𝗖𝗵𝗮𝗽𝘁𝗲𝗿 𝟰

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«Che dici, Maddalena?»
«Che sia morta?» domandò il ragazzo presente nella stanza.

Egli era seduto a gambe incrociate sul freddo e bianco pavimento di quell'area, racchiusa in quattro soffocanti e tristi muri, reggendo tra le mani un qualcosa di raccapricciante, inquietante, ovvero un teschio.

Ed era con questo oggetto - umano o meno - retto tra i suoi palmi, che osservava con fare agghiacciante la fanciulla sdraiata a terra e ancora in balia delle sostanze contenute nel drink, le quali le avevano garantito un lungo e fitto sonno, necessario agli organizzatori del gioco per trascinarla nell'immacolata camera senza che lei ne distinguesse il percorso.

I suoi occhi rossi e dalla sclera totalmente nera, resi così tramite l'inchiostro usato per i tatuaggi, erano quasi spalancati e fissi sull'umana che ancora non si era ridestata da quel riposo - quasi come la tanto amata bella addormentata, con la differenza che quest'ultima, secondo la fiaba, non cessò di dormire per lunghi anni.

Non aveva provato dolore nel trasformare quella parte bianca del suo bulbo oculare in un tetro e buio nero, anzi, si era divertito eccome a cambiare quella parte di sé, colorandola dello stesso colore dei tatuaggi che decoravano il suo corpo. Nero.

Nessuno sa quanti effettivamente quanti il ragazzo ne abbia, ma sono in così grande quantità che sembrano ricoprire quasi tutta la sua pelle, non lasciando quasi visibile la sua pallida e cadaverica carnagione.

«No, non può essere deceduta»
«Sono solo i medicinali che hanno fatto il loro effetto» ridacchiò il moro, portando la testa all'indietro e lasciando a mezz'aria i suoi lisci capelli raccolti in una piccola coda non troppo alta mentre la sua bocca, adornata da un piercing al labbro, si spalancava facendo uscire delle rabbrividevoli risa capaci di fare accapponare la pelle.

I suoi occhi per un secondo si erano ridotti in due fessure ma, al minimo movimento della sua cliente, tornarono a rivelarsi quasi fuori dalle orbite e fermi sul fragile e magro corpo della ragazza, la quale stava lentamente aprendo i suoi occhi color violetto.

«E-E tu chi diamine sei?!» urlò lei - per quanto potesse farlo, vista la voce ancora impastata - alla vista di quell'orribile creatura palesatasi immediatamente nel suo campo visivo, mettendosi a sedere con uno scatto mentre tentava di allontanarsi muovendo agilmente tutti e quattro gli arti.

Dopo quella domanda così plausibile e prevedibile da parte di lei, il moro si lasciò andare ad una libera e lunga risata, caratterizzata dalla classica vena inquietante che particolarizza quell'individuo tanto raccapricciante che poco rassicurante che dimostra essere.

Saranno i tatuaggi a definirlo tale dal primo attrito, visto che sono quasi ovunque e indelebili sulla sua pelle, o le sue sclere nere come la pece, accompagnate dalla sue iridi rosso sangue, oppure ancora il suo strano vestiario, le sue agghiaccianti risa, il teschio a cui si rivolge... o forse tutti assieme.

«Dovrei presentarmi forse, vero Maddalena?» chiese nuovamente, voltando lo sguardo verso il cranio, il quale ancora veniva retto sul palmo del corvino.
«Ma non farmi ridere» disse nuovamente, riprendendo a ridere a crepapelle finché la ragazza dai chiari capelli era giunta abbastanza lontana da sentirsi più sicura - o almeno per far rallentare il ritmo del suo cuore, che pompava veloce come non mai.
«Comunque mi chiamo Akaibara Sakuraso» concluse, smettendo di fissare ciò che reggeva tra le mani e volgendo lo sguardo alla sua cliente.

La fanciulla avvertì il suo organo vitale, racchiuso nella casa toracica, perdere un battito una volta che quel pazzo - o almeno così appariva ai suoi occhi - puntò i suoi bizzarri e terrificanti occhi su di lei, con chissà quali intenzioni in servo.

«Non parlo neanche morta con uno psicopatico» quasi sussurrò lei, talmente il suo tono risultasse basso.

Il bizzarro ragazzo parve non comprese ciò che uscì dalle labbra dell'altra, dando inizio ad un fitto silenzio, interrotto solo dalle voci che sentiva costantemente nella sua testa.

«Cosa dici Maddalena? Scusami, non ti stavo ascoltando» disse infatti, avvicinando con un braccio il teschio al suo orecchio, pronto ad ascoltare ciò che la sua fidata amica riservava per lui.
«Come dici? La ragazzina mi ha dato dello psicopatico e non mi vuole rispondere?» intervenne poi, scrutando la persona in questione con quasi il bulbo oculare fuori dalla propria orbita, per poi sghignazzare tra sé e sé, come per trattenere le sue classiche e immancabili fragorose risate.
«Ma no, non è vero. Ora mi dirà il suo nome» continuò, accennando un sorriso nei confronti della minore. Un granguignolesco sorriso.

Il corpo della ragazza emise un fremito talmente forte da farle spostare e reggere le gambe al petto per provare a calmarsi, ma poi le tornò in mente il motivo per cui essa si trovava in quel luogo per niente rassicurante. Non doveva mostrarsi debole. Non ancora

«Mi chiamo Riley Robinson» rispose con coraggio, alzandosi successivamente in piedi per poi raggiungere Akaibara, riavvicinandosi, e sedersi a quasi un metro di fronte a costui.

«Hai visto, Maddalena? La signorinella è improvvisamente audace» ridacchiò, rivolgendo un lieve sorriso alla suddetta, per poi tentare di ricomporsi lievemente.
«Allora dimmi, Riley, cosa porta una ragazzina come te in un posto come questo?» domandò, marcando il nome pronunciato con il tono di voce.

La fanciulla deglutì - cosa che il moro percepì, sorridendo lievemente al suono della saliva cacciata rumorosamente giù per la gola - e quei dolorosi ricordi riaffiorarono alla sua mente con una spiazzante immediatezza, rapidi come una saetta che irrompe e divide in due il cielo soggetto a turbolenze.

Il dilemma in cui si trovava costei era intuire i propositi che quell'organizzatore nutriva nei suo confronti, recependo se quell'informazione fosse o no pericolosa una volta a conoscenza altrui.

«Devo uscire vincitrice per dimostrare agli altri di non essere debole» rivelò soltanto, sperando avesse detto abbastanza per soddisfare la richiesta del maggiore.

«Per quanto coraggio si abbia, ci sarà sempre qualcuno di superiore» pronunciò, dopo un sospiro, guardandosi attorno in cerca delle giuste parole, di ispirazione.
«È la legge della sopravvivenza: il più forte vince sul più debole, che viene sopraffatto e... oppresso, per poi venire decomposto da altre creature ancora, le quali hanno il compito di divorare ogni cellula del corpo... lasciandoci solo le ossa» continuò, dando enfasi al suo spaventoso monologo che, sebbene dicesse il vero, risultava così macabro da fare accapponare la pelle.
«Qui almeno non è come il mondo esterno, difatti posso definirla "casa"» concluse, puntando sta volta i suoi rossi occhi su Riley, la quale sobbalzò leggermente a quell'agghiacciante e penetrante sguardo.

La fanciulla restò in un fitto silenzio, aspettando qualche altra parola dal corvino, che non tardò ad arrivare.

«Che dici Maddalena?» disse, abbassando lo sguardo al teschio, il quale sembrava aver dichiarato qualcosa al suo tetro possessore.
«Oh, secondo te ho parlato troppo? Non mentire, sei solo offesa perché non ti ho presentata adeguatamente» proferì, interrompendo il suo discorso con una risata maniacale e assordante che terminò con la sua voce che assunse un tono calante, rendendo quelle risa sempre meno udibili, come se gli mancasse il fato.
«Quindi Maddalena, lei è Riley. Riley, lei è Maddalena» comunicò, indicando talvolta la ragazza e il cranio.

Tanti pensieri si stavano moltiplicando nella testa della minore, quasi come funghi nell'umido terriccio situato nel verde e fresco bosco, ma ciò che riassumeva tutte quelle idee, quelle opinioni, era che quel soggetto non aveva le rotelle a posto e risultava a dir poco pericoloso. Sarebbe stato meglio per lei stargli il più possibile alla larga.

«Piacere di conoscerla» rispose semplicemente, cercando di accondiscendere ai desideri, alle esigenze, che dimostrava avere quello stramboide - a detta della minore -, dimostrando cioè di non aver problemi riguardo l'altra presenza femminile in quello spazio ristretto, quella di Maddalena.

«Il sentimento è reciproco, suppongo» ipotizzò, includendo un tono dubbioso nella sua voce, altrettanto macabra come lui stesso.
«Finché ti portiamo da mangiare pensa a come potrai farmi divertire più tardi» pronunciò in quasi un sussurro, mostrando un tetro ghigno verso la sua cliente, la quale ricevette un brivido lungo tutto il corpo e osservò la porta chiudersi alle spalle del moro.

𝗧𝗵𝗲 𝗪𝗵𝗶𝘁𝗲 𝗥𝗼𝗼𝗺 ; Storia ad OcWhere stories live. Discover now