Capitolo 28.

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"La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare."

- Lettere dall'altrove, H. P. Lovecraft

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Tremava per il freddo, le labbra erano un continuo spasmo, i capelli umidi si erano appiccicati alle tempie a causa della lunga e asfissiante corsa

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Tremava per il freddo, le labbra erano un continuo spasmo, i capelli umidi si erano appiccicati alle tempie a causa della lunga e asfissiante corsa. Gli occhi di Matilde osservavano il vuoto, erano fissi in un punto indistinto a ripercorrere gli ultimi macabri istanti della sua vita. I polmoni chiedevano pietà per essere lasciati in pace, sembravano incapaci di calmarsi, di riprendere un normale ritmo: un'orchestra scordata in un teatro vuoto. Si era rannicchiata in un angolo della stanzetta antecedente alla cella frigorifera dell'allevamento. Era sola, il silenzio era straziante e il brusio degli animali poco lontani faceva da sottofondo. I maiali erano nervosi, sentivano già che qualcosa non andava.

Matilde non aveva più un padre, vederlo bruciare vivo era l'ultimo ricordo. Lo sparo del fucile si insinuava nel suo cervello a ripetizione, come se fosse lei la vera colpevole di tutto quel caos. Si era macchiata le mani di sangue e non aveva sentito alcun rimorso, ma non appena Christian si era sacrificato tra le fiamme, tutto divenne buio. I colori si erano spenti e il cielo non aveva più le stesse sfumature accese.

Il tramonto si affacciava alla finestra dai vetri offuscati di pareti sporche e piene di muffa. Il blu colorava ogni superficie di cupi contrasti, la pelle stessa di Matilde si impregnava di quella sostanza simile ai lapislazzuli. Il crepuscolo portava con sé il buio della notte, le luci artificiali si facevano più intense e coprivano la magia di tempere che si mischiavano tra loro, formando quadri di impressionisti affascinati dalla natura.

Le sclere di Matilde erano un labirinto di capillari infiammati, lacrime salate scendevano copiose lungo le guance morbide. Ripensava ad Alberto, ai suoi passi pesanti, al modo con cui scuoiava gli animali appena cacciati e al dolce suono del violoncello. La mancanza era straziante, un dolore sordo al petto. Dopo anni rimasta in una bolla di cristallo, i vetri si erano frantumati e le emozioni sgorgavano fuori a cascata. Erano inarrestabili, pesavano più del suo corpo. Sembravano macigni attaccati alle caviglie, portavano l'anima verso un baratro senza fondo e si annegava in un oceano di rimpianti.

Matilde provava a rialzarsi, ma il suo corpo cedeva a ogni tentativo. Si sentiva impotente, la testa le vorticava e non poteva affrontare il suo passato in quelle condizioni.

La vita le aveva tolto ogni cosa, forse in quel momento suo padre era con Liliana. "Chissà se si sono riconosciuti dopo tutto questo tempo." Pensava, ricordava e non poteva più sopportare una così bestiale verità. Rivivere momenti dimenticati era più straziante di qualsiasi frustata alla schiena, degli schiaffi sul volto e della solitudine stessa.

I pensieri ritornavano come scatti di fotografie, uno dopo l'altro ricostruivano istanti perduti. Le giornate di sole in compagnia di Liliana, il suo volto gentile e sempre sorridente, le corse nei campi ad aiutare i contadini, le lunghe partite a scacchi, gli abbracci di Christian erano diventati coltellate al cuore. Come un fulmine a ciel sereno arrivò nella mente il fatidico giorno.

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