Quellʼanno, però, cʼera qualcosa di diverso.

Avere Tancredi in vacanza con noi era strano, vederlo mentre tagliava lʼanguria con papà e lo faceva piegare in due dal ridere per ogni battuta che solo loro riuscivano a comprendere era ancora più strano, ma strano bello.

Saremmo rimasti poco con loro, perché ovviamente ci andava di trascorrere del tempo da soli, e con i nostri amici, ma non avrei mai rinunciato ad un breve periodo lì, con la mia famiglia, specialmente se il periodo includeva il mio compleanno.

“Ora salgo e la scelgo.” Risposi, portando nuovamente lo sguardo sul sole che stava calando.

“A che pensi?” Domandò, abbracciandomi da dietro.
Mi beai di quel contatto, appoggiandomi completamente su di lui come ero solita fare. “Al fatto che stai per invecchiare? Non preoccuparti, qualche ruga ce lʼhai già, non cambierai molto.”

“Pezzo di merda.”

“È solo divertente che tu sia più grande di me.”

“Di un mese. Un solo mese. Perciò smetttila, Peter Pan, tra poco tocca a te.”

“E non ho ancora idea di come festeggiare.”

Scoppiai a ridere, mettendomi le mani sulla faccia. "Riesci a parlare di te anche adesso che mancano letteralmente meno di quattro ore alla mia, di giornata. Sei incorregibile."

“E tu non vuoi davvero correggermi, ecco perché funzioniamo perfettamente.”

Lʼingranaggio che ci teneva uniti non era perfetto, né tanto meno ordinario, insomma quanti altri ragazzi prendevano in giro la propria fidanzata dicendole di avere le rughe? Esattamente, nessuno, ma per noi era normale. Perciò, seppur quellʼingranaggio fosse un pezzo unico, non riproducibile, che non si sarebbe potuto applicare a nessun altro, per noi funzionava da Dio.

Cenammo tardi, papà andò a prendere le piadine in bicicletta, accompagnato da Tancredi, mentre mamma e Milo finivano di prepare in cucina quella che sarebbe stata la mia torta.
Non avevo capito bene cosa fosse, perché non volevano dirmelo, ma quasi sicuramente si trattava di una torta gelato al cioccolato, come al solito. Squadra che vince non si cambia.

Per tante persone quello forse non poteva definirsi propriamente festeggiare, ma non importava, a me stava bene passare quella serata così.
Ed ero sicura che poi, nei giorni a seguire, con il resto della banda avremmo bevuto e avremmo fatto altro.

“Lele è stupido.”

Già, a proposito del resto della banda.

Finii di masticare le fragole, prima di parlare. “Perché?”

Lui di tutta risposta sventolò il cellulare che aveva in mano. “Non hai letto nel gruppo? Chiamateci a mezzanotte così facciamo gli auguri alla piccolina. Ci vuole tanto a capire che magari a mezzanotte vogliamo stare un secondo da soli?”

“Da soli?”

“Sì, da soli. Anzi, visto che mancano meno di dieci minuti sei pregata di finire di mangiare e alzare il culo da quella poltrona, voglio andare in spiaggia.”

Lo guardai, confusa. “In spiaggia?”

“Devi per forza ripetere tutto quello che dico? Sì, Lù, in spiaggia. È proprio qui dietro, non mi sembra di averti chiesto chissà che cosa.”

“Okay, okay.”

Ma perché era così nervoso?
Mi alzai, andando a riporre il bicchiere nel lavandino, e pensai di avvisare gli altri, ma a quanto pareva già lo sapevano.

“Ha detto che voleva che foste solamente voi due, perché è il primo compleanno che passate insieme. Non preoccuparti, vai, la torta la tagliamo più tardi.” Disse mia madre, sorridendomi.

Così gli rubai una felpa dallʼarmadio, la solita, quella nera con topolino, che seppur si fosse ostinato a riprendersi utilizzavo più io di lui, raccolsi alcuni capelli in una piccola crocchia, tanto per non sembrare pazza, dato che il mare me li rendeva mossi, e lo seguii.

Scavalcammo la catena di uno stabilimento balneare a caso, per poi percorrere tutta la passerella fino ad arrivare a qualche metro dal mare, di nuovo.

Era diverso, di notte, con le stelle, la luna, lʼacqua che sembrava nera. Ci ero stato poche ore prima ma sembrava quasi totalmente un altro posto.

“Perché sei voluto venire qui?”

“So che ti piace.” Alzò le spalle. “Non capisco perché, dato che la Sardegna è totalmente un altro paio di maniche e lo vedrai tu stessa, quando saremo lì con i miei, ma per qualche motivo, a te piace tanto stare qui.”

“Finiscila con questa Sardegna, lo so che è bella, ma solo... non hai mai amato qualcosa perché ai tuoi occhi risultava semplicemente speciale?”

Mi guardò, inclinando leggermente la testa e alzando un angolo della bocca. “Sì.” Allargò il sorriso, mostrando i suoi piccoli e perfetti dentini bianchi. “La Playstation.”

“Vaffanculo.”

Rise, allungando un braccio per afferrarmi. “Che ore sono?”

“Mancano due minuti.”

“Okay, dovrebbero bastarmi.” Si trovava esattamente di fronte a me, insipirò ed espirò forte, dopodiché appoggiò la sua fronte sulla mia. “Mi chiedi di continuo perché ho scelto te, ed io non ti rispondo mai perché non ci riesco, è più forte di me.” Mi accarezzò una guancia, con tanta delicatezza che pensai di potermi già mettere a piangere. E non aveva detto praticamente nulla. “Ma voglio che tu lo sappia, e probabilmente è il miglior regalo che potrei mai farti, perché non ricapiterà più. E sì, se te lo stessi chiedendo, ho anche un regalo vero.”

Risi, tirandogli un pugno sulla spalla. “Non me lo stavo chiedendo affatto.”

“Comunque, ho scelto te e sceglierei te sempre, perché sei andata oltre. So che non è stato facile, che allʼinizio cercavi il pretesto per trovarmi antipatico, cosa che non sono affatto, e cʼeri anche riuscita, con quella storia dei graffiti, ma poi hai scelto di conoscermi davvero. Le persone con me si fermano ai pregiudizi. È famoso, è superficiale, è montato. Tu hai capito che cʼera di più, sei stata lʼunica ad andare oltre, lʼunica che ha saputo accettarmi a pieno, in tutti i miei innumerevoli pregi.”

“Non lʼhai detto veramente.”

“Puoi scommetterci, che lʼho detto.
E poi, sceglierei sempre te perché oltre ad essere bassa, avere un bel sorriso e tenermi testa, sei speciale. Non so perché tu viva in questa convinzione assurda di valere tanto quanto le altre persone, o addirittura meno, ma non è così. Non hai niente di normale. Amo quando parli da sola di mattina davanti allo specchio, amo come cerchi di far sentire sempre gli altri a loro agio, a meno che questi altri non comprendano me, amo il fatto che hai le tue idee e non permetti a nessuno di fartele cambiare, amo che tu sia diretta, amo il tuo modo impacciato di camminare e le tue dita minuscole.
Ti amo, Luce. Buon compleanno.”

Scoppiò qualcosa in lontananza, ma a malapena lo sentii, concentrata solamente sulle sue parole.
Mi accorsi qualche istante dopo che si trattava di fuochi dʼartificio.

Spruzzi di ogni colore riempirono il cielo, mentre io fissavo quello spettacolo a bocca aperta, totalmente scioccata.

“Ma... sei stato tu ad organizzarli?” Domandai, asciugandomi le lacrime.

“Lʼho detto che sono pieno di pregi.”

“Ti amo.”

“Oh, lo so. Ti capisco, chi non lo farebbe?”

Tancredi era lʼingrediente speciale della mia ciotola, la mia piccola casa di carta.

ciao stelline.....
eccoci qua. voi ci credete? io no.
non so perché mi renda così emotivamente instabile finire una fanfiction, cioè ho qualche problema mentale evidente a quanto pare.
vi voglio così bene, non avete idea, grazie per tutto e lo dico veramente, vi mando un abbraccio virtuale, prendetevelo mi raccomando.
e aspettatemi domani.


Canyon 🦋

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