Capitolo 1

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Alzai di scatto la testa dal cuscino e mi guardai intorno. La stanza era immersa dalla penombra e emetteva un'aura inquietante.

"Cosa c'è?", domandò Kol.

"Niente", sussurrai appoggiandogli una mano sul petto. Lui mi prese la mano e allacciò le dita alle mie.

"Sei sicura che vada tutto bene?", chiese preoccupato. "Da quando Nik ti ha fatto quella proposta non sei più tu". Scossi la testa.

"Va tutto bene. Davvero", risposi con voce ferma. Scostai la mano e mi guardai per un altro secondo intorno. "Forse è meglio che ritorni in camera", dissi alzandomi velocemente. Oltre al reggiseno, il solo capo che Kol non si era preso la briga di togliermi, indossavo solo una sua felpa troppo larga, che mi aveva prestato in piena notte, durante un brivido di freddo.

"Perché non rimani ancora un po'?", chiese ammiccando. Scossi di nuovo il capo e mi allungai verso di lui. Gli diedi un veloce bacio a stampo, ma lui mi appoggiò la mano sul fianco. Gliela scostai e lui la fece ricadere pesantemente sul letto. "Mi dici cosa ti prende?", chiese stizzito, ma io lo ignorai.

"Ora devo andare", risposi vagamente, poi schizzai via. Sbattei la porta della camera di Kol alle mie spalle, e mi precipitai su per le scale, e sbucai nella cucina, che si trovava al piano di sopra.

Vivevo con i Mikaelson da ormai due anni e, la casa, era rimasta la stessa: il piano privato di Kol al piano inferiore, l'ordine abitabile mio e dei miei fratelli e il solito sgabuzzino con le scorte di sangue. Non era cambiato nulla, nemmeno l'arredamento.

Mi appoggiai alla porta richiusa alle mie spalle e mi lasciai scivolare a terra, poi mi appoggiai la mano sulla fronte. Mi guardai intorno. Qualcuno avrebbe dovuto proprio spiegarmi perché l'architetto che aveva ideato la casa aveva voluto mettere la porta che portava a questo piano sulla cucina, e non all'ingresso dove ci sono le scale per raggiungere le camere. Come in tutte le case normali, specificherei.

Non aveva senso fare una casa a tre piani che, all'interno, ha altri due appartamenti con delle scale che li dividono in due.

Sono i Mikaelson: probabilmente non c'è nemmeno una ragione, constatai con un sorriso smorzato.

"Cosa fai a terra?", chiese improvvisamente Elijah, riportandomi alla realtà.

Schizzai in piedi.

"Nulla", risposi in fretta. "Ora devo andare...", aggiunsi e corsi in camera mia. Afferrai il telefono sul comodino, staccandolo dalla carica, e lo infilai nella borsa che avevo lanciato la sera prima sul letto.

Indossai velocemente un jeans chiaro e una maglietta nera, mi sistemai i capelli e misi la borsa in spalla.

Scesi le scale per raggiungere la cucina ma, una voce, mi fermò.

"Dove stai andando?", chiese la voce minacciosa di Klaus. Roteai gli occhi al cielo, poi mi girai lentamente.

"Ho un appuntamento. Scusa, ora devo andare". Senza dargli il tempo di ribattere o aggiungere qualcosa, corsi via il più velocemente possibile.

Percorsi a grandi falcate lo spazio tra la porta d'entrata e il cancello, poi svoltai a destra. Sapevo che, da lì, Klaus non era più in grado di vedermi, nemmeno se fosse stato davanti alla parete di vetro ad osservarmi attentamente.

Feci un sospiro di sollievo. Nell'ultimo periodo avevo evitato i miei fratelli ed ero stata molto vaga persino con Kol.

Camminai lentamente per il marciapiede per un bel po' di tempo e, dopo circa mezz'ora, sentii una macchina sgommare dietro di me. Mi girai di scatto e vidi una Range Rover nera a vetri scuri venire velocemente verso di me. Quando mi fu accanto stincò di colpo e, il guidatore, abbassò il finestrino.

A little Mikaelson 2- Où les histoires vivent. Découvrez maintenant