UNA SETTIMANA DI RECLUSIONE FORZATA

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#Day7

H 21:00

Temperatura ascellare 36.5 ° C

E anche oggi non ho febbre o altri sintomi particolari: curioso, sono pure riuscita a scampare la pandemia Covid-19. Forse. Probabilmente sono un po' come quelle vecchie zitelle antipatiche che resistono fino alla fine dei tempi: "l'erba cattiva non muore mai" direbbe mia madre. Non cederei nemmeno se mi sparassero con i cannoni.

Per la prima volta questo pomeriggio, mentre ero sdraiata sul mio letto a riposare, ho sentito una voce. Stavo riposando e oziando, cercando di capire che cosa far del mio tempo libero. E queste frasi sconnesse mi incuriosirono: non venivano né dalla strada, né dal piano di sopra. Era un suono familiare, che non sentivo da tanto tempo. Ormai ero abituata a sentire il chiacchiericcio preoccupato e teso delle mie colleghe o i dialoghi spenti dei miei genitori. Mi alzai muovendo lentamente le gambe pesanti e, stropicciando gli occhi, vidi la figura di mio fratello Raffaele, offuscato dalle tende. Era la prima visita, il primo ospite che interrompeva la solitudine. 

Non entrò in casa, rimase fuori mentre mia madre gli ha consegnava un regalo passandoglielo con una sola mano, nascosta dietro la porta coprendosi naso e bocca con un fazzoletto. Domani è il suo compleanno e in qualche modo i miei genitori volevano consegnare un piccolo pensiero al loro primogenito. 

Niente abbracci, niente carezze, niente baci, niente strette di mano. 

Penso che la cosa più brutta di questo periodo, o almeno una tra le tante, non sia la segregazione in casa, quando la lontananza dalle persone: non esiste più la percezione degli altri esseri umani intorno a noi. Sappiamo che ci sono ma non li vediamo; se non a tanti metri di distanza o da dietro le finestre, da un lato all'altro della strada, dalla macchina mentre si guida. E non esiste più il contatto fisico con i propri cari. È da ormai una settimana che tocco solo e soltanto i miei pazienti, sempre attraverso dei guanti monouso: un doppio guanto, per la precisione. Un doppio strato di lattice. Ora che ci penso, sono sette giorni che le mie mani non percepiscono il calore diretto di un'altra pelle se non la mia. Sembra un eternità, anche se si tratta di una sola settimana: "non sentire la pelle degli altri per sette giorni? Cosa vuoi che sia!"

E invece, "qualcosa" è. Inconsciamente, in maniera quasi impercettibile, qualcosa cambia in noi. Il nostro cervello lavora, registra immagini e le rielabora; ne produce dei concetti, delle proiezioni e delle sensazioni, alle volte anche inconsciamente. Il "pelle contro pelle " ci fa sentire il calore, i profumi, le irregolarità, le rughe, la forza della stretta di mano; tutte caratteristiche che il nostro piccolo computer naturale posizionato sopra la spina dorsale registra sotto la parola " presenza umana ". E io, insieme a tanti altri miei colleghi stiamo vivendo da giorni la vera "assenza umana": nessun contatto diretto con il corpo se non il nostro, nessuna comunicazione fisica.

Vorrei poter abbracciare mio fratello, fargli gli auguri e dirgli in maniera smielata che gli voglio bene e che è il mio fratellone preferito, così da fargli sollevare gli occhi al cielo e brontolare qualche bestemmia. 

Quante ragazze vorrebbero fare l'amore con il proprio fidanzato! Quanti padri vorrebbero stringere la mano ai propri colleghi di lavoro, quanti ragazzini vorrebbero battere il cinque ai compagni di scuola.

Andrà tutto bene.

"#Andrà tutto bene": lo slogan italiano per questa grande battaglia contro quella che ormai è una pandemia che si sta diffondendo velocemente a livello mondiale e che sta causando 2.158 vittime in Italia su 27.980 contagiati dichiarati. È un bello slogan, semplice ma chiaro: pulito. E utile ripeterselo in questi momenti in cui la solitudine sembra tramutarsi in tanti spilli ghiacciati che bucano braccia e petto. 

Diario di un'appestataWhere stories live. Discover now