9. Tu sei compresa nella mia solitudine

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Cercai di stare al suo passo fino a quando non arrivammo nel boschetto in cui si trovava la casetta, quella in cui mi aveva portato qualche giorno prima. Vidi da come camminava in fretta e furia che aveva la rabbia che ribolliva nel sangue. Era strano che un ragazzo, arrivato da un paio di settimane in città, avesse già così tanti problemi. Di solito, l'arrivo in una nuova città non comportava l'inizio di una nuova vita? Eppure lui perché aveva già così tanti pensieri per la testa, se si trovava anche in una famiglia nuova? Era come se potessi percepire il peso dei suoi pensieri. Non capii da che cosa potessero essere causati, eppure sapevo che avevano un certo tipo di importanza se facevano preoccupare così tanto Noah. Dal canto mio, avevo solo voglia di stare in compagnia di qualcuno, qualcuno che stesse in silenzio come me, che non facesse domande. Non avevo nemmeno il coraggio di fare domande a Noah, per poter pensare ad altro. Avrei tanto voluto avere la possibilità di avere un telecomando in grado di zittire i miei pensieri.

Camminammo a un metro di distanza circa, non troppo distanti, ma neanche troppo vicini.

Nel silenzio del bosco si sentivano solo i nostri passi e le foglie che scricchiolavano sotto le nostre scarpe. Un silenzio assordante, che venne disturbato solo dai miei pensieri che, contro la mia forza di volontà, andavano a concentrarsi sulla morte di mia mamma e sul suo corpo sparito.

« Hai freddo?» mi domandò dopo un po', senza però voltarsi.

Fuori ormai il sole stava tramontando, erano le quattro del pomeriggio ma pur sempre in pieno autunno. Il freddo cominciò a farsi sentire non poco.

« Posso resistere » risposi.

« Appena arriviamo ti preparo il tè, però dovrai pazientare un po' per il riscaldamento, perché é spento » mi spiegò.

« Oh... Non ti preoccupare, non ci sono problemi » dissi.

« Perché continui a camminare dietro di me?» mi chiese.

« Non voglio darti fastidio » risposi.

« Non mi dai fastidio che mi cammini affianco » puntualizzò.

« Hai detto che volevi stare da solo »

« Sì, ma tu sei compresa nella mia solitudine. Quindi non conta » mi disse, quasi con nonchalance.

Mi fece piacere sapere che, nonostante fosse un ragazzo misterioso, non nascondesse allo stesso tempo i suoi pensieri sul presente. Alternava a momenti di debolezza nei miei confronti a momenti di totale indifferenza causata da qualsiasi cosa ci fosse nella sua testa. In fondo lo capii, ero la prima ad avere problemi difficili da lasciare in disparte. Ero la prima ad allontanare le persone quando stavo poco bene.

Senza dire altro, lo raggiunsi e lo affiancai fino a quando non arrivammo davanti alla casetta sul lago. Non mi rivolse ulteriormente parola, continuò a vivere nel suo silenzio.

« Non badare al casino che c'è qua dentro, sto cercando di metterla a posto ma tra scuola e pomeriggi passati a studiare non ho mai tempo » si giustificò.

« Non bado a queste cose. É un mese che non metto in ordine camera mia, ti capisco bene » risposi.

Eppure, quando aprì la porta della sua casetta, dentro era tutto a posto. Aveva tolto un po' di vecchi arredamenti, era decisamente già vuota. C'erano degli scatoloni in giro, i muri pieni di quadri con disegni realizzati da qualcuno. Il legno sul pavimento e sui muri era stato lucidato, sembrava una casa nuova di zecca. Aveva cambiato il divanetto in salotto e messo sul caminetto delle statuine strane, non seppi identificarle bene.

« E questa dovrebbe essere in casino?» domandai, scherzando.

« Non è ancora a posto come vorrei io » rispose, andando dritto nella piccola cucinata per mettere a bollire l'acqua per il tè.

LOVE AND LOSSWhere stories live. Discover now