Capitolo 2

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Saranno state le 8:30 quando Abel e Leah rientrarono a casa. Albert, nonché il loro amorevole padre, li aspettava come al solito davanti alla stufa leggendo il giornale.
" Siete tornati finalmente, pensavo foste morti!"
" adesso non esagerare papà...ci siamo assentati solo per qualche ora" disse Leah appoggiando la busta della frutta su una sedia.
" Tu non sei proprio libera di parola signorina! Sono due ore che tuo fratello ti cerca per la città e tu mi dici di non esagerare?" esclamò Albert con una faccia seria.
" D'accordo, forse sono stata via più del dovuto ma perlomeno sono tornata a casa sana e salva!!"
" Ti rendi conto che l'orario di rientro per tutti gli ebrei sono le 8 in punto? Avresti potuto morire! Se ti avessero vista ? Secondo te cosa ti avrebbero fatto ? Non credo che ti avrebbero tenuto in vita un minuto di più!! "
Leah capiva quello che intendeva il padre, sapeva il pericolo che correva ogni giorno nel rientrare così tardi...a volte si chiedeva se sognare fosse solo una perdita di tempo. Ma no? Come poteva pensarlo? Anche sua madre le aveva detto di farlo, di continuare a sognare. Era una promessa, una promessa che avrebbe mantenuto fino alla morte.
" Capito papà, prometto che starò più attenta la prossima volta "
" Così ti voglio. Ora apparecchiate la tavola che ho una fame da lupo!"
La famigliola si mise a tavola, mangiando rapidamente tutto il pollo che era sul tavolo , sembrava non mangiassero da una vita.
" Papà " disse Abel " ricordati di rammendare la stella sulla manica del giubbotto "
" Oh non preoccuparti lo farò "
"Papà sono serio è meglio che tu lo faccia subito prima che te ne dimentichi "
" Non stressarmi Abel, prima o poi lo farò! Ora lasciami mangiare! Stupide stelle di David !"
Leah intanto giocherellava con la forchetta, non stava mangiando, pensava , pensava e basta , pensava al perché di tutto questo maltrattamento, al perché di tutte queste atrocità commesse nei loro confronti.
" Perché lo fanno?"
Abel e Albert si guardarono con aria seccata, sarà stata la duecentesima volta che Leah faceva quella stessa domanda.
" Ancora vuoi discutere di questo argomento? Non credi di aver parlato abbastanza?"
" In realtà non ho parlato per niente tutta la sera" rispose a tono Leah guardando il fratello in atteggiamento di sfida.
" Leah te l'ho già spiegato duecento volte: ci odiano, ci odiano perché siamo ricchi ed abbiamo più soldi di loro, altro che differenze etniche... sei diverso da Adolf ? Devi morire punto. Non c'è altro motivo! È quello che dice lui, e noi non possiamo farci niente. A lui non interessa se sei ricco, povero, vecchio o giovane SEI UN EBREO SEI INFERIORE A TUTTI ! Ci chiamano cani rognosi, ci prendono a calci e ci sputano addosso ma noi non possiamo farci niente Leah. Questa è la dura vita di un ebreo e devi imparare ad accettarla"
Leah si ammutolì per un istante e un attimo dopo esclamò: " E se ci ribellassimo ?"
Albert la guardò con aria irritata e disse: " Non dire sciocchezze Leah, sai bene che non possiamo".
"Si ma se non ci proviamo non lo sapremo mai no?"
" Leah non dirlo neanche per scherzo sai benissimo cosa ci farebbero. Ci carbonizzerebbero all'istante! " disse Abel in tono di rimprovero.
" Si ma se riuscissimo a convincere l'intera comunità..."
"Leah"
"...e trovassimo delle armi ..."
"Leah ora basta"
" ...e facessimo..."
"LEAH HO DETTO BASTA"
Albert aveva stretto i pugni e li aveva sbattuti sul tavolo violentemente, così da spaventare e mortificare Leah che intanto aveva abbassato la testa e aveva smesso totalmente di parlare. Abel guardò il padre a bocca aperta: in tutti quegli anni non si era mai rivolto a lei con quel tono. Albert guardò Leah dispiaciuto, stava per dire qualcosa quando lei  sussurrò: " Vado a dormire, con permesso ". Detto ciò si alzò e si diresse in camera sua.
Chiuse a chiave la porta e si buttò sul letto, delle lacrime rigarono le guance della ragazza, che intanto guardava e riguardava le foto insieme a sua madre, come avrebbe voluto averla accanto in quel momento, avrebbe voluto abbracciarla e dirle che le voleva bene e invece tutto ciò che sentiva era la superficie ruvida della foto che aveva tra le mani, si sentiva così sola.
Decise di mettersi a dormire, ma non ci riuscì, pensava alle parole di suo padre " INFERIORI" aveva detto, qual era il vero significato di quella parola ? L'aveva sentita mille volte ma non aveva mai provato a darle un significato o perlomeno uno diverso da quello che gli altri gli attribuivano. Tutto ciò che sapeva era che con quella parola si indicava solo un ebreo, era un aggettivo fatto apposta per loro dicevano i tedeschi, eppure più ci pensava, più capiva che quella maledettissima parola che la faceva stare  male era ben lontana dal definire un ebreo.
Cosa li rendeva così diversi dagli altri? Forse perché non era bionda come tutti i nordici? Forse perché non aveva determinate abilità? O semplicemente era quello che loro volevano farle credere? Che era diversa lo sapeva, e si piaceva così com'era. Proprio la sua diversità la rendeva speciale, eppure ad Adolf non piacevano le persone diverse, forse gli facevano paura, forse provava ribrezzo o semplicemente non sopportava chi non fosse come lui , cioè così odioso, così codardo e ciarlatano. Leah non sapeva più cosa pensare...in fondo erano tutte tavolette di cioccolato: c'era chi era cioccolato fondente, chi bianco, chi al latte, chi con nocciole, mandorle... eppure erano tutti tavolette di cioccolato.
E così, mentre pensava intensamente al cioccolato, si lasciò avvolgere dal suo morbido cuscino di piume e cadde in un sonno profondo che la portò a sognare... stavolta però sognava ad occhi chiusi.

Tavolette di cioccolatoWhere stories live. Discover now