Alberto osservò con sguardo di sfida le larghe spalle del ragazzo, infastidito dallo strano atteggiamento nei confronti di sua figlia. Come tutti i padri era molto protettivo, ma anche se Matilde cercava di convincerlo, con un solo colpo d'occhio, a non essere messa in imbarazzo davanti a lui, alla fine le sue sopracciglia si addolcirono e mentre proferiva parole di tradimento, una nuvola di fumo uscì dalla sua bocca a causa della pipa, rimasta in bocca a penzolare da un lato tutto il tempo.
«Forza, Tilde, non vorrai far attendere il tuo cavaliere» una fragorosa risata riempì le mura vuote e antiche di una gioia apparente, quasi come se volesse prenderli in giro per la loro innocente ingenuità. Ormai era troppo vecchio per quel genere di cose e vedere sua figlia ballare con un uomo gli creò dei tuffi al cuore, ripensando ai ricordi di una moglie assente.
Dopo un cambio di musica più motivato e veloce, la minuta immagine, vestita già del completo regalatole dalla madre di Christian, per un giorno tanto speciale, si decise a prendere la mano del suo amico più fidato. Gliela strinse forte, come se avesse paura di poterla perdere e vederla svanire tra la cenere del tabacco, rimasto a bruciare nel legno, poggiato in mezzo alle labbra sottili di Alberto. La conosceva troppo bene, lei non declinava mai le sue richieste, anche se i suoi occhi sempre poco espressivi dicevano il contrario. Viveva in un mondo piatto, fatto di poche emozioni rimaste incastrate in qualche angolo del suo cervello e non avevano le forze per uscire allo scoperto.

La ragazza sospirò, si avvicinò al corpo alto e snello, le loro iridi si incontrarono, una annegò nell'oceano e nella sabbia dell'altra. Un concentrato di tempeste e mareggiate da far affogare anche le navi nell'oscurità perenne delle loro pupille.
«Non conosco i passi, non li ho mai imparati» gli disse con voce spaventata, tentatrice di rese e patteggiamenti.

«Se c'è una cosa che conosco bene di te è la tua spiccata intelligenza nel battermi in qualsiasi gioco, soprattutto negli scacchi. In battaglia saresti la regina più temuta in tutto l'impero» sghignazzò, mentre provava a portarla nel suo mondo, poggiandole con delicatezza una mano dietro le spalle e l'altra a unirsi al piccolo palmo sottile, latteo, di Matilde «Non penso che due passi di danza riescano a metterti in difficoltà» si avvicinò al suo orecchio, sfiorando i capelli scuri come la pece, da formare una nebulosa nera di ciocche sottili e ricce. Dei brividi lungo tutta la schiena, coperta solo da una stoffa leggera, fecero tremolare ogni cellula epiteliale. In controluce, si riuscivano a notare i peli chiari delle braccia alzarsi come microscopici steli d'erba durante le giornate ventose. «Fidati di me, andrà tutto bene. Sii la mia regina in mezzo a una partita di scacchi» concluse con un leggero sorriso tra le labbra, nascosto dal lucido manto di piume di corvo.

In un attimo, durato quasi un battito di ciglia, Matilde venne travolta da una strana sensazione alla quale non riusciva a dare un nome. Si sentiva protetta, al sicuro, mentre danzavano nel piccolo spiazzo della sala e sotto l'arco dell'entrata della cucina. In quel momento, la sua mente ebbe una specie di déjà-vu. Sapeva di aver fatto determinate azioni già una volta, ma non si ricordava quando. Si rivedeva felice, solare, con una risata contagiosa da riempire l'eco della stanza di felicità dimenticata.
Ballavano spensierati, immersi nei loro sguardi, pendendo dalle labbra l'uno dell'altra, due anime ritrovatesi dopo anni passati a guardarsi da dietro una parete di vetro. La veste leggiadra, piena di fiori bianchi su sfondo marroncino tendente al rame, volteggiò come il vento, solleticando le gambe toniche di Matilde. Corpo contro anima, sangue caldo da intrecciarsi con le arterie dell'altro, cuori palpitanti e respiri leggeri accompagnavano i passi a ritmo di piacevoli vibrati del violoncello.

Quell'istante fuggente, però, non durò a lungo, un colpo forte di tosse ridestò gli spiriti giovani rimasti intrappolati in un'epoca non loro. Ad Alberto era andato di traverso il fumo e le corde dello strumento iniziarono a gracchiare per poi fermarsi di colpo. La pipa cadde a terra con un tonfo sordo e tutto il tabacco si riversò sul pavimento piastrellato. La cenere bruciava ancora tra le fughe scure; dei piccoli lampi rossi si animavano come quando si cercava di spegnere il fuoco nel camino.
Gli occhi ambrati di Matilde si spalancarono nel vedere polvere incandescente, da sentire i polmoni richiedere sempre più aria. Le mancava il respiro, non aveva mai provato nulla di così forte, struggente. Le gambe le tremavano, ma la paura era mischiata a qualcos'altro di più macabro di un semplice terrore. Quel rosso acceso la istigava, la tentava, quasi da volersi ricoprire l'epidermide del calore perenne di deboli fiammelle.

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