IX. Engel

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N E B E L

IX.

Engel



«Ipocrita del cazzo.»

Verena fissava il piatto vuoto davanti a sé. Non aveva prestato particolare attenzione a nessuna delle sue imprecazioni, ma l'ultima la colpì. «Perché ipocrita?»

Richard fece un verso di scherno forzato. «Perché lo è davvero.» Ancora seduto a tavola, riprese a muovere le gambe su e giù come un ossesso, l'unico modo che aveva per buttar fuori un po' di rabbia e impedirsi di esplodere.

Si distraeva con il corpo per non stare troppo a riflettere su quello che era appena accaduto, altrimenti si sarebbe accorto di quanto Sonne gli avesse fatto male. All'improvviso si sentiva tornare bambino, pervaso dallo stesso sentimento che si prova quando non s'incontra l'approvazione degli adulti.

Non mi serve la sua fottuta approvazione. Non mi serve!

Però non riuscì neanche a rifugiarsi nel conforto di Verena. Lei tentò di prendergli una mano, ma lui la tirò indietro istintivamente.

«Ehi...»

«Scusa, è che... forse non dovevo dirvelo.»

«Ma cosa dici? Se te la sentivi e Sonne si è comportato da stronzo non è colpa tua. Hai fatto bene. Non è giusto dover tenere segreto ciò che sei.»

Richard annuì debolmente. La rabbia si stava contaminando di pentimento e disagio. Sulla lingua un sapore amaro, che niente aveva a che vedere con il buon cibo appena mangiato. «Cazzo, hai la mente aperta tu che sei cresciuta in un paesino e non uno laureato col massimo dei voti.»

«Non credo che Sonne sia uno stupido... però la sua reazione ha sorpreso anche me. Non me l'aspettavo.»

«Non dirlo a me. Ci sono rimasto di merda, è solo un ipocrita.»

Verena gli lanciò un'occhiata interrogativa. «Intendi per il fuoco?»

«No.» Si convinse a dirlo. «Intendo che all'università giravano voci anche su di lui. Fino a poco tempo fa avrei giurato che fossero vere.»

«Oh. Sul serio?»

«È stato con qualche ragazza, certo, c'erano delle testimonianze anche nel mio gruppo di amici. Roba da una notte e basta, e dicevano che non si togliesse nemmeno i vestiti di dosso. Ma aveva un rapporto a dir poco... esclusivo con un suo professore. Quello che poi l'ha aiutato a pubblicare i suoi libri. Andava spesso a casa sua.»

Buttar fuori improvvisamente ciò che sapeva su Sonne gli fece uno strano effetto. Era liberatorio, ma al contempo sentiva che non avrebbe dovuto. Si rendeva conto così dell'influenza che aveva avuto su di lui e adesso, adesso che aveva scoperto quanto odio albergasse dentro il suo corpo da gigante, più di quanto credeva, non vedeva l'ora di estirparla. Ma era una pianta velenosa, che aveva affondato le radici in profondità – quando era successo, esattamente, nella breve finestra di tempo della loro convivenza?

Quella stessa influenza gli permise di dire abbastanza, ma non tutto.

A Richard non sarebbe dovuto importare niente di Sonne, eppure si ostinava ancora a mantenere il loro ultimo segreto. Come se rivelarlo avesse potuto scatenare l'apocalisse in quella casa, e non solo. Riusciva ad affermare la propria identità ad alta voce, dopo aver vissuto nell'ombra per anni, ma non riusciva a raccontare la verità sul loro primo incontro. Per proteggerlo, forse, proteggere la persona che ora negava, implacabile, proprio la sua identità. C'era qualcosa di malato in quella loro dinamica: Richard teneva in pugno Sonne e Sonne teneva in pugno Richard.

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