XXXII. Funkeln (in ihren Schoß)

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N E B E L

XXXII.

Funkeln (in ihren Schoß)



Verena credeva di aver arginato il danno alla bombola del gas quando una vampata di fuoco le esplose in faccia.

Urlò, indietreggiando d'istinto, e cadde a terra. Si tastò freneticamente il volto e i vestiti per il terrore di essersi ustionata, eppure non sentiva dolore, soltanto caldo. Il fiato le ritornò bollente nei polmoni, mentre un fischio le tagliò la testa da un orecchio all'altro.

«Ri... Richard...» chiamò, boccheggiando e cercando il ragazzo alle proprie spalle, ma lui non era lì.

Non appena si voltò capì di non essere più a casa.

Lo spazio si era ampliato a dismisura. E tutto andava a fuoco.

L'unica parte del corpo che riuscì a muovere fu il capo: alzò lo sguardo alla ricerca del soffitto sopra di sé, sopra le pareti divorate dalle fiamme, e lo trovò molto in alto, nella forma di volte a crociera.

Una cattedrale.

Uno degli antichi e imponenti lampadari della navata centrale precipitò in quel momento poco lontano da lei, generando un frastuono di vetro e metallo. Verena gridò di nuovo e arretrò strisciando tra le pietre sul pavimento.

Si guardò intorno e scoprì che il crocifisso era crollato sull'altare in mezzo alle ghirlande e i candelabri. Il Cristo si era staccato dalla croce e agonizzava tra i resti di se stesso, come invocando il suo aiuto. Il rosone e tutte le altre vetrate erano scoppiate, ma il fumo le impediva di scorgere l'esterno, come se al di fuori di quel luogo non ci fosse nient'altro. Solo il fuoco e nulla più, in una bolla solitaria dell'universo.

Verena si sforzò di mettersi in piedi. Si coprì naso e bocca con il collo del maglione ai primi colpi di tosse. L'aria era densa quanto il respiro di un vulcano, un esalare pigro di faville e ceneri danzanti. Tutto ondeggiava. Presto l'edificio si sarebbe accartocciato per essere ingoiato nelle viscere della terra. Non sapeva dove girarsi. Ovunque posasse gli occhi qualcosa stava franando al suolo o era vittima del fuoco. Anche i quattro portoni neri dell'entrata principale erano ostruiti dalle macerie.

Verena si rese conto che era il Duomo di Brema. Riconobbe l'angolo delle preghiere, con il cerchio di lumini che recitava Ich bin das Licht der Welt (1), e il pulpito, addossato a un pilastro, interamente in legno e pieno fregi ornamentali. Anch'esso bruciava. Poteva quasi sentirlo lamentarsi. Apprese che le fiamme sapevano gemere, crepitare e persino ululare cupe come il vento durante una notte d'autunno, uno dei dettagli tremendi che si possono notare solo quando ci si ritrova in una situazione al limite che non si è mai immaginato di poter vivere in prima persona. Era di sicuro una cosa che avevano avuto modo di imparare anche Richard e Sonne quando avevano assistito all'incendio in università.

Li chiamò, disperata, con il pensiero.

Reni, mi dispiace, cazzo, mi dispiace, mi dispiace, non dovevo voltarmi..., le disse il primo. Dove sei?

Dovete aiutarmi! Sono nel Duomo di Brema e c'è un incendio, ma non trovo vie d'uscita!

Un istante di silenzio nel cranio e, poi, la voce ferma di Sonne. Parlò come se si stesse convincendo di avere tutto sotto controllo. Prova a uscire dalla sagrestia, dovrebbe condurti fuori. È sulla sinistra.

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