Capitolo 2

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CHICAGO. Dieci giorni prima.

La brusca frenata dell'autobus non spostò Neal dal palo d'appoggio di un solo centimetro. La posizione che aveva adottato era quella a gambe larghe schiena appoggiata al palo e sguardo nella direzione del movimento. Se il mezzo frenava i piedi avrebbero assorbito l'inerzia, quando il mezzo ripartiva era il palo a svolgere il compito.

L'autista dell'autobus, una donna afroamericana di dimensioni extra-large, mandò un improperio attraverso il finestrino. Neal però era in una posizione che gli impediva di vedere il destinatario dell'invettiva.

Una spruzzata di gas nei motori fece passare oltre il micro-evento.

Neal buttò uno sguardo oltre i finestrini dell'autobus e si accorse che mancava poco alla sua fermata. Premette il segnale di discesa.

Nell'imminenza dell'apertura delle porte prese in mano la borsa nera da palestra che aveva posato sul pavimento. Il gesto deciso che fece per sollevarla ne rivelò la pesantezza.

Era l'unico passeggero per quella fermata. Si buttò la borsa dietro la spalla mentre le porte dell'autobus si chiudevano dietro di lui.

Si trovava davanti all'entrata principale dell'università e nel suo campo visivo era compreso anche l'autobus che lo aveva portato fin lì.

Lo osservò compiere un breve tratto della 95th per poi svoltare verso sud lungo la Martin Luther King Drive.

Rimase per un momento a contemplare il complesso universitario che avrebbe lasciato di lì a poco e che gli avrebbe potuto permettere il salto di classe.

Chi era Neal Harris?

Apparentemente un semplice ragazzo della provincia americana del New England. Nulla di

particolare quindi, torte di mele e pattinate sul ghiaccio in inverno e d'estate i giri per le fiere nei piccoli paesi della contea.

Amicizie e scuola in una piccola cittadina di trentamila abitanti dall'importante nome di Rotterdam, vicino Albany, la capitale dello stato di New York.

Indubbiamente Neal era un bel ragazzo, gli occhiali che era costretto a portare per una lieve forma di astigmatismo gli davano un'aria da intellettuale che non lo danneggiava più di tanto. Capelli ricci castani e viso molto gradevole con zigomi alti, insomma uno che poteva avere un ottimo o adeguato successo con le ragazze a seconda dei punti di vista.

Il caso di Neal sembrava quello in cui l'apparenza coincide con la sostanza, ma in realtà non era tanto vero perché Neal non sarebbe mai esistito senza il Muro di Berlino.

La madre di Neal, Dorota, era un'accompagnatrice della squadra di pallavolo polacca alle olimpiadi di Montreal del 76. Aveva ottenuto quell'incarico perché era laureata in lingue e parlava fluentemente l'inglese e il francese.

Doveva sorvegliare non solo la moralità generica delle ragazze, cose come gravidanze turistiche e altri simili incidenti, ma anche e soprattutto la loro moralità politica.

Non doveva capitare che qualche giocatrice di pallavolo cogliesse l'occasione di un'olimpiade per scappare in un paese del cosiddetto mondo libero.

E fu grazie a questa sua mansione che gli consentiva una relativa libertà di movimento che la madre di Neal riuscì ad imbarcarsi su un traghetto per gli USA dove chiese asilo politico, domanda subito accolta.

Era quindi andata a Rotterdam dove si trovavano alcuni polacchi suoi lontani parenti che, con scarsa fantasia, avevano aperto un locale di cucina polacca.

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⏰ Letzte Aktualisierung: May 30, 2020 ⏰

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