27•capitolo -Anime in pena-

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Marco

Sono seduto su una sedia di casa mia, mentre sorseggio il mio caffè e guardo al di là della finestra del decimo piano, dove si può vedere una vista di Napoli mozzafiato. Il cielo si sta schiarendo, rivelando i colori della mia città che mi fanno sentire a casa e che, quando sono fuori per lavoro, riescono a mancarmi. Oggi però, lo guardo con più sentimento, perché mi ricordano cose passate che vorrei ritornassero. Ieri sera ho passato la notte da Chiara, ero ubriachissimo, non sono riuscito a tornarmene a casa. Ed è da un paio di minuti che ci penso a cosa fare con Siria, alle parole di Chiara che mi suggeriscono di smetterla di martoriarmi e pensare più a me stesso. È facile per lei, sembra tutto più semplice, ma per me è davvero complicato rinunciare a Siria. L'ultima volta che l'ho fatto me ne sono pentito amaramente.

Mi alzo e faccio avanti e indietro per il mio appartamento, ticchetto il piede sul parquet, e penso a lei. Penso a lei perché è la cosa più giusta che mi pare di fare per tornare a respirare. Perché il fatto non è tanto se cercare di convincerla a tornare con me o meno, ma cosa vuole lei.
E me lo ha detto chiaro e tondo che vuole essere lasciata stare.
E io la amo quella ragazza, tanto che darei la mia vita per lei, che farei qualsiasi cosa per vederla sorridere. E io vorrei che mi apprezzasse, che non mi odiasse, vorrei riaverla con me si, ma se questo non è quello che vuole preferisco rinunciarci.

Non so esattamente che fare, cosa sia giusto e cosa sbagliato.

Il telefono squilla e mi avvicino, ormai so che non può essere Siria e mi accorgo che è Chiara.

"Marco... che ne dici di vederci? Vorrei parlare di quello che è successo tra noi!"

Inutile dire che, anche se mi aspettavo non si trattasse di Siria, ne sono sempre molto deluso.

Non le rispondo neanche. Devo ringraziare Chiara per tutto quello che ha fatto per me, per avermi aiutato e portato a casa sua quando ero completamente ubriaco e furioso. Un'altra ora da solo e sarei potuto correre da Bernardo per prenderlo a pugni.
Stringo il telefono più forte al pensiero di quel nome, nel timore che possano essere insieme, che lui la stia stringendo a sé.
Ho bisogno di fare una passeggiata, prendere aria e togliermi questo pensiero che ho fisso in testa. Dunque, in un lampo mi vesto, afferro le chiavi della macchina ma, quando apro la porta per andare via, sono costretto ad arrestare i miei passi nel ritrovarmi due occhi neri inchiodati ai miei.

Riccardo, il mio migliore amico, è davanti a me, con i capelli arruffati e bagnati, delle goccioline che gli scorrono sul viso, gli occhi più scuri del solito e una maschera di dolore che si intravede nello sguardo.

«Che... che succede?» domando, preoccupato seriamente, visto che mai nella vita l'avevo visto così... distrutto.
Sembra un'anima in pena, le sue labbra sono chiuse come se gli avesse messo un lucchetto e neanche il fiato riesce a venir fuori da esse.

Mi oltrepassa, cammina, ma non risponde. Lo conosco Riccardo, lui ha bisogno dei suoi tempi prima di far uscire i suoi sentimenti. A volte mi sento così distante da lui per questo, io parlo molto, mentre lui tace.

Si siede sul mio divano e non riesco a capire cosa fare per farlo parlare. Lo affianco, forse la mia presenza può, in qualche modo, aiutarlo.

Vorrei fare qualcosa per lui...

«Se n'è andata...» mi dice, mentre sbuffa tutta l'aria. «Mi ha lasciato. Sam... Sam mi ha lasciato» queste parole si scaraventano su di me come un fulmine a ciel sereno.

«Che stai dicendo?»

Lui mi guarda, mi oltrepassa con i suoi occhi più scuri perfino della notte, scavati dal dolore che sta sentendo. Glielo si riesce a leggere tutto il male che ha dentro, tutto il dispiacere, il senso di angoscia, l'impotenza.

Another day  (Completa)Where stories live. Discover now