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Nonostante fossero passati dei giorni, quella voce, come un'eco perpetuo, continuava a risuonargli in ogni fibra del corpo. La ricerca di una tanto agognata emozione, gli aveva portato paura, inquietudine, non riusciva più a dormire, stare in quella stanza lo angosciava.
Tutte queste emozioni si erano ripercosse anche sul lavoro, quando prelevava un anima ci parlava di più, quasi provava a consolarle, provava pena, compassione per loro.
A differenza di quanto aveva sempre creduto non c'era una reincarnazione o per lo meno non per tutti, riusviva a vedere le vite passate, dunque qualcuno riusviva a farlo,  allora qual'era il criterio con la quale sceglievano i soldati? I troppo buoni andavano nelle file del bene e i troppo cattivi nelle file del male?
O era una scelta arbitraria, una sorta di sorteggio, dove lo sfigato di turno si ritrovava a dover combattere anche da morto?
Troppe domande e nessuno che gli avrebbe potuto dare una risposta.

Dopo essersi occupato di una dozzina di anime era giunta la sera, erano due giorni che il suo corpo rifiutava qualsiasi alimento solido, ma adesso doveva mangiare, non aveva più energie, in qualche modo si sarebbe costretto a ingerire qualcosa.
Infilò la mano nella tasca interna della giacca e ne estrasse un piccolo cerchio d'argento e lo Infilò al dito, non sapeva perché ma indossando qualcosa di quel materiale riuscivano ad essere percepiti, non come un quslsiasi essere umano, ma almeno gli permetteva un minimo di interazione.
Andò in un pub vicino casa, dove c'era del buon cibo e delle buone birre artigianali, non riusciva ad ubriacarsi, ma un qualche effetto l'alcol gli e lo dava.
Il locale per fortuna non era pienissimo, si sedette ad un tavolo più in disparte possibile, l'ultima cosa che voleva adesso era toccare qualcuno. Ordinò una birra scura e un misto di fritture, che in pochi minuti gli vennero portate, bevve un lungo sorso di birra, l'amaro deciso del malto lo rinvigorì, mangiò con foga tutto quello che aveva nel piatto, finì la birra e dopo quella altre due.
Anche solo per mezz'ora voleva dimenticare tutto, il suo lavoro, i soldati, gli angeli, i demoni, voleva perfino dimenticare che in realtà fosse morto.
La musica con il passare delle ore si fece più forte, quella insieme all'alcol, non lo avevano fatto dimenticare, ma lo avevano stordito, si sentiva più leggero.
Ma quello stordimento gli rallentò i riflessi, provò a scansarsi, ma era stato troppo lento, il palmo di quell'uomo, che era stato urtato involontariamente, si poggio sulla sua spalla, quel tocco durò qualche secondo, giusto il tempo di riprendere l'equilibrio, ma per 426 furono mesi, anni, frammenti di due vite passate mescolate insieme.
Si alzò dalla sedia, barcollò, aveva le vertigini, quell'uomo si scusò, ma non riuscì a sentirlo, le orecchie gli fischiavano, il cuore batteva così forte che sembrava volesse fargli un buco nella cassa toracica, si tenne con le mani al tavolo, si sentiva come se da un momento all'altro sarebbe potuto svenire, un conato di vomito gli risalì fino in gola, mise una mano in tasca, gettò delle banconote sul tavolo e scappò via verso l'esterno, rigettò la cena, la birra sul marciapiede, si tolse l'anello, si accasciò a terra con la schiena contro il muro, entrambe le mani sul viso, provava in tutti i modi di formulare un pensiero, ma non ci riusviva, come un computer sovraccarico era andato in crush, errore, spento.

Doveva tornare a casa, recuperare le buste, non poteva fare incazzare di nuovo il consiglio, Raziel.
Non riusciva a capire, anzi no, non voleva capire, voleva cancellare quelle immagini dalla memoria, asportarle via come un cancro. Arrivato a casa recuperò le buste, le lesse e pensò che la sorte è una gran puttana, la prima anima da prelevare sarebbe stata alle dieci del mattino, troppo tempo, doveva fare qualcosa, tenere il cervello occupato, ma come flashback quelle immagini tornavano e tornavano.
426 picchiò violentemente la testa contro il muro, del licquido porpora gli colò sugli occhi, ma gli shinigami guariscono in fretta, troppo in fretta, la ferita si era già rimarginata il dolore sparito, ci riprovo di nuovo, ancora con più violenza, ma il risultato fu il medesimo, cacciò un urlo disperato che echeggiò tra quelle quattro mura.

Non poteva scappare in nessun modo, doveva affrontare la cosa nel modo più razionale possibile, ma quella situazione non aveva nulla di razionale. 
Com'era possibbile?
Come poteva esserci qualcuno con la sua stessa faccia nei ricordi di quell'uomo?
Un sosia? Un parente? Clonazione?
Vagliò ogni ipotesi anche le più improbabili, ma era certo, qualcuno uguale a lui era nei ricordi di quell'uomo.
Il contatto era stato troppo breve,  i ricordi frammentati e confusi tra loro, aveva visto quel volto, il suo volto, solo per qualche secondo, troppo poco per capire come, dove e quando si fossero potuti conoscere, l'unica cosa che fu capace di carpire fu un nome....

Friederich.

Ritrovarsi....un amore lungo due viteWhere stories live. Discover now