegai, "Davvero brutte."

Amarsi è sopportarsi, pensai mentre i respiri mi si facevano caotici.

Avevo caldo e freddo allo stesso tempo, avevo i brividi.

Allora cedette, rilassó la presa sul mio braccio che scivoló fino alla mia mano.

Sgranó gli occhi. Avrebbe voluto dirmi qualcosa, ma la rabbia cedette d'un tratto il posto allo stupore. Era sorpreso da quel che, inaspettatamente, aveva sentito.

"Vieni qui." aprì le braccia per farmi sedere sulle sue gambe.

E così lo feci, mi ritrovai in men che non si dica accucciata alle sue braccia e seduta sopra di lui.

Sentii i muscoli prima indolenziti sciogliersi, ammorbidirsi.

"Non dovrai tornare a casa da sola stavolta." sussurró accarezzandomi i capelli.

"Cosa?" domandai confusa.

"Voglio che vieni a vivere con me a Berlino, fino a quando te la sentirai."

Il dolore mi faceva tremare, ma stavo bene, dentro in quei momenti.

Grazie a lui mi trasformavo, non ero più i miei pensieri, non ero più i miei rimpianti o i miei sensi di colpa, non dovevo preoccuparmi di nulla.

"Vuoi venire con me allora?" ripetè, "Così nel frattempo rifletterò su quell'offerta di lavoro."

"Si, si, voglio venire con te."

Lo amavo da impazzire.

Un suo braccio mi avvolse il collo e lo strinse a sè mentre lasciava dei piccoli baci sulla mia testa, bagnando leggermente di saliva i miei capelli.

"Così rivedrai anche Hanji ed Erwin." mi ricordó.

Sorrisi pensando a come avrebbe reagito Hanji sentendo che sarei stata qualche giorno a vivere insieme a tutti loro.

"Sei più serena ora?" domandó.

Spostai la mia testa appoggiandola sul suo braccio in modo da poterlo guardare negli occhi, anche se dal basso.

Mi osservava innamorato e le sue dita sfioravano le mie guance, trattandomi come se fossi stata una goccia d'acqua sul suo palmo della mano.

"Si, vieni." alzai le mani per portare le sue labbra sulle mie.

Sentii un "Mmhhh" da parte sua prima di fare unire le nostre bocche.

Io rimasi pietrificata e pensai che tra tutti i baci che gli avevo dato, quello fosse l'unico vero bacio.

Lo fissavo, chiusi gli occhi e mi scesero delle lacrime per emozione. Il suo alito fresco odorava di menta. Il suo profumo mi inebriava le narici.

Capii che lui era il mio primo vero amore.

Mi concentrai su noi due e su quel bacio, lasciandomi pian piano andare in quel vortice di speranza, in quel vortice d'amore.

Quando ci staccammo, iniziammo a guardarci per un tempo indefinito.

"Ti amo." sussurró.

"Ti amo anch'io."

Le farfalle nello stomaco svolazzavano e avevo un gran bisogno di riprendermi, ma non ce la facevo.

Mi vergognavo tantissimo e mi mancava l'aria.

L'effetto che aveva su di me era indescrivibile.

"Staremo insieme, ti farò conoscere Berlino." disse, "vivremo insieme, dormiremo insieme, mangeremo insieme-"

"Per sempre?" chiesi interrompendo il suo discorso.

Levi mi guardó alzando un sopracciglio, deluso dalla mia domanda.

"T/N...sai che non posso saperlo."

Non volevo perderlo.

Provai delle sensazioni che non avevo mai provato, era tutto bellissimo con lui. Non volevo smettere di sentirlo ridere e parlare delle sue cose.

"Lo so." risposi, "Scusa, è stata una domanda stupida-"

"Se potessi, ti sposerei." lui interruppe me.

Sentivo il mio cuore a mille e un vuoto nella pancia.

"E perché non lo fai?" lo provocai.

"Ci sono tanti motivi, ma se continui giuro che ti rubo e scappiamo via."

Sorrisi e mi sedetti a cavalcioni su di lui unendo le braccia intorno al suo collo.

"Dove vorresti scappare?" chiesi.

"Lontano da tutto e da tutti, dove nessuno può dirci niente, solo io e te." sussurró appoggiando le mani sui miei fianchi, "E nessun altro."

"Facciamolo."

"Intanto vivremo insieme per un po' a Berlino, magari scoprirai che non ti piace la mia mania della pulizia." scherzó ed io ridacchiai.

"Si, hai ragione potrebbe non piacermi."

Lo vidi aggrottare le sopracciglia come se si fosse offeso.

"Stronza." mi prese in braccio buttandomi sul letto.

Inizió a baciarmi ovunque, sulle guance, sul collo, fino al petto e alzó addirittura la maglietta per sentire i seni. Una sua mano però, mi solleticava lo stomaco.

"Levi!" urlai mentre ridevo dato che cercava di farmi il solletico.

Le mie risate furono interrotte dalla vibrazione del mio cellulare, sembrava una routine ormai.

Il corvino si fermó per sollevarsi e guardare il mio telefono che era sul comodino accanto a noi.

Il suo viso cambió radicalmente leggendo la notifica, diventó più arrabbiato, le sue labbra si abbassarono in segno di disapprovazione.

"Chi è?" domandai spaventata.

Senza rispondermi, prese il telefono e me lo passó, rivolgendo lo schermo verso i miei occhi.

Subito lessi la notifica e capii come mai era così incazzato.

Sconosciuto:
Ciao T/N, sono Jean!
Non so se ti ricordi di me, ci siamo conosciuti in quella festa a Parigi, la notte della festa inaugurata da Eren Yeager. Hanji mi ha dato il tuo numero dopo che te ne sei andata.
Volevo sapere come stavi!

Deglutí e dopo aver letto i messaggi tornai a guardare Levi negli occhi.

"Io- Non- È stata Hanji a dargli il numero!" mi giustificai.

"Si ricordo, ma ora ti ha cercata."

Sbuffai e cercai di dire un'altra parola, ma il telefono vibró di nuovo tra le dita di Levi.

Sconosciuto:
Comunque sei davvero bellissima, mi piacerebbe se ci conoscessimo meglio.

Merda.

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