Di nuovo noi, solo noi

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Luce

Accettai il solito passaggio di Marco, ma nessuno dei due parlò per tutto il tragitto verso casa. Solo quando parcheggiò sotto il mio appartamento e io mi affrettai a salutarlo per andarmi a rintanare tra le mie quattro mura, mi pregò di aspettare.

"Era lui?" mi chiese, senza che ci fosse di nuovo bisogno di specificare a chi si riferisse.

"Sì"

"Che vuole?"

"Parlarmi" gli risposi.

"E tu ci parlerai, non è così?" mi chiese Marco, fissando il volante.

"Sì"

"Quante speranze ho, Luce, adesso che è tornato? Dimmi la verità".

Non gli risposi: me la presi con le pellicine attorno alle mie unghie, rovinando la manicure fatta solo qualche giorno prima e che mi rendeva perfetta davanti al pubblico.

"Devo pensare, Marco...non ti terrò sulle spine per molto, te lo prometto".

Scesi dalla macchina. Lui attese come al solito che aprissi la porta e mi guardò con gli occhi di chi aveva già capito che le sue possibilità erano davvero poche. Sentii l'auto allontanarsi e improvvisamente mi accorsi di essere sola e vulnerabile. Non avevo mai creduto alle coincidenze: non poteva essere un caso che, dopo essermi decisa a dare una possibilità a Marco, mi fossi ritrovata Can di fronte. E per quanto mi sforzassi di pensare che avrei sbagliato a mandare tutto all'aria, l'unica cosa che volevo davvero sapere in quel momento era cosa avesse da dirmi Can. Chiamai un taxi e mi feci accompagnare in quell'hotel, il nostro hotel. Alla reception mi riconobbero subito, salutandomi calorosamente. Chiesi di lui e mi indicarono la solita stanza, sempre quella: la trecento trentatré. Presi l'ascensore, con cui ormai avevo preso familiarità e non mi faceva più paura. Arrivai al piano e mi avvicinai a quella porta, restandovi davanti indecisa se bussare o meno. Se fossi rientrata lì dentro mi sarebbero piombati addosso tutti i ricordi che avevo cercato di celare nei cassetti della mia memoria, per non soffrire ulteriormente. Appoggiai l'orecchio sul legno: non proveniva nessun rumore dall'interno, segno che Can non era nella stanza.

"Cerca qualcuno?" sentii chiedermi.

Non ebbi bisogno di voltarmi per controllare chi fosse: avrei riconosciuto la sua voce in mezzo ad altre cento.

"Volevo vedere la stanza" gli dissi voltandomi verso di lui.

"Allora è fortunata, perché la stanza è la mia...piacere, Gianni!" mi disse allungandomi la mano.

"Luce, piacere mio!" gli risposi sorridendo, ricordando il pranzo al ristorante e il nome italianizzato che avevo usato per chiamarlo davanti a Martino.

"Le ricorda qualcosa questa stanza?" mi chiese ancora, continuando a stringere la mia mano nella sua.

"Lì dentro ci ho lasciato il mio cuore..." gli risposi, tornando a fissare per qualche secondo la porta chiusa.

"Beh allora mi dispiace deluderla, ma devo dirle che lì dentro non ho trovato nessun cuore, signorina" rispose lui, con faccia mesta.

"Avranno rubato anche quello insieme agli orecchini" dissi a voce alta, più a me stessa che per continuare quel gioco con Can.

Lo vidi mettersi una mano in tasca e tirare fuori proprio quegli orecchini a cui mi riferivo.

"Parla di questi?" mi chiese, mostrandomeli sul palmo della sua mano.

"Come fai ad averli tu?" gli chiesi io, con espressione esterrefatta.

"Sono tornato da te, poco dopo esserci lasciati. Tu eri andata da Ferzan e nella stanza c'era un'inserviente a ripulirla: avrebbe dovuto portarli in reception, ma ha preferito darli a me con la speranza che te li restituissi. A proposito, devo portarti i suoi saluti, anche se ormai sono vecchi di due mesi" mi rispose aprendo la porta e facendomi entrare prima di lui nella stanza.

Oltre_Una recita d'amoreOù les histoires vivent. Découvrez maintenant