Capitolo I

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Il sole brillava alto nel cielo. In fondo, era il 21 giugno e l'estate era appena cominciata. Non esisteva giorno migliore per godersi una bella giornata.
Una testa bionda sbucava fuori dal finestrino di un taxi, prendendo in pieno viso l'aria sferzante che le smuoveva i capelli.
«...E quindi ti chiami Clarke, eh?»
L'autista, un sessantenne panciuto e dai pochi capelli grigi, cercava inutilmente di fare conversazione con la giovane, che però sembrava attratta da cose molto più interessanti. Tipo i cartelli stradali.
« Sì, esatto. Mi chiamo Clarke Griffin. » rispose in modo totalmente indifferente la ragazza, continuando a non prestargli la dovuta attenzione.
Aveva già parecchi pensieri per la testa e non aveva voglia di parlare con uno sconosciuto chiacchierone.
« Hai scattato qualche bella foto da mandare ai tuoi parenti, Clarke? Non si visita la Grande Mela tutti i giorni!»
« Non sono una turista, signor Wilson.»
Clarke alzò gli occhi al cielo. Sarebbe stata una giornata molto lunga.
La strada pullulava di auto. Una fila immensa di mezzi pubblici aveva bloccato completamente il traffico e non c'era nulla da fare, se non aspettare.
Del resto, era da poco passato l'orario di punta e la maggior parte dei lavoratori aveva appena terminato la pausa pranzo, e in più circolavano decisamente troppi autobus.
Dal taxi, la ragazza aveva una visuale perfetta della città e, restando imbottigliati nel traffico, aveva avuto il tempo per inquadrare ogni più piccolo particolare della Midtown di New York. Si trovava poco distante da Times Square, il vero fulcro della città, che avrebbe sicuramente visitato non appena si fosse sistemata.
Già, perché prima di dedicarsi ad un giro panoramico di Manhattan, Clarke doveva occuparsi della nuova casa.
Il suo trasloco, per quel poco che era durato, era stato un vero disastro.
Prima, il camion che trasportava gran parte degli scatoloni aveva sbagliato indirizzo, facendo finire i suoi libri in Texas.

In Texas.

Poi aveva perso le chiavi del nuovo appartamento, facendole finire in un tombino. Non poteva di certo richiedere un'altra copia, perciò aveva dovuto immergere la mano nelle fognature per ripescarle.
No, non era decisamente un buon inizio.
Probabilmente era distratta per via degli esami imminenti. La sua mania compulsiva del controllo le regalava l'effetto contrario all'organizzazione. Era assolutamente il periodo più disorganizzato che avesse mai vissuto.
Sperò almeno che la sua coinquilina fosse una tipa tranquilla.
« Ma guarda un po', ci stiamo muovendo di nuovo. Tra qualche minuto potremo riprendere spediti il nostro viaggio!» disse il taxista, sorridendo calorosamente.
La bionda continuò a ripetersi di restare calma e di non scendere subito dall'autovettura. Avrebbe dovuto comunque pagarlo, tanto valeva farsi portare fino all'Upper East Side.
Se le avessero detto che a soli ventitré anni sarebbe andata via dalla propria casa a Washington, perché odiava terribilmente sua madre e voleva ricominciare categoricamente da single dato che anche la sua vita amorosa faceva veramente schifo, probabilmente non ci avrebbe mai creduto.
E invece eccola lì, seduta nel taxi diretto alla 100th strada, con il ciclo che le torturava il basso ventre e il nervosismo che le saliva alle stelle.
« Ma guarda quel tipo. Hai visto il cartello che regge in mano?»
Eclissando il fatto che quel maledetto autista non stava guardando avanti mentre guidava (con un passeggero a bordo), Clarke guardò il ciglio del viale che Wilson le stava indicando.
Un uomo trasandato, di trenta, trentacinque anni all'incirca, reggeva un enorme cartellone con su scritto "LA FINE DEL MONDO È VICINA. 5.00$ PER SCOPRIRE COSA ACCADRÀ TRA DUE ANNI". Che pagliacciata. Perché non chiedeva semplicemente l'elemosina? La gente non sapeva più cosa inventarsi per sopravvivere.

Sopravvivere.

Non c'era nulla di più difficile. Combattere per arrivare a fine giornata ed avere la sicurezza di poter vedere l'alba successiva non era una passeggiata, né qualcosa di così ovvio.
Specialmente se hai già perso parecchi punti fermi nella tua vita.
Clarke aveva solo sedici anni, quando suo padre morì. Era sicura di non essere in grado di superare quel momento e che se anche se ci fosse riuscita, il dolore non l'avrebbe mai abbandonata.
Incredibilmente, la scomparsa prematura di Jake la spronò a concentrarsi sullo studio e sul suo futuro; Clarke desiderò ardentemente diventare un chirurgo come sua madre, da quel giorno terribile. L'idea di studiare medicina non le era mai passata per la testa, ma dal momento in cui il dottore che operava d'urgenza suo padre fallì, la ragazza volle evitare quel dolore a più persone possibili. In fondo, i medici non sono mai abbastanza per tutti i mali del mondo.
Ed ecco com'era finita a specializzarsi a New York, prima del suo vero e proprio tirocinio negli ospedali. Almeno su questo, sua madre poteva rendersi utile e consigliarle i migliori dove fare richiesta.
I gas di scarico dei veicoli e i clacson delle automobili invogliarono la ragazza a chiudere il finestrino e provare a riposare gli occhi.
Dopo quelle che sembrarono ore, il taxista la svegliò agitandole non troppo dolcemente le spalle.
« Ehi dolcezza, siamo arrivati. Il 48' della 100th strada è proprio di fronte a noi. Scendi pure con calma, tanto finché non paghi non ho fretta!» le urlò contro ridendo come un pazzo.
Cosa ci trovava di tanto divertente in una battuta vecchia e scontata, era un mistero.
Doveva ammetterlo, però. Era davvero curiosa di vedere la sua nuova casa.
Quando Clarke scese dalla vettura, rimase sorpresa. Beh, positivamente sorpresa. Si trovava di fronte ad una villetta bianca a due piani, circondata da un prato inglese ben curato.
Le finestre erano quasi tutte spalancate e da una di quelle al pian terreno, riusciva a intravedere una ragazza di spalle, che armeggiava su quella che doveva essere un'isola cucina.
Impaziente di conoscere la proprietaria, nonché sua coinquilina, la ragazza pagò velocemente il taxista, corse verso il portone e suonò il campanello. Dopo poco, la porta d'ingresso venne spalancata da una giovane dai capelli biondi legati in due lunghe trecce e dagli occhi color nocciola che la scrutavano attentamente.
« Ehi. Tu devi essere Clarke, vero? »
L'altra annuì e tese la mano per presentarsi.
« Piacere! Io sono Harper McIntyre, ma questo immagino lo sapessi già quando hai acquistato la casa!» rispose la sconosciuta sorridendole.
Aveva un tono di voce dolce e materno e sembrava ad una prima occhiata una brava ragazza.
A quel punto Clarke poté tirare un sospiro di sollievo. In fondo lei non sbagliava mai con le prime impressioni.
« Vieni, entra. Ti faccio fare un giro della casa. Oh, immagino tu sia stanca. Devo assolutamente farti vedere subito la tua camera, così puoi posare le valigie.»

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