Epilogo - Parte 2

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La prima cosa che mi colpì dell'architettura dell'Aeroporto Internazionale di Seoul-Incheon fu l'altissimo soffitto a grate ondulate. Sembrava di camminare all'interno di una sfera di cristallo. La luce del mattino, la stessa che mi aveva salutata a Pisa, mi accolse a Incheon passando attraverso le grandi vetrate dell'aeroporto. La Stazione di Santa Maria Novella di Firenze, da me sempre considerata una grande e caotica stazione, non era niente in confronto all'aeroporto coreano: tenere il conto delle persone che mi passavano accanto era impossibile. Mi sentivo così piccola e insignificante che per un momento ebbi la sensazione di star precipitando in un burrone.

Purtroppo per me il jet lag non tardò a farsi sentire.

"Devo sedermi", stabilii guardandomi attorno.

Cercando di finire addosso a meno persone possibili, raggiunsi una panchina in legno che avevo adocchiato da lontano. Mi ci accasciai con poca grazia e, dopo un lungo e liberatorio sospiro, mi sorressi la testa con una mano.

Era la prima volta che affrontavo un volo intercontinentale, e se qualcuno mi avesse detto che lo avrei fatto per un idol sud-coreano non gli avrei creduto. Col piccolo trolley stretto tra i polpacci, iniziai a tremare. Non era l'aria condizionata dell'aeroporto a scuotermi le ossa, ma il pensiero che di lì a poco qualcuno mi avrebbe aiutata a incontrare Yoongi.

Namjoon era stato chiarissimo nell'ultima mail che mi aveva inviato: una persona fidata sarebbe venuta a prendermi all'aeroporto e mi avrebbe portata a Seoul. Stringendo il cellulare tra le mani mi domandai chi si sarebbe presentato e come avrebbe fatto a riconoscermi. Poco prima di imbarcarmi sul volo diretto a Seoul, Namjoon mi aveva domandato che tipo di vestiti indossassi (una felpa rosa con cappuccio e un paio di shorts in jeans) e mi aveva chiesto la cortesia di lasciare i miei capelli bene in vista.

Sarebbero bastati quei piccoli accorgimenti per farmi individuare in mezzo a migliaia di passeggeri?

Un improvviso quanto forte senso di ansia si impadronì di me.

Cosa avrei fatto se nessuno fosse venuto a prendermi?

E se fossi ingenuamente caduta vittima di uno scherzo di cattivo gusto o peggio, di una truffa internazionale?

Sentii lo stomaco attorcigliarsi su se stesso nel ripensare alla sconsiderata rapidità con cui avevo accettato la proposta di Namjoon. Come avevo potuto fidarmi di una persona la cui identità non mi era stata confermata?

Piantai i gomiti sulle ginocchia e intrecciai le dita nei miei capelli. Il cuore batteva così forte da sovrastare il forte vociare dei passeggeri attorno a me che, come api in un alveare, si muovevano freneticamente da un lato all'altro dell'aeroporto.

"Aveva le tue foto", mi fece notare la mia vocina sentenziosa. "Te le aveva scattate Yoongi. Chi altro avrebbe potuto vederle se non un suo caro amico?".

"D'accordo, va tutto bene", mi sforzai di pensare.

Mi passai una mano tra i capelli, alzai il mento e strinsi le labbra. Dovevo essere positiva. Sbloccai lo schermo del cellulare e mi collegai al wifi dell'aeroporto. Mandai un messaggio ad Azzurra, scrissi nella chat WhatsApp di famiglia e, per ingannare l'attesa e distrarmi, feci un giro su Instagram. Le storie sponsorizzate mi invitavano a pernottare in un certo grand hotel di Seoul, a fare acquisti in un negozio di alta moda, a prendere un "vero caffè italiano" in una caffetteria che di italiano non aveva neppure il nome. Purtroppo nemmeno i video dei piccoli corgi che si ribaltavano sulle scale servirono a rilassarmi. Dentro di me continuava ad aleggiare il dubbio della truffa e l'odiosa voce alterata di mia madre non smetteva di ripetermi quanto fosse enorme la cazzata che avevo appena compiuto.

Guardami come se fossi Dante Alighieri - Epilogo AlternativoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora