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La serata si concluse lentamente, presentando a Keith e i suoi genitori diverse occasioni per litigare. La tensione rimase una costante che fece loro da sottofondo per tutto il tempo. Sua madre lo aiutò a prendersi cura di Rocky, suo padre riparò la porta d'ingresso. Alla fine Keith si trovò a tirare un sospiro di sollievo soltanto quando vide Francine e Jack salire sulla loro auto e uscire dal vialetto di casa sua.

Non aveva potuto fare a meno di provare un costante imbarazzo che lo aveva reso nervoso e irascibile durante tutto il tempo. Quando si trovò finalmente da solo riuscì a calmarsi un po'.

Entrando nella camera da letto, rivolse un breve sguardo al giaciglio che, la sera prima, aveva preparato per Rocky. Poi si strinse nelle spalle, recuperò il cucciolo dal divano, lo portò fuori, aiutandolo a muoversi in giardino, in attesa che facesse i suoi bisogni. Infine se lo caricò di nuovo tra le braccia, fino in camera, accogliendolo nel suo letto.

Rocky gli si era accoccolato contro la schiena e Keith aveva passato il resto della notte in ansia, cercando di dormire, ma restando immobile il più possibile per evitare di colpire accidentalmente il cucciolo. Così era riuscito a chiudere gli occhi sì e no per un'oretta, lasciandosi tormentare da un sonno agitato.

La mattina seguente ricevette una telefonata da Penny Smith, che lo aggiornava riguardo le ultime ricerche che aveva operato al fine di trovare un lavoro per lui, ma era riuscita a fissargli solo un colloquio per il lunedì seguente, con il responsabile di uno dei magazzini di stoccaggio dell'American Port.

Keith sbuffò, dopo avere chiuso la conversazione con Penny, trovandosi a fissare Rocky, che dormiva tranquillo al suo fianco, mentre lui sedeva sul bordo del letto. Lo accarezzò dietro le orecchie e il cane socchiuse gli occhi, prima di richiuderli, continuando a dormire.

Cristo.

Si alzò dal letto, dirigendosi in bagno per farsi una doccia e ne uscì sentendosi così stanco e bisognoso di dormire da percepire le palpebre tremargli più volte, mentre si asciugava i capelli con un asciugamano. Tornò nella stanza, si occupò di Rocky dandogli da mangiare, portandolo a fare una piccola passeggiatina in giardino. Gli somministrò i farmaci che gli erano stati prescritti dal veterinario, litigando con la bestiola che sembrava divertirsi a complicargli la vita, continuando a sputacchiare le pillole.

Keith imprecò, recuperò una banana, ne prese un pezzetto, imbottendola con le due pasticche, e Rocky, finalmente, le ingerì.

Si lasciò cadere sul letto, di schiena, sfinito, e il cucciolo tornò a rannicchiarsi contro di lui. Gli leccò una guancia e poi si accucciò, addormentandosi di nuovo.

L'uomo recuperò il cellulare, mentre il cervello cominciava a minacciarlo di esplodere a causa di tutti i pensieri che gli affollavano la mente. Fece scorrere l'elenco delle chiamate, rimase a fissare per qualche secondo il nome di Charity, ma poi fece partire una telefonata al numero di Jeffrey Major, senza neanche stare a considerare le conseguenze di quanto si apprestava a fare.

«Sul serio?» esordì Jeffrey, rispondendogli subito.

Keith si morse un labbro. Era probabile che l'altro, dopo la discussione del giorno prima, lo odiasse, che disprezzasse anche solo l'ipotesi di sentire la sua voce. Era stato chiaro con lui: non lo voleva nella sua agenzia. «Non sono omofobo.» borbottò e si maledisse mentalmente, trovando le sue stesse parole fuori luogo e stupide.

«Buono a sapersi. Quindi mi hai chiamato per...?» ribatté Jeffrey, senza fare nulla per celargli la propria ostilità.

«Per chiederti scusa?»

«Mi stai chiedendo se mi devi delle scuse? Sei serio?»

«Senti, Jeff... »

«No.» lo interruppe l'altro. «Non ho intenzione di stare ad ascoltare altre assurdità. Hai fatto la tua scelta, è la tua vita. Quindi perché diavolo continui a cercarmi?»

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