Eccesso e Leggerezza

By Carlo_Lollo

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Alessandro deve decidere cosa fare della sua vita. Decide di partire e di spostarsi in città. Trova l'amore... More

Tutto in un istante
1 - Partire?
2 - Scusa, ma non posso fermarmi!
3 - Hai mai fumato?
4 - Wow, che meraviglia!
5 - Dove sei?
6 - Emozionata?
7- Ti va di ballare?
8 - Ma pensa te!
10 - Hai visto che figata?
11 - Cerca un posto e siediti
12 - Tu cosa prendi?
13 - In fondo la vita è questo
14 - O la va o la spacca!
15 - Occhi negli occhi
16 - E' roba molto forte
17 - E ora che faccio?
18 - In che senso?
19 - Ti aspetto
20 - Cosa c'è che non va?
21 - Ci devo pensare
22 - Ma dove siete finiti?
23 - Meglio non pensarci
24 - Qualcuno chiamò la polizia
25 - Questi sono pazzi
26 - Parlare fa bene
27 - Il giorno del giudizio
28 - Lo vuoi un caffè?
29 - Chiamala fortuna!
30 - A te cosa piacerebbe fare?
31 - Come stai?
32 - Non fa male?
33 - Quando ci rivediamo?
34 - Come dargli torto!?
35 - Sei un grande!
36 - L'indirizzo lo sai?
37 - In bocca al lupo!
38 - E se ci stancassimo?
39 - Grazie per la stima
40 - Lo sai che ti voglio bene
41 - Conosci qualcuno?
42 - Ma non scherzare!
43 - Il grande giorno
44 - Mi piace l'odore dei soldi
45 - Allora vuoi proprio esagerare?
46 - Dai stendete quel pezzo
47 - Ti giuro che ne uscirò
48 - Addirittura!
49 - Pensi mai al futuro?
50 - Come delle star!
51 - Il senso del tutto è che nulla ha senso
52 - Vi vedo molto presi
53 - Aiuto... E ora?
54 - Solo i conigli scappano!
55 - Ricominciare da zero
56 - Mi hai convinto
57 - È facile perdersi
58 - Cosa intendi per roba grossa?
59 - Il business più grosso mai concepito
60 - Bene, bravi. Mi avete sorpreso
61 - Nessuno poteva crederci
Ringraziamenti

9 - A volte è meglio essere ignoranti

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By Carlo_Lollo

Nel collegio il cambiamento arrivò improvviso.

Alessandro - colto alla sprovvista - ci finì dentro, e come lui molti altri che si fecero influenzare senza accorgersene.

L'artefice fu Riccardo.

Lui amava coinvolgere e trovò facile inserirsi e relazionarsi. La sua natura sociale gli aprì la strada. Sorrideva, scherzava ed era autoironico. Un modo di fare contagioso che lo portò in breve tempo a essere un collettore per i tipi più eclettici della residenza. La sua principale caratteristica era la capacità oratoria, che gli permetteva di raccontare eventi e situazioni con inusuale trasporto. La sua esposizione era così avvincente che spesso le sue storie sembravano prender vita al momento. Aveva uno stile narrativo da palcoscenico.

Come conseguenza di ciò la hall smise di essere, almeno per Alessandro, il luogo di socializzazione privilegiato. Il nuovo punto di riferimento divenne la camera di Riccardo. Lui fumava e ogni tanto lo si vedeva in giro pure col sigaro. Cosa che sorprendeva non poco. All'occorrenza lo accompagnava con un bicchiere di rum, come fosse in un bar dell'Avana. A chi gli chiedeva cosa provasse ripeteva: «Il sigaro è un'opera d'arte, ha un cuore e un'anima. Quello che conta è il gusto, il sapore che ti lascia sul palato. Può essere delicato o deciso, amaro o dolce. Dipende dal tipo. Alcuni permangono giusto il tempo di una boccata, altri - i migliori - persistono come una grandiosa scopata».

All'amore per i sigari, aggiungeva la passione per gli incensi. Ne possedeva di ogni genere, e ogni occasione era buona per accenderne uno. Gli piaceva esaltarne le caratteristiche e le peculiarità: fragranza, provenienza, intensità, fattura. Secondo lui quelli realizzati a mano erano i migliori. Sintetizzava tutto con poche frasi: «L'incenso unisce mondi lontani e culture diverse. Chiudi gli occhi, respira e viaggia usando la tua fantasia. Le emozioni che provi, combinate tra loro, creano l'armonia dei sensi». Come conseguenza, la sua camera emanava sempre un profumo particolare che colpiva diversamente chiunque vi entrasse. Era una fragranza intensa e tossica allo stesso tempo, e Alessandro, ogni volta che vi passava, non poteva fare a meno di aprire la finestra. Lui nemmeno fumava e quell'odore intenso andava oltre il suo livello di sopportazione. Almeno nelle prime fasi.

«Vieni! Ci beviamo una cosa!» era il suo invito standard.

In breve tempo quella stanza divenne il riferimento per i momenti di distrazione. Il luogo giusto dove fare una pausa. Lì si parlava, si scherzava, si raccontano storie e curiosità. Chi partecipava finiva immerso in un flusso di parole e accumulava suggestioni e sensazioni positive.

Alcuni, per non essere di peso, incominciarono a portare bevande e spuntini: birra, vodka, rum, biscotti, cioccolata, patatine. Così il tempo scorreva più leggero e partecipato.

Del cerchio più stretto, quelli che diventarono gli habitué, alcune figure risaltavano particolarmente. Stranamente erano tutti più grandi. Le matricole erano solo loro due.


Uno dei personaggi più caratteristici era un ragazzo italo-argentino soprannominato Cuba Libre.

Cuba Libre aveva doppia cittadinanza. Inizialmente si era trasferito in Spagna; poi - non soddisfatto dell'ambiente - era venuto a studiare in Italia. L'impressione che dava era quella di uno studente poco appassionato; pareva che lo studio non fosse il suo reale obiettivo. Ciò nonostante, frequentava l'ultimo anno e aveva superato gran parte degli esami. Portava i capelli lunghi, il pizzetto e le basette alla Wolverine. Aveva sempre l'espressione di chi si era appena svegliato. Si manteneva da solo lavorando come barman nei fine settimana. Gli piaceva preparare cocktail e il suo obiettivo di lungo periodo era quello di aprire una catena di bar tutta sua. Lo studio era secondario, lo vedeva più come patrimonio di conoscenza che immaginava gli sarebbe servito per gestire al meglio la sua futura attività imprenditoriale.

Tra le varie cose era pure cleptomane. Una deviazione di cui tutti erano a conoscenza. Rubava non perché ne avesse bisogno, ma per autocompiacimento. Di base trafugava alcolici. A ogni serata che faceva portava via una bottiglia. La faceva sparire come per magia. Nessuno se n'era mai accorto. Mesi di lavoro avevano fatto sì che la sua camera fosse rifornita come un bar. Infatti, negli scaffali - al posto dei libri - faceva bella mostra una selezione delle più rinomate marche di alcolici. I libri non apparivano nemmeno, quelli erano nascosti da qualche parte, invisibili all'occhio. I più vecchi li aveva addirittura buttati.

Man mano aveva accumulato anche gli accessori del mestiere: shaker, misurini, beccucci, pinze, blender, bicchieri da cocktail. Non gli mancava niente.

Una notte si superò e tornò in collegio con un tavolino da bar sulle spalle. Qualche sera dopo portò pure le sedie. «Amico, se vieni a trovarmi voglio che assapori la bontà delle mie creazioni come fossi in un vero locale. In tutta comodità» disse quasi a giustificarsi, con la sua inflessione spagnola e il suo uso ripetuto del sostantivo "Amico".

Se l'ospite avesse avuto qualche desiderio avrebbe chiesto e lui preparava al momento. Lo faceva con piacere. A volte non era nemmeno necessario domandare, preparava lui qualcosa di speciale, improvvisando. D'altronde non c'era cocktail che non sapesse fare; in quello era un vero specialista. Nel prepararlo descriveva l'arte della creazione, l'alchimia degli elementi e l'essenza dei preparati.

«Amico, senti prima il profumo e poi il gusto. Assaporalo piano» suggeriva. Quel lavoro lo faceva con grande soddisfazione. A titolo gratuito. Come forma di benvenuto.

Era un gesto fatto col cuore.


L'altro personaggio curioso era Filippo De Lellis, detto l'Artista; lo studente di Belle Arti dal fare anticonformista. Altezza media e capelli sulle spalle. Indossava sempre una giacca trendy sopra ogni cosa. Era una persona socievole e di buon carattere, ma con una visione della vita tutta particolare. Una visione da sognatore. Tutto quello che lo circondava era per lui prodigioso. Per stupirsi gli bastava vedere uno scoiattolo nel parco, un uccello volare, immergersi nell'acqua, ascoltare il vento, ammirare un fiore o semplicemente guardare le stelle. Sembrava vivesse in un mondo astratto, subliminale. Con lo sguardo deliziato poteva perdersi nel vuoto a immaginare contenuti da creare; o fissarsi a guardare un panorama, una nuvola, un albero, per minuti interminabili.

«Bisogna apprezzare l'infinita bellezza delle cose e fare di tutto per catturarla e fissarla su qualcosa che sia permanente. Nell'arte esprimi la tua voglia di rappresentare; libertà che trovi esclusivamente nella solitudine dell'osservare. Solo così riesci a percepire il senso dell'infinito e ad assorbire gli elementi essenziali per creare» disse un giorno, mosso da trasporto estatico.

Sperimentava diversi tipi di forme artistiche: pittura, scultura, fotografia, incisione e ogni tanto si dedicava pure al lavoro in ferro. «Con l'arte esprimi ciò che con le parole non riesci a dire. Serve a trasmettere sensazioni ed emozioni. L'artista aspira alla perfezione, al bello. Vuole creare capolavori che superino la dimensione umana» gli piaceva sottolineare.

Costantemente alla ricerca della via migliore per esprimere il suo talento, si struggeva per trovare qualcosa di unico a cui nessuno avesse ancora pensato. La sua creatività influenzava positivamente la sua vita, donandogli un sorriso sempre vivo.


Poi c'era Eugenio Pisaretti, l'Illuminato.

Un ragazzo alto, magro e riservato. Un tipo che non guardava mai negli occhi i suoi interlocutori. Preferiva leggere il movimento delle labbra. Leggermente stempiato, aveva il viso butterato dall'acne, un naso a becco di falco, gli occhi verdi e le spalle strette. Si vestiva in modo modesto e trascurato. In generale si prendeva poca cura di sé, non ci teneva all'apparenza, al punto che spesso indossava calzini spaiati.

Lui voleva solo essere.

Allo scopo era dotato di grande saggezza e conoscenza. Dava l'idea di essere onnisciente. Di sapere ogni cosa come un oracolo. Questo era uno dei motivi per cui non gli piaceva essere contraddetto, se affermava qualcosa lo faceva con cognizione di causa. Nondimeno era cosciente dei suoi limiti e cercava di migliorarsi informandosi costantemente. Viveva di cultura. Qualcuno lo definiva un secchione e, in effetti, nel suo libretto universitario figuravano solo trenta e trenta e lode. Allo stesso tempo era un tipo anticonformista e poco categorizzabile. Era di compagnia, gentile, sagace, ma poco sorridente. Riccardo un giorno confessò: «Lui è succube della gravità del pensatore, della sapienza che dà sofferenza. A volte è meglio essere ignoranti».

Tra le donne si distingueva Asia Bertelli, alias Suicide Girl. Studentessa di Moda e Costume. Lei era la ragazza alternativa. Aveva un bel sorriso e uno sguardo intelligente. Guardandola si aveva l'impressione di fare un salto indietro nel tempo. Aveva un look che si rifaceva allo stile punk alternativo, richiamando modelli di pin-up anni Cinquanta. Il suo corpo era decorato con tatuaggi e piercing. Ne aveva ovunque. Nel suo essere tatuata non c'erano intenzioni trasgressive o di ribellione. Voleva solo costruire un'immagine di sé che fosse compatibile col suo sentire interiore. L'io nascosto nel suo profondo. Un giorno raccontò: «Il corpo rivela la nostra vera identità. È come una tela che attende di essere dipinta. Per iniziare l'opera bisogna raggiungere il giusto livello di consapevolezza e dare le prime pennellate. Ogni tatuaggio deve nascere da dentro, deve impreziosire ed esprimere significati. Personalmente, quando arriva il momento, lo sento spingere per uscire, quasi come un parto, e quando succede faccio in modo che vada a fissarsi da qualche parte. Alcuni tatuaggi sono delicati, altri chic. Sul mio corpo sono incastonati fiori, animali, forme, mandala, visi, parole. Io impazzisco a guardarli. Per me ognuno è una rivelazione». Poi aggiunse: «E per completare l'opera servono anche le giuste decorazioni. Ci sono parti del corpo che risaltano maggiormente se trovi il giusto piercing».

«Tipo?» domandò Alessandro con candore.

Lei, senza rispondere, alzò la maglia facendo vedere quelli che aveva all'ombelico e ai capezzoli, due mezzelune pendenti che erano fissate alle estremità. «Non sono bellissimi?» fece lei con un certo autocompiacimento.

«Bellissimi!» risposero in coro i presenti.

«Perché sui capezzoli?» chiese Alessandro incuriosito e sorpreso da quella esibizione.

«Mi piace quando mi baciano lì, perché con un piercing il capezzolo diventa molto più sensibile e quindi il contatto è più piacevole.»

«Capisco» fece Alessandro, colpito.

Quel giorno il discorso finì lì, senza che nessuno avesse altro da aggiungere.


Quindi c'era Elena Diletta, detta la Marsigliese, non perché fosse di Marsiglia, ma perché a suo modo era una rivoluzionaria. Aveva due gambe strepitose, portava i tacchi a spillo ed era vestita sempre in modo elegante. Aveva un sorriso malizioso e la pelle bruna. Bionda tinta e sicura di sé, camminava sempre a testa alta. Era ambiziosa e voleva fare la giornalista. Le piaceva scrivere e aveva talento. Spesso collaborava con dei giornali online. Era sempre piacevole passare del tempo a chiacchierare con lei. Univa intelligenza ed eleganza. «Il fisico ha la sua importanza, ma non puoi impressionare tutti solamente con un bel visino e due occhioni grandi. A parte Ale, bisogna convincere col cervello!» ribadì.

Non di rado si prestava a provocazioni e avances, a cui comunque non dava seguito. Sapeva di essere bella e ci giocava. Le piaceva stuzzicare senza concedersi.

Sia per Riccardo che per Alessandro rappresentò da subito una tentazione, ma lei aveva una relazione a distanza a cui teneva, e in fretta si capì che non c'era verso di farsi una storia con lei.


Al gruppo si unì anche Silvia Tonetto. La ripescata. L'aveva trascinata Alessandro. Tra le tante la persona più normale. Dolce, carina, sincera. Le piaceva bere e fumare, ma senza eccessi. Con la sua simpatia riusciva a entusiasmare. Era la ragazza giusta di cui innamorarsi, ma Alessandro e Riccardo avevano altro per la testa. Privilegiavano l'attrazione fisica alle questioni sentimentali e, nondimeno, iniziarono a fare pensieri lussuriosi su di lei. Alessandro pareva essere sulla buona strada e cercava l'occasione giusta per provarci, ma non fece in tempo.

Un giorno entrò bruscamente nella camera di Riccardo e la trovò lì, seminuda con Riccardo sopra. Gli occhi si incrociarono e non ci volle molto a capire che doveva chiudere la porta.

«Ma come minchia è possibile!?» esclamò basito.


Col passare del tempo i ragazzi diventarono un gruppo unito. Rappresentavano gli anticonformisti, gli originali, gli entusiasti. Un insieme di talenti, su cui Alessandro aveva ancora tanto da scoprire.

Mentre bevevano erano seduti in cerchio e si alternavano nel raccontare, distraendosi con argomenti a caso. Chi stava sul letto, chi per terra e chi sulle poche sedie disponibili.

«A volte mi chiedo, cosa ci porti a stare insieme? Cosa aggrega le persone?» chiese una sera la Marsigliese.

«Semplice casualità. Banali coincidenze» suggerì Riccardo bevendo un sorso dalla sua bottiglia di birra.

«Anche io credo poco alla predestinazione. Quello che ci unisce è il piacere di stare bene insieme, di condividere momenti, pensieri, parole, senza dover giustificare nulla. Siamo qui per apprezzare il gusto della vicinanza e delle cose semplici» puntualizzò l'Illuminato assentendo.

«Siamo animali sociali in cerca di nostri simili» aggiunse Alessandro. «Di persone che siano quanto più allineate alla nostra stessa lunghezza d'onda. Quello che ci unisce è un rapporto empatico».

«Io sono più per le spiegazioni mistiche» attaccò con tono profetico Suicide Girl. «Magari lo vuole l'universo, e ci muove come pedine su uno scacchiere più ampio per farci incontrare. Chi lo può dire?»

«Io credo sia più una questione di carattere o di carisma. Se siamo qui è perché c'è lui» argomentò l'Artista dirigendo la sua birra in direzione di Riccardo. «Un brindisi al boss!» esclamò. Il resto della truppa si unì in coro.

«Grazie!» rispose Riccardo. «Carisma è una di quelle parole che mi affascinano di più. È un termine che trasmette sensualità; mi piace perché è una capacità che permette di ammaliare».

«Anche io vorrei essere carismatica. Avere quel magnetismo che attrae e apre le porte, che semplifica la vita. Non credo sia comunque qualcosa che si possa imparare» disse Silvia sospirando.

«Verissimo! Purtroppo, non si diventa carismatici: o lo sei o non lo sei. È un dono che si riceve alla nascita e sono pochi i fortunati che ce l'hanno» aggiunse l'Illuminato.

«In generale il carisma è legato all'entusiasmo. Maggiore è la tua voglia di vivere, maggiore sarà il tuo carisma e la tua capacità di trascinare e di coinvolgere gli altri» sottolineò la Marsigliese senza nascondere il suo fervore.

«Giusto! Quello che serve è solo più vita!» concluse Riccardo.

Alessandro trovò in Riccardo il suo alter ego. Quella parte alternativa con cui condividere pensieri e azione. Entrambi erano vulcani che si influenzavano a vicenda, ma tra i due Alessandro era quello col freno tirato, quello che doveva resistere, quello che doveva studiare, quello che ne faceva una priorità.

«L'università prima». Affermava.

In breve, si trovò nella scomoda posizione di dire no, frequentemente. D'altra parte, erano troppe le avventure di Riccardo. Delle volte ci riusciva, altre meno; soprattutto se di mezzo c'erano ragazze, e lui ne conosceva tante.

Insieme diventarono un punto di riferimento.

Si divertivano e facevano divertire.

Insieme erano un duo trascinante; una coppia vincente. 

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