Capitolo 2: Come onde del mare.

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Nella vita le cose passano sempre, come in un fiume. Anche le più difficili che ti sembra impossibile superare le superi, e in un attimo te le trovi dietro alle spalle e devi andare avanti. Ti aspettano cose nuove».

Niccolò Ammaniti-

Le settimane successive passarono velocemente, non ebbi modo di fare chiarezza, era come se il tempo si stesse arrovellando su di un pensiero difficile, addirittura irrisolvibile e comunque al di sopra della mia portata. Negli svariati cammini verso la scuola osservavo adesso le foglie ingiallite degli alberi che barcollavano un po' fino a quando, come una danza lenta ed inesorabile, lasciavano il ramo che le aveva ospitate in quei mesi caldi d'estate e cadevano giù. Quella muraglia fatta di tronchi, ceppi sparsi, rami, querce ed alberi, riflettevano il mio stato interiore; spogliato di tutta la sicurezza di cui mi ero ricoperto fino ai capelli per anni, mi ricordavano nella loro bellezza sfiorita, il mio stato interiore: completamente inaridito, misero, totalmente nudo, esposto agli occhi e al giudizio di tutti quanti. Da cosa fossi terrorizzato, non mi era proprio chiaro, ma c'era un rumore dentro di me all'altezza del petto, arrotolato intorno allo sterno. Era una consapevolezza innata che dovevo nascondere al mondo ad ogni costo, perché se avessero saputo, non avrebbero capito e il mio universo sarebbe collassato. Interi pensieri facevano dei giri immensi nella mia mente, giungevano ad un passo dalla consapevolezza ma prima di saltare quel varco, prima di sorpassare quella soglia che li avrebbe catapultati dall'altra parte, venivano respinti violentemente indietro; allora perdevo il nesso, ero ad un passo dal capire e invece precipitavo di nuovo nel solito limbo in cui abitavo, una pace effimera... Durava non più di due ore. Agganciandosi a parole a caso poi, durante l'arco della giornata, come fossero delle chiavi di apertura mi riportavo di nuovo in avanti, alla mia solita e incessante inquietudine. Ricominciava il solito ciclo e come una spirale ricominciava gradualmente la mia tortura fino a che non mi ritrovavo ancora una volta al punto di partenza. A tratti pensavo di ammattire, non riuscivo più a tenerli fermi lì, avrei voluto strapparmeli dalla testa quei pensieri e urlargli contro di svelarsi una volta per tutte, anche se una parte di me era terrorizzata dal loro contenuto, dall'idea di renderli reali per davvero. Passavo intere giornate in silenzio con un dolore lancinante alla testa, esorcizzando in questo modo l'idea di essere sentito dai miei pensieri, passando inosservato e scansando quei tormenti. Non osservavo gli altri, un particolare dei loro capelli o del colore della pelle avrebbero potuto innescare una serie di pensieri casuali che per associazione ad altri avrebbero in un modo o in un altro attivato il tormento ed io ero sfiancato, completamente. Fu questa la motivazione principale per la quale decisi di provare ad assecondare l'idea di Elisa. Quando le scrissi, il giorno successivo a quella nottata infernale, le dissi che a convincermi era stata la chiacchierata in camera mia; avrei fatto qualsiasi cosa pur di liberarmi da quel malessere e la via meno pericolosa per me era quella che mi aveva suggerito Elisa: aprirmi ad una persona vincolata da un segreto professionale. La sua risposta al messaggio non tardò ad arrivare, era entusiasta e come avevo immaginato il mio problema si sarebbe sciolto probabilmente quella sera, come mi aveva anticipato giorni addietro il sabato era la giornata di ricevimento per cui sembrava cascare proprio a pennello. Fu solo dopo, quando fu passata l'adrenalina del momento che mi diedi dello stupido perché mi resi conto di non aver consultato un'agenda prima di scriverle; l'evento era imminente e non mi sentivo per niente preparato a questo. Se fosse stato di domenica avrei avuto quanto meno sei giorni pieni per potere rimuginare sulla mia scelta, insomma mi sentivo un cretino, avevo agito di impulso e già me ne stavo pentendo, ma non potevo tirarmi più indietro. Solo in casa, l'unico rumore a tenermi compagnia era l'aria che fendeva Artù con la sua coda scodinzolante e la lancetta dell'orologio che scandiva rumorosamente i secondi, come a sottolineare il tempo che stava passando. Non riuscivo a darmi una mossa, la tensione mi si attanagliava allo stomaco provocandomi un senso di nausea continua; a tratti temevo di vomitare.

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