Capitolo 3

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Salii sull'aereo e mi posizionai nel terzo posto verso il finestrino. Tutte le volte che andavo a New Orleans, amavo mettermi lì per ammirare il paesaggio.

Davanti a me si sedettero Klaus ed Elijah, mentre Rebekah e Kol rimasero un po' indietro. Lei lo fermò, afferrandolo per il braccio, e lui la guardò con fare minaccioso.

Poi, Kol, in un battito di ciglia, si liberò dalla sua presa e, prima che Rebekah potesse fare qualcosa, si buttò sul sedile accanto a me.

Rebekah, quando ci passò accanto, lo fulminò con lo sguardo e mi rivolse uno sguardo rassegnato, poi si sedette dietro di noi.

Ignorai Kol, girandomi dall'altra parte rispetto a lui, verso il finestrino. Presi il cellulare dalla tasca, misi gli auricolari nell'orecchio e accesi la musica. Alzai talmente tanto il volume da non riuscire più a sentire i rumori esterni.

Quando entrai nella libreria di Itunes per cambiare canzone, sentii che una cuffietta mi venne strappata dall'orecchio e, quando mi girai, Kol mi stava fissando, mentre la teneva tra le dita.

"Cosa vuoi?", dissi accigliata. Lui scosse le spalle.

Lentamente si avvicinò, mi sfilò anche l'altra e le lasciò ricadere sul seggiolino. Delicatamente, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo, mi sfiorò il collo, fino alla clavicola. Alla fine, puntò i suoi occhi nei miei.

Trattenni il fiato e, quando lui si sporse verso di me, schiusi le labbra. Quando fummo abbastanza vicini da sentire il respiro dell'altro, qualcuno ci interruppe.

"Signori, dovete spegnere i telefoni", disse una hostess accanto dal corridoio. La ringraziai silenziosamente perché sapevo che, se avessi baciato Kol, non avrei più smesso di mia volontà.

Mentre spegnevo il cellulare, scorsi con la coda dell'occhio lo sguardo indispettito di Kol. Odiava essere interrotto quando cercava di baciarmi perché era successo tante volte.

Tornai ad ignorarlo, e appoggiai la testa sul finestrino. Nell'ultimo periodo troppi pezzi tra noi si erano spezzati, e non riuscivo a ritornare tra le sue braccia come niente fosse.

Mi sentivo come se, negli ultimi tempi, lui non riuscisse a capire che stavo male, così come i miei fratelli. Per un paio di mesi, mi ero sentita come unestranea per loro. Capivo che ero stata via tanto a causa dell'università e non ci eravamo visti tanto, ma non riuscivo più a comunicare con la mia famiglia. E loro neppure se n'erano accorti.

***

"Dove andate?", chiesi ai miei fratelli quando si incamminarono. Klaus si voltò appena.

"Abbiamo degli affari da sbrigare in città", disse con voce secca. Lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi e trattenni le lacrime. Pensavo che questa volta sarebbe stato diverso, invece no. Tutte le volte che mi portavano a New Orleans dicevano che sarebbe stata una vacanza di famiglia, poi mi abbandonavano in casa da sola.

L'unico che rimaneva sempre al mio fianco era Kol. In quella casa, con lui, ho passato i momenti più belli, significativi e tristi della mia vita.

"Andiamo a casa?", chiese dopo un po' lui, come se mi avesse appena letto nel pensiero. Amavo questa sua particolarità e, anche se momentaneamente non stavamo più insieme, non riuscivo a staccarmi da lui, e a quanto pareva nemmeno lui.

Mi rassegnai allidea di raggiungere casa senza i miei fratelli, che sembravano non avere nemmeno un minuto per me. Dopotutto erano loro quelli immortali, non io.

Annuii, poi Kol chiamò un taxi.

Eravamo allaeroporto di New Orleans e, dopo nove ore di volo, ero stanchissima. Non avevo nemmeno avuto il tempo di riposarmi sullaereo e non chiudevo occhio da quando ero svenuta

Il tassista caricò le valigie e Kol mi aprì la portiera. Lo ringraziai, mi infilai dentro e subito dopo mi seguì.

"Dove vi porto, ragazzi?", chiese l'uomo quando fu al posto di guida. Era sulla sessantina e aveva un'aria cordiale.

"Quartiere Francese", esordì Kol, poi si lasciò cadere sul sedile. Probabilmente, se non fossi stata con lui, avrebbe usato la sua velocità da vampiro per arrivare a casa, e sarebbe già lì a riposarsi.

L'aeroporto, dal quartiere francese, distava solo venticinque minuti perciò, senza nemmeno accorgermene, arrivammo. Camminammo per un paio di minuti, in cui Kol si propose per portarmi il bagaglio, e finalmente arrivammo davanti "casa".

Aprii il cancello e, dopo aver lasciato passare Kol, me lo richiusi alle spalle. Avanzai lentamente verso il cortile, e appoggiai la mano su una delle tante colonne. Seguii con il dito il simbolo dei Mikaelson inciso nella pietra, e lasciai vagai intorno con lo sguardo. Ritornavo in quella casa una volta all'anno e, ogni volta, mi stupiva sempre di più. Era piena di porte, stanze e passaggi che dovevo riscoprire ogni volta, perché ritenevo impossibile ricordarli tutti.

"È meglio se vai a riposarti", disse la voce di Kol dietro di me, poi mi appoggiò una mano sulla parte bassa della schiena. Resistetti al l'istinto di appoggiarmi al suo petto, e corsi su in camera mia.

Scostai le morbide coperte bianche di lino e mi lasciai cadere sul soffice materasso del mio letto antico in ferro battuto. In men che non si dica, mi addormentai.

Sognai di Kol.

Sognai le sue braccia forti intorno alla mia vita.

Sognai le sue labbra calde contro le mie.

Sognai il suo petto muscoloso contro di me.

Sognai le sue parole dolci sussurrate all'orecchio.

"Desi", gridò una voce in lontananza, ma ovattata a causa del sogno. "DESI!", ripeté più forte.

Sobbalzai dal sonno e saltai di colpo a sedere. Mi guardai intorno, spaesata. Ci misi un po' per rendermi conto che ero nella mia camera a New Orleans. Tesi l'orecchio, ma non sentii nulla.

Probabilmente stavo ancora sognando, e quella voce non era nulla. Eppure, per qualche strana ragione, mi sentivo inquieta, come se quella voce mi avesse scosso dentro.

Mi alzai lentamente dal letto, mi stropicciai gli occhi, e raggiunsi l'armadio. Dopo essermi sfilata i vestiti col quale ero partita, indossai un semplice jeans e una maglietta bianca. Misi ai piedi le mie solite Vans basse, e raggiunsi il bagno. Mi sciacquai velocemente la faccia e mi lavai i denti.

Lanciai uno sguardo veloce all'orologio. 11.49

Potevo tranquillamente approfittarne per uscire, fare una passeggiata per la Jackson Square e mangiare qualcosa al Rousseau's. Aprii la porta della mia camera e, con piacere, notai che Kol aveva lasciato lì il mio bagaglio. Lo portai dentro e tirai fuori una piccola borsetta che mi ero portata dietro, dove infilai borsino e cellulare, che mi ero portata nelle tasche dei jeans durante il viaggio.

Uscii dalla mia camera, ma, quando arrivai alle scale, mi bloccai di colpo. Due ragazzi, uno con la pelle chiara mentre l'altro scura, erano posizionati ai due lati delle scale, con le mani congiunte davanti e lo sguardo fisso davanti a loro.

Mi guardai freneticamente intorno, ma non vidi nessuno dei miei fratelli.

A little Mikaelson 2- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora