TERZO GIORNO DI RECLUSIONE FORZATA

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#Day3

" Voglio urlare contro il cielo, io ai supereroi ci credo e salveranno l'umanità,

solo se ci mascheriamo scopriremo quel che siamo

proprio come fanno i Daft Punk..."

In questi giorni sto ascoltando ripetutamente questa canzone. Leggendo il testo ci si chiederebbe che cos'abbia di tanto speciale: in effetti, non parla di guerre o di violenza sulle donne, politica o dissidi economici, tanto meno di un amore struggente o un innamoramento genuino e fanciullesco. Non si tratta di una composizione dalle frasi incisive tipica di Faber o un blues caldo e avvolgente di qualche talentuoso artista di New Orleans. Eppure ha un ritmo che mi dona carica: mi pare quasi di percepire l'adrenalina che scorre nel sangue nel momento stesso in cui i bassi rimbombano negli altoparlanti.

La dance-elettronica commerciale non è di certo un genere che vanta inediti di eclettici ma di certo sa il fatto suo quando si tratta di dare energia in pochi secondi. Ci sono così tante tipologie di musica: ogni giorno mi impegno per apprezzare ogni sfumatura del panorama mondiale. Sono convinta che ogni brano abbia il suo motivo di esistere e il suo momento adatto per essere compreso, sia che si tratti di musica pop, metal, folk o rap. Forse l'unica che mi sento di escludere è la trap: ancora non mi coinvolge e, anzi, spesso mi infastidisce. Tuttavia, tanti mi direbbero che non sono ancora abbastanza "opera" per comprenderla.  In ogni caso, ogni brano è in grado di creare emozioni magiche se ascoltate al momento giusto e al posto giusto, indistintamente dal genere a cui appartiene. Concorderete che non posso cantare "Supereroi" di DJ Matrix con il mitico Giorgio Vanni mentre faccio yoga; così come, per esempio, "Vissi d'arte" dalla Tosca di Puccini non è il brano più indicato per il sabato sera, mentre mi dirigo verso un super party con l'intenzione di non dire mai di "no" al barman prima del quinto drink. È come quando mettete sul giradischi la colonna sonora sbagliata: verrebbe naturale giudicare quel suono come estraneo, brutto, poco suggestivo o fastidioso per l'evento in questione. E così cambiate disco e scegliete quello che più si addice al bisogno di quel momento, al vostro mood.

Le note della canzone di cui ho citato il testo ad inizio capitolo mi si materializzarono in mente questa mattina, mentre mi distendevo nel letto al ritorno dallo smonto del turno notturno. Quando ho sentito la morbidezza delle lenzuola che mi avvolgevano, le parole e le note apparvero nella mia mente donandomi quell'ultimo sprazzo di energia per poter chiudere gli occhi serenamente. La schiena faceva crick e crock mentre piano piano si srotolava sul materasso: nonostante avessi passato una notte tranquilla senza emergenze o complicazioni mi sentivo ogni parte del corpo come pietra.

Contrariamente all'opinione comune, in alcune sedi di lavoro durante la notte la quantità di "compiti" è tanta quanta quella che si svolge di giorno, nonostante i pazienti dormano tranquilli e, nella maggior parte dei casi, non necessitino più di una semplice sorveglianza. Durante le ore buie siamo solo in due operatori che sorvegliano sessanta ospiti, e questa non è l'unica cosa da fare: dobbiamo correre a destra e sinistra per svolgere le varie mansioni.  Oltre all'essere sempre pronti per l'emergenza di turno, bisogna anche anticipare il lavoro dei colleghi del giorno successivo, per poter dare supporto: somministrare la terapia mattutina del "piano Azzurro", fare i clismi evacuativi e preparare i lassativi, le faccende di lavanderia e di disinfezione dei locali, il controllo dei farmaci e delle scadenze dei vari armadi sempre stipati, pulire e riordinare i carrelli medicazioni di tutti i piani, fare due giri di cambio pannolini, sterilizzare i ferri, svuotare i cateteri etc etc. Purtroppo, come sempre ed ovunque, non tutti i miei colleghi sono così gentili da sacrificare il proprio relax nel silenzio notturno per seguire il piano di lavoro. Quindi troppo spesso l'ammontare dei compiti da svolgere aumenta nel tentativo di compensare alle mancanze di altri. Di solito, se tutto procede tranquillamente e nessuno dei "miei nonnini" si sente male, ho solo un'oretta scarsa per fare una pausa caffè con la mia collega. Si chiama l'ascensore per scendere insieme al piano terra e si aggiungono monetine all'unico distributore di bevande calde presente. Sorseggiamo in tranquillità, sedendoci sulle poltroncine morbide di finta pelle blu, parlando sempre di questioni mediche o controllando sul cellulare gli ultimi aggiornamenti statistici: numero dei decessi, ammontare dei contagiati, percentuale di mortalità nel mondo etc. 

Diario di un'appestataWhere stories live. Discover now