Capitolo 33;

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Lavorare per Arnold Cleaner non era così terribile, ma estremamente impegnativo a causa del suo disturbo ossessivo compulsivo.
All'inizio non mi era sembrato un problema, anche se avrei dovuto farmi venire dei dubbi entrando nel suo ufficio in fondo al negozio: un piccolo stanzino che puliva personalmente due volte al giorno, in cui era impossibile riuscire a scorgere un granello di polvere, dove un purificatore dell'aria era sempre acceso, quattro maschere antigas erano appese pareti e del gel antibatterico era sparso per tutta la stanza. La prima volta che lo incontrai, prima di stringermi la mano mi spruzzò addosso un prodotto disinfettante.
Poi mi aveva costretto a lavarmi le mani con il suo gel dalla formula speciale che sapeva di ammoniaca.
Il negozio era piccolo e poco visibile, ma Arnod Cleaner aveva la necessità di avere qualcuno che si occupasse di qualsiasi rapporto con i clienti e fornitori.
Aveva pensato più volte di chiudere l'attività ma il negozio l'aveva ereditato dal padre, morto cinque anni prima, e inoltre non aveva idea di come potersi guadagnare da vivere senza esporsi al contagio, come diceva lui.
Del resto, non poteva mica spruzzare disinfettante addosso alla gente o rifiutarsi di avvicinarsi troppo, urlando che prima o poi saremmo tutti morti a causa dei germi, come aveva alle quattro fatto una volta con me, quando avevo starnutito a causa della polvere che c'era su uno scatolone. Per poco non mi aveva licenziato!
Passai i primi due giorni essenzialmente a pulire, dato che solo tre clienti varcarono la porta d'ingresso.
«Ripassi il disinfettante dopo ogni cliente!», si agitava sempre mettendo fuori dalla porta solo la testa con una mascherina sul viso. «Già fatto», gli sorrisi cercando di trattenere l'irritazione.
«Allora passi quel nuovo spray all'aceto su tutti i ripiani, per sicurezza. Non vorrei che le fosse sfuggito qualche pulviscolo. Non ha idea delle migliaia di acari che si nascondono nella polvere, anche quella meno visibile».
Al terzo giorno avevo le mani corrose da tutti quei detersivi e disinfettanti.
Inoltre a causa delle radiazioni che provocavano tumori al cervello grandi come mandarini, Arnold mi vietò di portare con me il cellulare.
Infine la pausa pranzo era sempre così breve che facevo appena in tempo a correre a vedere un appartamento da affittare, mangiando un misero hot dog strada facendo, sapendo che questo avrebbe poi scatenato le ire del mio capo, ossessionato dalla sporcizia dei chioschi e del cibo d'asporto.
E come se tutto questo non bastasse, la sera mi aspettava sempre una cena a base di prediche a casa dei miei.
L'unica piccola cosa che mi tirò su fu un breve messaggio di Louis: "Qui tutto bene. Ho sistemato tutto. Ciao".
E il "Ti amo" dov'era?
Con le lacrime agli occhi provai a chiamarlo, ma non mi rispose.
Allarmato chiamai anche Gemma.
Nemmeno lei mi rispose, ma mi inviò un breve messaggio dicendomi di stare tranquillo.
"Ho parlato con Louis. Ti ama ancora quindi rilassati, ma questa lontananza lo sta distruggendo. Credo che con questo suo silenzio stia cercando di farti capire quanto sta male. XOXOXO, Gem".
Anch'io ero distrutto.
Quella lontananza stava uccidendo anche me. Arrivai al venerdì stanco morto.
Avevo visto il secondo appartamento della mia lista e mi aveva abbastanza convinto anche se era un monolocale di trenta metri quadrati. "Va bene anche un buco, purché sia lontano da qui", mi dissi quella sera a cena, davanti all'ennesima scenata di mia madre.
«Forse ho capito perché non mangi! Ti sei innamorato!», esclamò trionfante mia madre, facendomi passare totalmente quella poca fame che avevo.
«Mica avrai perso la testa per uno di quei ricchi figli di papà degli Hamptons?», mi chiese mio padre che odiava quel tipo di persone quanto me.
«No», risposi con un sussurro.
«Tesoro, pensavo ti piacesse John!», mormorò affranta mia madre.
«John è perfetto», confermò mio padre facendomi perdere quell'ultimo briciolo di pazienza che mi era rimasta.
«John va già a letto con Gemma», confessai causando lo shock generale.
«Stanno insieme?», domandò mia madre. «No, perché in realtà Gemma stava nel frattempo con un certo Luke... brutta storia», proseguii sapendo che Gemma non mi avrebbe mai perdonato, ma ero troppo a pezzi e non ne potevo più dei loro interrogatori. «No!», urlò mio padre incredulo.
«Invece sì. L'ho sgridata e per quanto ne so ora si è lasciata con Luke ma ha già perso la testa per il fisioterapista».
«Quale fisioterapista?», domandò mia madre curiosa.
A quella domanda non potevo rispondere altrimenti i miei avrebbero saputo dell'incidente e se la sarebbero presa con me per non aver detto niente!
«Un tizio che ha conosciuto in ospedale quando siamo andate a trovare una sua amica che si era rotta un braccio», m'inventai.
«Però, vi prego di non dire a Gemma che ve l'ho detto, altrimenti...».
Non potei finire la frase che mia madre aveva già preso il telefono.
Le urla di rimprovero dei miei genitori riuscirono ad assordarmi.
Per un attimo mi sembrò di sentire la voce di mia sorella urlare che ero un traditore. Solo più tardi, nascosto nella mia stanza, le inviai un lungo messaggio di scuse finendo con il chiederle notizie di Louis, ma lei mi rispose con un "Fottiti!!!!!!!!".
Avevo appena perso il mio infiltrato in casa Tomlinson.
Ancora più in crisi di prima, provai a chiamare Louis.
Come previsto non mi rispose, ma questa volta non mi lasciai abbattere.
Lo richiamai. Ancora e ancora.
All'undicesima prova finalmente sentii la sua voce. «Pronto», udii appena dal ricevitore. «Louis, perché non rispondi?», mi agitai risentito.
«Volevo sapere quanto ci tenevi a sentirmi», mi rispose con quella voce leggermente roca e vibrante di cui avevo sentito la mancanza come se fosse ossigeno.
«Molto. Come stai?»
«E tu?».
"Malissimo", mi dissi sentendo quella terribile fitta al cuore che non mi aveva abbandonato un attimo da quando avevo lasciato gli Hamptons.
«Mi manchi tanto», ammisi scoppiando a piangere.
«Anche tu, Harry».
«Vorrei tanto che fossi qui con me», mi ritrovai a singhiozzare a occhi chiusi immaginandomi di averlo vicino e di sentire le sue braccia stringermi.
«Davvero?»
«Sì... Disperatamente».
«Quand'è che possiamo vederci?», mi domandò rauco.
«Non lo so. Questo lavoro non mi lascia un attimo di respiro e non posso nemmeno portarmi dietro il cellulare. Sono così stanco che ho pure smesso di controllare gli annunci immobiliari per uffici. I miei genitori mi stanno con il fiato sul collo e non mi lasciano in pace, però spero di andarmene via presto. Forse ho trovato un monolocale disponibile. Certo è un buco ma al momento mi va bene qualsiasi cosa. Lunedì devo dare la conferma». «Aspetta a dare la conferma. Magari trovi di meglio».
«Non me ne frega niente di trovare di meglio. Voglio solo andarmene da qui e avere un posto dove possiamo stare insieme, senza nessuno che ci disturbi... sperando di avere tempo prima di morire asfissiato dai fumi della candeggina o di qualche altro disinfettante ammazzagermi»
«La prossima settimana devo venire a New York con mia madre», m'informò Louis facendomi quasi saltare per la gioia.
«Aspetta a prendere qualsiasi decisione, così ne parliamo insieme, ok?»
«Si», esclamai sorridente ed emozionato.
«Riesci a prendere qualche ora di permesso?» «Purtroppo no», m'incupii di nuovo.
«Sono ancora in prova e non posso chiedere permessi al momento, ma ti giuro che farei qualsiasi cosa per stare con te... Avevi ragione tu. Quest'idea della relazione a distanza fa schifo e mi fa stare male più di quanto avessi mai immaginato», ammisi afflitto.
«Se solo le cose fossero diverse...».
«Già. Infatti le cose devono cambiare, perché non possiamo continuare così... Io non ce la faccio, Harry».
«Louis...», cercai di parlare ma non ci riuscii.
«Avremo modo di parlare di tutto quando verrò da te. Ora ti devo salutare. Ho alcune cose da sbrigare».
«Ok... ti amo», sussurrai spaventato.
«Ti amo anch'io. Ciao».
La sua risposta mi rincuorò un po' ma l'inquietudine per le parole precedenti non mi abbandonò.

***

Salve a tutti!
Eccomi tornata dopo un momento di crisi emotiva.

-1 ALL'EPILOGO!!!

A presto
xoxo liz

Ogni tuo desiderio è un ordine, bastardo » L.S.Where stories live. Discover now