Capitolo 5

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Capitolo 5.

Non corremmo da nessuna parte in realtà. Doveva essere una di quelle uscite che piacevano tanto a tutti quelli che lavoravano per il Programma: di queste frasi mistiche e nebulose sul magico e glorioso futuro che ci attendeva sembravano averne una scorta infinita.

Semplicemente dopo le sue parole la nebbia si diradò e scoprimmo di non essere al centro del nulla, ma all'esterno di un tempio grecizzante, con colonne in marmo di un bianco accecante, che seppi riconoscere solo per l'amore di mia madre per ciò che era morto; mentre la "nostra roba" si rivelò essere esattamente ciò che aveva preannunciato la guida: abiti a scelta, un sacchettino in canapa grezza con una decina di monete spumeggianti, e un pugnale.

Un pugnale. A guardarlo non era nulla di più di un coltello da cucina con un'impugnatura più ergonomica. Lo estrassi dal fodero logoro e me lo rigirai tra le mani. Non avevo mai visto né impugnato una vera arma da taglio, mi era impossibile capire se fosse una buona lama o se avesse l'affilatura di un coltello da burro.

Con attenzione poggiai la lama sulla parte interna dell'avambraccio. Una linea rossastra si disegnò sulla pelle.

Ci avevano equipaggiati con una vera arma. Perché? Volevano che ci guadagnassimo il nostro posto con sangue e sudore, era risaputo, ma non pensavo che la parte del sangue fosse letterale. Tutti, come il piccolo gruppo di cui facevo parte, avevano lo stesso pugnale legato al fianco. Tutti erano predatori. Anche io potevo diventarlo.

Risi tra me. Predatrice. E di cosa poi?

Guardai di nuovo il pugnale: l'impugnatura era molto bella, sagomata, in legno di ciliegio. Considerarlo un mero oggetto di arredamento lo rendeva molto più innocuo.

Quando, poi, mi fu data la possibilità di vestirmi, giurai di non denudarmi mai più completamente fino a quando non fossi tornata alla realtà, e nel dubbio agguantai qualche indumento in più: tutti presi dal calore estivo non sentivano nell'aria l'odore di temporale, ma io sì. Se nessuno voleva quella giubba, non mi sarei fatta troppi problemi ad indossarla sopra le altre due che avevo pescato nel mucchio.

Una grande gioia mi travolse quando mi accorsi di non riuscire a trovare nulla di vivace. Il ventaglio di colori andava dal porcellana al grafite, passando per qualche tono del marrone, ma niente magenta, pistacchio o corallo.

E anche quando fummo vestiti di tutto punto, senza stivali in carbonio ma con qualcosa che sembrava più cuoio o la pelle viva di qualche animale, la guida e gli altri addetti al punto d'ingresso ci condussero all'unico varco nella recinzione del tempio, che segnava l'effettivo ingresso nel Programma.

La guida si piazzò tra noi e il monumentale portone in legno, costituito da travi orizzontali e fregi floreali, e disse: «Sceglietevi un nome, un nome che vi rappresenti. Qui potrete usare solo quello, e solo a quello farà riferimento il PCF, non quello con cui siete entrati qui».

Poi si voltò e accarezzò le due grandi maniglie in metallo dei relativi battenti della porta e le tirò verso di sé. Uno spiraglio luminosissimo filtrò, accecandomi. La guida si fermò, e dandoci le spalle, disse: «Quasi dimenticavo: qui le leggi a cui siete abituati non esistono. Dovrete cavarvela da soli. Buon divertimento».

Non ebbi il tempo di pietrificarmi per il terrore causato dalla sua ultima uscita che i due battenti della porta si spalancarono svelando i misteri del Programma. Due passi più avanti, e il grande portone si chiuse dietro di noi senza un rumore.

Una prima occhiata non era capace di gustare tutto ciò che si presentava: una lunga strada, delimitata da un filare di alberi di limone e lastricata di mattonelle dalle sfumature del grigio e dell'azzurro, ammorbidite dal passaggio di milioni di passi, si perdeva tra le basse palazzine che la costeggiavano. Ognuna vomitava rigagnoli di persone, che confluivano nella strada affollata, dove tutti si accalcavano gli uni sugli altri, senza ordine e senza traiettoria. Ricordava vagamente uno sciame di insetti, in cui il singolo è svincolato dal movimento del gruppo, ma che ne segue in realtà il progredire. E il sole! Alto a mezzogiorno, così caldo da arroventare le mattonelle, e così vero.

Crisalide - VINCITORE WATTYS 2020Where stories live. Discover now