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L'agenzia di Jeffrey Major si trovava a Hollywood West.

Keith deglutì un paio di volte dopo aver inserito nell'applicazione del cellulare le coordinate del luogo. La scoperta che fece lo mise a disagio.

Non conosceva bene quella zona della città, se non per via della fama che la precedeva. Non aveva mai avuto motivi per frequentarla e meno che mai pensò di averne in quel periodo.

Si immaginò di passare per le strade del quartiere, magari al fianco della villa di lusso di chissà quale attore famoso, con il suo malandato pick-up. Persino l'idea di posteggiare il proprio mezzo nel parcheggio riservato dell'agenzia di Jeffrey gli procurava un imbarazzo soffocante.

Si maledisse mentalmente un numero infinito di volte, abbandonandosi contro il volante, ma alla fine tornò a sedersi composto, percependo i muscoli delle spalle irrigidirsi così tanto da cominciare a dolergli. Mise in moto e partì, cercando di liberare la mente.

Pensò al piccolo Rocky. Aveva contattato la Clinica veterinaria quella mattina, subito dopo essersi svegliato, chiedendo notizie del cucciolo e accordandosi con la donna che gli aveva risposto, programmando di andare a prendere Rocky nel pomeriggio, dato che nella tarda mattinata aveva un colloquio di lavoro.

La sera prima Jeffrey gli aveva risposto al primo squillo, ridendo, pronunciando il suo nome. Keith si era stupito, ma l'altro gli aveva fatto presente che aveva ancora lo stesso numero dai tempi del liceo e lui lo aveva mantenuto salvato in memoria. Keith era subito entrato nel panico, domandandosi per quale motivo l'altro avesse tenuto in rubrica il suo numero per tanti anni. Tuttavia, non fu una domanda che ebbe il coraggio di porgli, perciò aveva spostato velocemente la conversazione su altri argomenti, passando subito a implorarlo di sottoporlo a un colloquio di lavoro, per qualsiasi tipo di mansione.

«Mi accontento di tutto. Mi basta uno stipendio fisso che riesca a mantenermi.» gli aveva detto e Jeffrey si era limitato a fornirgli l'indirizzo dell'agenzia, dandogli appuntamento per le undici del giorno dopo.

Keith non si era aspettato che l'altro mantenesse davvero la parola. Era contento di quella opportunità. Da solo era riuscito a ottenere maggiori risultati rispetto quanti ne aveva ottenuti l'impiegato dell'ufficio di collocamento, nei sei mesi in cui l'aveva seguito prima di gettare la spugna, passando il suo caso alla collega. E anche Penny Smith non era stata in grado di dargli speranze, sino a quel momento.

Posteggiò l'auto sul retro dell'agenzia, nel parcheggio riservato ai visitatori, cercando di nascondere il pick-up, lasciandolo all'ombra, vicino un'aiuola in cui erano state piantate diverse varietà di palme, lontano dal resto delle altre auto che si trovavano lì.

Trasse un profondo respiro e perse un paio di secondi, osservando l'immagine scomposta di se stesso che si rifletteva sulla carrozzeria del pick-up.

Scosse la testa, cercando di ignorare il senso di profonda inadeguatezza che provava, dirigendosi a passo marziale verso l'ingresso dell'agenzia, puntando gli occhi sull'asfalto bollente, su cui si infrangevano i raggi del sole, restituendo un calore insopportabile, soffocante.

L'agenzia si presentava come un piccolo capolavoro di edilizia moderna. Le pareti del prospetto consistevano in enormi vetrate dai riflessi scuri, incastonate all'interno di altrettanto grandi cornici nere, che sembravano imitare quelle di quadri veri. Il tetto aveva una forma insolita, obliqua, di un accecante colore fucsia, e in buona parte non combaciava con il limite della struttura, protendendosi verso l'esterno, rimanendo sospeso nel vuoto.

Keith trattenne a stento un conato di vomito ed entrò dentro. Subì uno sbalzo termico che lo lasciò quasi senza fiato, trovandosi di colpo all'interno di un ambiente gelido, in netto contrasto con il caldo che lo aveva accompagnato per strada sino a lì.

COMING OUTWhere stories live. Discover now