Capitolo 17

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Successe tutto troppo in fretta, un battito di ciglia e tutto era volato via come una rosa del deserto in preda al vento, era un incubo e lei voleva svegliarsi.
Era un mercoledì mattina ed era nuvoloso, un flebile raggio di sole penetrava dalla finestra. Leah stava scrivendo una lettera a sua nonna, scrisse che le mancava e che voleva vederla, poi le raccontò di Benjamin. Dovette specificare che era tedesco altrimenti la nonna, un tantino chiacchierona, l'avrebbe detto subito alla sua vicina e la vicina l'avrebbe detto alla sua amica e quest'ultima .. insomma un vero guaio.
Quel giorno non vide Benjamin, diceva di non sentirsi bene. Il che era strano dato che l'aveva visto recarsi in biblioteca a gambe levate. Se doveva studiare poteva dirlo subito. Mentre pensava a ciò Abel irruppe nella sua camera senza bussare, Leah ovviamente lo guardò in malo modo.
" Avanti... eh"
"Leah...prepara i bagagli e in fretta'"
La ragazza alzò un sopracciglio
" dove dovremmo andare?"
" non lo so ma fai in fretta.. prima che loro arrivino!"
" loro chi?"
Neanche il tempo di rispondere e qualcuno bussò violentemente alla porta.
"Aprite!"
Leah scattò in piedi
" Che succede Abel?"
Abel scosse la testa.
Si sentì un rumore di porta che sbatte. Due alti uomini in uniforme si diressero verso i due con passi pesanti. Li guardarono con occhi di ghiaccio. Leah li osservò bene, erano grandi occhi ma ben distanti da quelli calorosi e magnetici di Benjamin. Rimase lì in piedi, non mosse un muscolo.
" Prendete i beni di prima necessità e in fretta.. dovete essere portati in un posto apposito per voi."
Leah non rispose, fece un cenno con la testa e si diresse verso l'armadio, raccattò qualche vestito e delle scarpe. Non ebbe neanche il tempo di chiudere la valigia che uno dei due ufficiali la prese per un braccio e con forza la portò al piano di sotto. Leah cercava di tenere il passo ma l'uomo era brusco e la faceva inciampare ad ogni passo. Stavano per uscire quando Albert si mise davanti alla porta.
" Vi prego lasciate andare mia figlia "
Aveva gli occhi lucidi. I due uomini non sembravano commossi. Tirarono un pugno ad Albert che rimase con le mani sulla faccia. Del sangue sgorgava dal suo naso. I due ufficiali lo tirarono su e lo portarono fuori con violenza. Leah piangeva ma in silenzio. Non poteva sopportare la sofferenza di suo padre. Mentre la facevano salire sul carro sentì una voce
" Leah!!"
Era Benjamin. Leah si girò di scatto
" Benjamin vattene via!"
Lui correva più veloce che poteva. Si scaraventò sugli ufficiali implorandoli di parlare con Leah. Loro lo trattennero.
La ragazza lo guardava con le lacrime agli occhi, tutto ciò che disse fu:"Andrà tutto bene".
La fecero salire sul carro e partì. Non sapeva la sua meta. Tutto ciò che sapeva, era che lo stava lasciando lì. Il ragazzo dagli occhi magnetici. Li guardò un'ultima volta. Non sapeva cosa sarebbe accaduto.
Arrivarono ad una stazione ferroviaria. Leah scese con un balzo. Non aveva idea di dove fosse suo padre o dove fosse suo fratello. Li cercava costantemente. Ad un certo punto un ufficiale la prese per un braccio e con forza la condusse verso il "vagone". Le tolse la valigia di mano.
"Salga" le disse l'uomo. Leah si fece spazio tra la folla di persone che premeva contro il vagone. Una volta entrata la porta si chiuse. Era rimasta al buio. Schiacciata tra altre decine di ebrei che le alitavano nelle orecchie. Lo spazio era stretto e soffocante. Quando le ruote del vagone cominciarono a stridere, Leah disse addio a Berlino. L'avrebbe rimpianta ma ancora non lo sapeva. Sappiate solo cari lettori che la ragazza chiuse gli occhi. Provava a sognare, almeno un'ultima volta ma non ci riusciva. Era questo che significava essere diversi? Stare tutti belli stretti ed accalcati? Era solo stupido pensare che quello le avrebbe impedito di pensare con la sua testa. La paura, quella era l'arma che loro, chiunque fossero, stavano usando. Che fosse tutto nella sua testa? Che stessero andando veramente in posto migliore ed " adatto" a loro? Non lo sapeva. Ma gli occhi erano chiusi. E la mente vagava.
Quanti giorni fossero passati non lo sapeva. L'unica cosa che poteva notare era la luce e il buio da uno spiraglio piccolissimo. A volte dei bambini piangevano, c'era chi vomitava, chi invece sudava ed emanava un tanfo orribile. Condividere inoltre i succhi gastrici e i liquidi corporei con gli altri non era il massimo. Un anziano signore se l'era fatta addosso e c'era odore di urina e di feci nauseabondo. Quel mix di odori era straziante. Forse Leah era talmente assuefatta che non lo sentiva più. Gli occhi non li aprì neanche per un secondo.
Un giorno però dovette. Fu solo un momento e appena abbassato lo sguardo vide una bambina con i boccoli rossi. Sembrava affamata. Aveva le guance scavate e le borse sotto gli occhi. Leah mise la mano in tasca. C'era un pezzo di cioccolato alla nocciola che le era avanzato. Glielo porse. La bambina prima di divorarla fece un sorriso gigante. Due dolci occhioni azzurri che la guardavano riconoscente. Leah richiuse gli occhi ma sorridendo.

Cari lettori,siamo quasi alla fine del libro e non vedo l'ora di farvi leggere le ultime parti. Per essere il mio primo libro, devo dire che ha riscontrato abbastanza successo... e non me lo aspettavo minimamente. È vero è difficile scrivere di argomenti del genere ma questo in particolare mi sta molto a cuore. La gente non deve e non dovrà mai dimenticare.
Comunque voglio che vi godiate il libro e vi ricordiate di quante persone abbiano perso la vita solo per essere sé stessi.
Detto questo, vi auguro una buona lettura.

Tavolette di cioccolatoWhere stories live. Discover now