Cristian, notando la direzione del mio sguardo annuncia: «Mi sa che qualcosa che ti preoccupa ce l'avrai ugualmente.» e non posso fare a meno di dargli mentalmente ragione.
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Il fatidico giorno arriva in fretta ed io mi sono rinchiusa nel mio posto sicuro da quando ho messo piede al liceo: il laboratorio di Chimica.
Non faccio altro che camminare avanti e indietro per la piccola stanza, ma il solo stare qui dentro mi calma, seppur parzialmente. Se c'è una cosa che ho imparato per gestire l'ansia è quella di focalizzarsi su qualcos'altro: così fisso la tavola periodica degli elementi, leggendo ad alta voce tutti i nomi degli elementi. È uno scarso tentativo, ma per qualche minuto riesce a funzionare. Non so cosa mi porta a reagire così, ma la possibilità di venire giudicata mi manda in confusione totale. So di essere una menefreghista solo in via teorica: sono profondamente convinta che ognuno debba essere giudice unicamente di se stesso e che non dovremmo dar peso a ciò che gli altri dicono sul nostro conto, ma all'atto pratico sono umana e fallibile come tutti gli altri e finisco per preoccuparmi ugualmente del giudizio altrui, anche se in maniera velata o solo quando mi sento eccessivamente esposta.
Purtroppo, è un processo del tutto spontaneo ed inarrestabile e non una parola di conforto può inibirlo. Faccio una pausa, bevendo qualche sorso d'acqua, per poi tornare a leggere i nomi sulla carta appesa al muro, lentamente, cercando di respirare.
«Pensavo che dovessi cantare adesso, non fare un'interrogazione di Chimica.»
Sgrano gli occhi di colpo, non appena riconosco la voce e mi giro, in imbarazzo più che mai, tentando di simulare una risata.
«Non sforzarti, Selè, né di sembrare divertita né di sembrare calma, perché so che non sei né l'una né l'altra cosa.»
«E come sarei, allora?»
«Ansiosa, preoccupata di non fare bella figura. Non accadrà, Selè. Ti ho vista alle prove.»
«Potrebbe accadere di tutto..»
«Chi è che ti spaventa di più?»
Tu, avrei voluto rispondere, ma mi limito a dire solo parte di ciò che mi passa per la testa in questo momento. «Me stessa.»
Andrea compie un passo in mia direzione, guardandomi negli occhi: sembra in pensiero per qualcosa, in procinto di pronunciare una frase. Sta facendo un secondo passo, quando la porta del laboratorio si spalanca con un tonfo, rivelando dietro di sé la presenza di un Matteo trafelato, come dopo una corsa.
«Finalmente ti ho trovata, pensavo ti saresti ritirata.» Annuncia con un tono misto di speranza e stizza.
«Non mi ritiro.» Pronuncio riluttante, «Avevo solo bisogno di stare un po' da sola.»
«Non c'è tempo.» Ribatte lui e, in un attimo di impulsività, rivolgo il mio sguardo ad Andrea, al quale ho dato le spalle, per focalizzare la mia attenzione su Matteo. Chissà cosa stava per dirmi, se mi avrebbe confortata o spronata. Il ragazzo davanti a me nota probabilmente il mio cambio di espressione e addolcisce la pillola. «Ce la farai, Selene. Non hai nulla in meno rispetto agli altri che si esibiscono oggi. È solo l'impatto iniziale che è difficile, poi ti abitui.» Le sue parole, accompagnate da un buffetto sulla guancia, mi danno sollievo, anche se l'effetto dura poco.
«Grazie, Matteo. Dammi un minuto e arrivo.» Il ragazzo davanti a me emula un sorriso e si allontana velocemente, lasciando la porta aperta. «Stavi dicendo qualcosa?» Chiedo ad Andrea.
«Mi sa che sono arrivato tardi, Selè.»
«Che vuoi dire?»
«Niente, niente.» Risponde, improvvisamente più distaccato del solito. «Buona fortuna.» Dice, guardandomi negli occhi per qualche secondo, prima di incamminarsi verso l'uscio.
«Andrea!» Lo richiamo, senza sapere bene cosa dire. Improvvisamente, un lampo di genio - o di distruzione, probabilmente - attraversa la mia mente. «In omnia parata ero.*»
Con due lente falcate Andrea mi raggiunge, guardandomi in una maniera tanto criptica da esasperarmi. Il suo corpo è a pochi palmi dal mio, ma evito di guardarlo in faccia, approfittando della mia bassa statura, fintantoché la sua mano non accarezza la mia guancia, proprio dove Matteo l'ha toccata pochi minuti prima. Le sue dita si spostano sulla base del mio collo, attraversano i miei capelli lisci e si posano sulla mia nuca mentre il suo pollice mi sfiora la mascella. Adesso lo vedo e so che ho centrato il punto, so cosa stava per dirmi prima. Ma Andrea non è Andrea se non mi sorprende.
«Mi sei mancata così tanto.»
Non so bene cosa rispondere, perché so che finirei per rovinare il momento in qualche modo. Non ho il tempo di ribattere, che passa per il corridoio il gruppo di Andrea. Non appena sente le loro voci, si allontana di scatto da me, interponendo tra i nostri corpi quanta più distanza possibile, mentre si schiarisce la voce.
«Andrè, hai accendino? » Per ironia della sorte, a comparire sulla soglia della porta è proprio Federico, che non si risparmia di squadrarmi dall'alto in basso. Il suo amico esaudisce la richiesta porgendogli freneticamente l'oggetto. «Selè, ti trovo bene. Già ci provi con i miei amici.»
In un moto di agitazione e fastidio, mi avvicino pericolosamente al mio interlocutore e rispondo: «Se non ti va bene, evitavi di tradirmi.» Poi, lanciando un'occhiata ad Andrea, «Comunque, che ne sai. Magari, sono loro a provarci con me.» Detto ciò, con un palese riferimento al pallavolista lunatico, abbandono l'aula senza voltarmi indietro, sotto lo sguardo divertito di Mattia, Cristian e altri loro compagni di classe.
Dieci minuti dopo sono davanti a tutta la scuola, riversando nella canzone tutta la rabbia per il mio essere così ingenua, così speranzosa nella possibilità del cambiamento da parte di una persona. È proprio vero, come dice la canzone: you can't play on broken strings. Quando qualcosa si rompe, non tornerà mai allo splendore iniziale. E ciò che c'era tra me ed Andrea si è usurato ineluttabilmente, sfregiato dai nostri caratteri contrastanti, dalle diverse posizioni che ricopriamo nell'ecosistema della scuola, dalla vergogna, dal desiderio, dai discorsi criptati. La sintonia si perde, si perde la frequenza, l'armonia, la conversazione. Nessuna promessa può sopperire alla mancanza di fegato nell'affrontare le situazioni. Ci ho messo quasi cinque anni per comprenderlo, ma adesso lo so. Una frase in latino non basta a tenerci legati, se ci voltiamo costantemente le spalle a vicenda. Una promessa rotta, la complicità scemata, due vie che si separano. Io e Andrea, estranei.
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I'm back. Dopo la maturità mi sono presa del tempo per me stessa e la capacità di scrivere era inversamente proporzionale alla voglia di continuare questa storia, quindi ho preferito evitare .
Ad ogni modo "In omnia parata ero" vuol dire in latino "Sarò pronta a tutto" .
Come mai Selene ha pronunciato questa citazione?
Mi scuso per il ritardo negli aggiornamenti, spero comunque che la storia vi stia intrigando e spero di tornare con capitoli più lunghi prossimamente.
Aurora
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𝐏𝐚𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢𝐬𝐦𝐨
Teen Fiction«In omnia parati erimus.» Selene Conti e Andrea Marchetti sono l'uno la contraddizione dell'altra, ma due cose hanno in comune: la spiccata impulsività e la misurata razionalità, due tratti che, oltre ad accomunarli creano contrasti interiori in lor...
12 - Broken Strings
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