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Keith posteggiò nel vialetto di casa e uscì dal pick-up chiudendo la portiera con violenza, imprecando subito dopo, pentendosi di quel gesto. La sua era un'auto di seconda mano, con quasi vent'anni alle spalle, e trattarla a quel modo rischiava di rivelarsi controproducente soprattutto per se stesso. Girò intorno al mezzo e chiuse il cancelletto della proprietà, per poi recuperare le buste della spesa che aveva lasciato sul sedile del passeggero della macchina ed entrò in casa.

Posò le buste sul tavolo, fermandosi un attimo al centro della stanza, guardandosi intorno. Non si era ancora abituato a vivere lì e, ogni volta che rincasava, si sentiva colmare da una strana sensazione di sgomento. Iniziava a osservare ogni cosa, anche se ormai aveva imparato a memoria la disposizione di ogni mobile, di tutte le piccole e grandi crepe che riempivano le pareti. Sapeva dove si trovavano i dislivelli dei mattoni di cotto che rivestivano il pavimento della cucina, quali lampadine erano fulminate, quali sportelli e di quali armadietti cigolavano all'apertura, rischiando di rimanergli tra le mani. Eppure finiva sempre per guardarsi intorno, provando la costante sensazione che lì dentro mancasse qualcosa, oppure che qualcuno arrivasse in casa sua mentre lui era fuori, spostando le cose, ma poi non riusciva mai a ricordare cosa era stato messo fuori posto, a individuare ciò che mancava.

Sbuffò e iniziò a sistemare i suoi acquisti. Subito dopo controllò la segreteria telefonica, trovando due messaggi registrati. Premette il pulsante sul telefono e il primo messaggio partì, diffondendo nella stanza la voce alterata della sua ex moglie.

«Ciao, Keith. Sei ancora vivo? Vivi ancora su questo Pianeta? Mi piacerebbe saperlo, dato che sono andata a controllare in banca e... indovina un po'? Non ho trovato il bonifico! Stai saltando un altro mese di alimenti? Vedi di risolvere il prima possibile, o sarò costretta a contattare il mio avvocato, di nuovo.»

La registrazione si interrompeva bruscamente, eppure l'uomo sorrise, sentendosi in modo paradossale rincuorato dall'avere udito la voce della sua ex.

Il secondo messaggio era di sua madre, che lo contattava soltanto per sapere come stava e gli chiedeva se avesse bisogno di aiuto. Keith scosse la testa, sospirò e si decise a richiamarla. Francine, sua madre, gli rispose solo al quarto squillo, quando lui stava ormai per mettere giù.

«Pronto?»

«Mamma!» esclamò stupito dall'avere ricevuto una risposta che credeva non sarebbe più arrivata. «Che fine avevi fatto?»

«Keith! Tesoro! Scusami, stavo in giardino. Per fortuna sono arrivata in tempo. Ti avevo lasciato un messaggio...»

«Per questo ti ho richiamata.»

«Come va, amore? Hai bisogno di qualcosa? Quando inviterai me e tuo padre nella casa nuova? Non vediamo l'ora di vedere dove ti sei sistemato.»

Keith deglutì più volte, cercando di riappropriarsi della propria salivazione dopo che, a quelle parole, gli si era azzerata del tutto.

«Sto bene, mamma, non ti preoccupare. La casa è bellissima, immersa nel verde. Ma è un po' fuori città, il viaggio è abbastanza lungo da voi a qui. E papà si arrabbierebbe a guidare tanto, lo sai... Appena ho un momento, vi vengo a prendere io e vi porto qui.»

«Sei tanto impegnato? La causa non si è conclusa? Oppure hai trovato un lavoro?»

«La seconda.» mentì Keith. «Sono molto impegnato con il lavoro. Con Charity tutto okay, non ti preoccupare, ha sotterrato l'ascia di guerra.»

«Come sono contenta!» esclamò Francine con entusiasmo.

Keith sorrise tristemente, sentendosi un po' in colpa nel mentire a quel modo a sua madre, ma non voleva farla preoccupare e, soprattutto, dopo un matrimonio, un divorzio, a quasi ventotto anni non aveva intenzione di infastidire i suoi genitori, continuando a chiedere loro aiuto come se fosse ancora un ragazzino. Sapeva che loro non avrebbero battuto ciglia, e che si sarebbero prodigati per lui con tutti i mezzi che avevano a disposizione, ma Keith voleva cavarsela da solo, perciò evitò di raccontare alla donna qual era la vera situazione che stava vivendo in quel periodo.

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