1. 𝙷𝚘𝚕𝚕𝚒𝚎

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Se mi fossi fatta predire il futuro e mi avessero detto che la mia vita sarebbe totalmente cambiata, come minimo mi sarei piegata dal ridere e mi sarei ripetuta continuamente che era solo una bugia. Ero convinta che chi nasceva ricco lo sarebbe stato tutta la vita, e chi nasceva povero uguale. Poi però per disgrazia il ricco diventa povero e se ha un colpo di fortuna il povero diventa ricco. Assurdo, no?

Io ho sempre ritenuto che nella mia vita, nulla sarebbe cambiato. Se ero nata povera era perché meritavo quel tipo di vita ed ero più che sicura che non sarebbe arrivato quel colpo di fortuna a salvarmi e farmi vivere una vita almeno normale. Ma mi è bastato un grandissimo e stupidissimo errore per cambiare tutte le carte in gioco.

Ma partiamo dal principio.

La notte di un 9 novembre, una notte come tutte le altre all'apparenza, sono nata io, Hollie Noyers. Sono la figlia primogenita di Rachel e Matthew Noyers, americani di origini emigrati a Nantes, una piccola cittadina a nord-ovest della Francia. In famiglia lavora solo mio padre, motivo per cui abbiamo non pochi problemi economici, fatichiamo a mettere qualcosa in tavola anche se nonostante questo, i miei genitori hanno sempre cercato di far avverare ogni mio desiderio, almeno un regalo il giorno del mio compleanno. Erano quasi sempre libri, animati da piccola, ma poi sono diventati romanzi dato il mio grande amore per la lettura.

Ma il più bel regalo mi è stato fatto a 5 anni, quando mamma mi ha detto che presto avrei avuto un fratellino o una sorellina. Ero felicissima. E il 5 maggio dell'anno dopo ho potuto avere finalmente tra le braccia mia sorella Harper. Ci assomigliamo molto fisicamente, l'unica cosa che ci distingue è il colore degli occhi: io li ho castani come mio padre, mentre lei verdi-azzurri come mia madre.

Poi ho compiuto 6 anni, e finalmente ho iniziato la scuola elementare. Ma da quel giorno è iniziato anche il mio incubo. In classe avevo tutti bambini di famiglie ricche, niente a che vedere con me e così venivo derisa e presa in giro sia per il fatto che non ero come loro, ma anche perché mi piaceva andare a scuola e adoravo studiare. Solo che mi sono resa conto anni dopo che i miei compagni erano il riflesso di ciò che erano i loro genitori: erano anche peggio dei bambini, ogni volta che mi vedevano passare mi squadravano e avevano qualcosa da ridire, oltre a raccomandare ai loro figli di starmi alla larga.

All'inizio la situazione era anche abbastanza sopportabile, usavano solo insulti verbali ma poi hanno iniziato con le mani: non mancava mai la mia dose giornaliera di calci, schiaffi e spintoni; tornavo a casa con lividi ovunque, e a volte mi facevano uscire sangue dal naso. Ma i miei genitori non potevano fare tanto, non potevano competere e mettersi contro a famiglie così ricche. Avremmo solo peggiorato la nostra condizione già disastrosa. Sapevo benissimo che soffrivano nel vedere piena di ferite e lividi una bimba di 6-7 anni, ma io sono stata educata in una certa maniera: mamma mi aveva avvisata, che fuori c'era gente cattiva ma che non avrei dovuto dare peso alle parole, dato che erano vuote come le persone che le pronunciavano. E così facevo: lasciavo che facessero quello che dovevano fare, ignoravo ogni loro ricerca di ferirmi con i loro insulti, e finalmente dopo un po' si sono stufati anche loro di fronte al mio completo disinteresse.

E così le elementari in qualche modo le ho finite; alle medie, semplicemente ci ignoravamo a vicenda. Io non parlavo e interagivo con loro, loro mi lasciavano vivere in pace. Li ho passati completamente da sola, non volevo avere amici, non sopportavo nessuno. Ogni loro gesto carino era per pugnalarmi alle spalle e non ho mai creduto davvero che volessero fare amicizia con me. Quindi mi sono semplicemente isolata, nessuno mi capiva, mi sentivo una poesia in mezzo ad analfabeti. L'unica 'amica' che potevo dire di avere era mia sorella.

Dopo aver fatto gli esami di terza media ed uscita con il massimo dei voti, papà ha fatto un regalo meraviglioso a me, mamma e Harper: ha avuto un'offerta di lavoro nella grandissima città di Parigi, e come casa aveva trovato un attico piccolino nella banlieue di Sevran, una zona abitata da persone del nostro rango sociale. Ci siamo trasferiti subito dopo la fine della scuola, e ora a settembre solo Harper ci sarebbe andata. Io sapendo che saremmo andati a Parigi mi ero informata e avevo trovato la scuola superiore dei miei sogni: il Lycée Saint Louis, una delle scuole parigine più prestigiose.

L'ho vista per caso mentre visitavo la città, è un edificio gigantesco, con le mura gialle chiaro, con tutte le finestre presenti ci saranno state un sacco di aule ma non sembrava per nulla una scuola, anzi era più un municipio, con un paio di alberi davanti è un piccolo spazio per parcheggiare. Non potevo per ovvie ragioni chiedere ai miei di andare in una scuola del genere, sarebbe stato troppo da egoista e io non lo sono proprio, almeno non sono stata educata così. Perciò sono tornata a casa con la testa bassa senza proferire parola, sapendo che quel mio piccolo sogno non si sarebbe realizzato.

In realtà, una delle poche ragioni per cui voglio andare in una buona scuola superiore è per poter perfezionare il mio inglese e provare a vincere una borsa di studio per un college, così da poter andare nella mia madrepatria,  l'America. So bene il francese, ma in famiglia si parla inglese, in quanto mamma e papà ci tengono tanto che io e Harper impariamo entrambe le lingue.

Ora ho 14 anni quasi, Harper 9 da poco compiuti, e la mia vita a Sevran continua monotona, con mia madre sempre a fare lavori in casa, Harper che la aiuta o che gioca, io sempre a leggere libri o aiutarla a fare il bucato o in cucina, e papà al lavoro che a volte ci porta qualcosa di buono per cena. Ma quella sera aveva in serbo altro, soprattutto per me.

𝚃𝚞𝚝𝚝𝚘 𝚎̀ 𝚙𝚘𝚜𝚜𝚒𝚋𝚒𝚕𝚎Where stories live. Discover now