Mi ascoltò, mettendosi a digitare sulla tastiera, mentre io la guardavo e pensavo che senza di lei sarei stata persa.
Era lʼunica persona che non aveva paura di dirmi le cose in maniera brutale, e alla quale io, nonostante tutto, davo retta.
Perché sapevo che mi conosceva bene e che ogni suo consiglio era esclusivamente mirato ad aiutarmi. Celeste riusciva dove tutti gli altri fallivano, smussava alcuni di quei miei angoli tanto duri, rendendomi migliore.

"Ti sta chiamando."

"Non fai ridere, Les."

"Sul serio. Ti sta chiamando." Voltò il display, e sì, mi stava chiamando davvero. Ovviamente, senza aspettare che io le dessi lʼokay, premette il bottone verde, staccando poi il cellulare dal cavo e lanciandomelo sul letto.
Maledetta.

"Hai tolto il numero dalla lista nera, deduco."

"Ciao anche a te."

"Se certo, cambia discorso. Comunque, la ferita sarebbe guarita, solo che io non lascio in pace il labbro e continuo a morsicarlo."

"Complimenti, cazzone."

Lo sentii ridere. In realtà, sentivo anche un sacco di altri rumori, musichette strane mischiate a spari e varie urla.

"Che stai facendo?"

"Ho pranzato a casa di Celeste, ora la sto guardando mentre si fa i trattamenti al viso. Tu, invece, a giudicare dal baccano, stavi giocando alla Playstation."

"Come sei diventata brava. Ti ho chiamata adesso perché è il turno di Gianni e dovevo lasciare la console, altrimenti non mi avresti sentito per le prossime settanta ore." Disse, con quel suo solito tono da galletto. Ero stata io a non avergli risposto per tutta la mattinata, ma evidentemente gli piaceva credere di essere lui a portare i pantaloni tra noi due.

"Che fortuna ho avuto."

"Troppa. Hai da fare stasera?"

"Vuoi vedermi anche oggi? Non credevo di mancarti tanto."

"Voglio solo mostrarti una cosa, non agitarti troppo. Ti va o no?"

Guardai Celeste, che, ovviamente, mi aveva raggiunta ed era ad un millimetro dal mio orecchio, così da poter sentire tutto. Mi dette una gomitata nelle costole, abbastanza chiaro come suggerimento.

"Ai-okay, sì, va bene. Scrivimi i dettagli."


"Ma sei diventata un vampiro?"

"Un... vampiro?" Chiesi, alzandomi da tavola per portare il mio piatto nel lavandino.

Mia madre mi guardò storto, facendo tamburellare le dita sul tavolo. "È solo che non capisco dove tu debba andare così di fretta a questʼora, di nuovo. Ieri sera hai preso la macchina di tuo padre senza nemmeno avvisare e sei tornata più tardi di noi, oggi sei stata fuori tutto il giorno, rientri per farti una doccia e cenare e devi già scappare di nuovo. Hai una specie di vita segreta?"

"Prima di tutto, io ho avvertito papà del fatto della macchina. Oggi invece sono stata da Celeste, e poi, da quando uscire di sera è sinonimo di essere un vampiro con una vita segreta?"

Milo si portò il suo bicchiere dʼacqua alla bocca, con un ghigno, che fortunatamente non vide nessuno a parte me. Stronzo, chissà quali film mentali si stava facendo solo perché gli avevo confidato di avere una mezza frequentazione con qualcuno.

"Tua madre un poʼ ha ragione, non lʼhai mai fatto prima, non così spesso."

Fantastico, anche papà si era schierato con lei.
Non erano dei genitori oppressivi, e non cʼera mai stata la necessità di chiedergli il permesso di poter fare qualcosa, perché sapevo che si fidavano di me e, nei limiti della legge, mi avevano sempre lasciato libera di sbagliare, aiutandomi così a crescere.
Però gli piaceva essere informati, sapere almeno dovʼero quando uscivo, e questo dovevo riconoscere che era assolutamente legittimo.
Solo che in quella situazione non sapevo cosa dire.

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