PARTE 1

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Ma si fermò davanti allo specchio. Chiese se poteva usare il mio correttore per le occhiaie, dissi che non ne avevo uno, lui alzò gli occhi al cielo.

Camminai da sola fino alla galleria. Alla fine, ero in ritardo anche senza essermi fatta la doccia. Mi guardavo le mani, mi dissi che erano mani da adulta, che avrei dovuto smettere di mangiarmi le unghie. Prima che potessi accorgermene, i miei pensieri diventavano parole e parlavo da sola a bassa voce, per la strada, dandomi del tu. La galleria faceva parte di un'art squat sempre pieno di gente. Lo spazio non mi sembrava un granché. Era perlopiù bianco con persone perlopiù vestite di nero. C'era da bere e delle olive. Anche le olive erano nere. Non avevo voglia di rimanere attaccata a Pico, né alle olive. Avevo provato a fare conversazione con altri. Nell'ordine, avevo parlato di net.art, sneakers in edizione limitata e net.art, seapunk, crystal meth e net.art, net.art, sesso. In realtà, avrei voluto parlare di altre cose, non sapevo bene dove cominciare, volevo parlare di cose come: mi sento sola, anche tu? Mi annoio spesso, e tu? Ho nostalgia dell'asilo. Non riesco a smettere di drogarmi, ma non ho voglia di parlarne. Alle pareti c'erano solo chiodi, ficcati nel muro a distanza ritmica. I quadri in esposizione erano stati bruciati dall'artista stesso. Forse erano brutti. Distribuivano un foglietto scritto in SILOM con i dettagli della mostra. Non lo presi. Mi avrebbe creato un sacco d'inconvenienti, avrei dovuto buttarlo senza farmi vedere o ficcarlo nello zaino, dove si sarebbe accartocciato, unito ad altri foglietti di mostre, scontrini, biglietti della metro, cinema. Sotto i chiodi, c'erano delle montagnette di cenere per terra, erano in vendita, alcune erano già state vendute. Pensavo, quindi, si trattasse di belle montagnette di cenere, fatte bene, quel genere di montagnette che vuoi avere nel tuo appartamento a tutti i costi.

Neanche quella sera le cose erano andate come speravo. Mi sarebbe piaciuto trovare qualcosa di nuovo. Qualcosa che creasse un movimento nuovo, un cambiamento che prendesse velocità, che cambiasse i miei pensieri e i miei giorni.

Lentamente le persone uscivano, si fermavano sul marciapiede, fumavano l'ultima sigaretta. Ma io non avevo sonno, tu hai sonno, Pico? Perché io proprio non voglio andare a casa. Non volevo andare a casa, tanto non sarei riuscita ad addormentarmi, avevo voglia di musica e di drogarmi, avevo voglia di andare al Duca, che é un posto dove tutti amano la musica e si drogano. Mi dissi che forse, per cambiare il corso delle cose, mi era necessario correre dei rischi, rinunciare a certe abitudini. Poi non ci riuscivo. La paura bloccava i miei movimenti, sognavo ad occhi aperti, non mi spostavo di un millimetro, facevo sempre lo stesso giro, come sulla ruota dei criceti, fa venire la nausea.

"Vado al Duca, Pico"

"Cosa?" disse

C'era confusione di voci, mi avvicinai.

"Ho detto che vado al Duca. Vieni?"

"No"

"Ti prego"
"No"

"Perché?"

"Perché non ne ho voglia"

Pico non si divertiva al Duca, soprattutto se era con me. Aveva uno zainetto giallo sulle spalle, sembrava all'uscita di scuola. Mentre dondolava sulle punte dei piedi, un ragazzo bellissimo, con i capelli lunghi e gli occhi spenti, gli aveva sfiorato la mano. Assomigliava a Gesù e a Brian Jones, gli aveva chiesto: dove vai Pico?

"Ciao Teo, vado a dormire. Tu?"

"Vado con degli amici al Duca. Perché non passi?" disse Teo

"Magari faccio un salto"

"Ok, allora ci vediamo lì?"

"Ok"

"Ok, a dopo Pico"

"Sì, ok"

"Ok, ciao"

"Sì, ciao Teo"

E poi Pico mi aveva guardato con un sorriso da bambino timido, invitato a una festa di compleanno per la prima volta.

"Che stronzo" gli avevo detto e avevamo camminato insieme fino al Duca. Avevo preso md da diversi amici e fumato. Quella sera, ero diventata particolarmente triste e fastidiosa. Decisi di chiudermi in un bagno e aspettare lì che tutto andasse meglio. La musica arrivava nei bagni già stanca, ovattata, si ammorbidiva, quasi dolce, come una ninna nanna elettronica.

A 6 anni ero rimasta chiusa nel bagno delle elementari per due ore. Qualcosa era andato storto e la porta non si apriva più. C'era un cartello nel bagno delle elementari con un occhio disegnato sopra. Il cartello diceva: COMPORTATI BENE, DIO TI GUARDA ANCHE QUI. "Almeno non sono sola", avevo pensato, "Certo che potresti anche darmi una mano".
Fu la bidella a ritrovarmi. Raccontarono a mia madre che ero entrata in panico e che non ero riuscita a girare la maniglia, forse era successo proprio così. Decisi di non usare più il bagno delle elementari, ma era difficile, soprattutto di Lunedì e di Giovedì perché rimanevo a scuola fino a pomeriggio tardi.

Appoggiai la fronte alla porta di metallo, per raffreddare i pensieri. Avevo l'impressione che le piastrelle alle pareti scivolassero ininterrottamente dall'alto verso il basso, come un tapis roulant verticale. Erano delle piccole piastrelle lucide di colori diversi, posate a caso, simili ai cubetti di Atari. Facevano andare insieme la vista e venire il vomito. Creavano una specie di griglia, però non ci si poteva aggrappare.

Le cose che all'inizio della mia vita da adulta mi emozionavano, mi si erano sciolte in mano, erano diventate insignificanti e non mi bastavano più. Non c'era un giorno che mi svegliassi con la voglia di farlo. Vedevo che anche altri intorno a me, avevano quella malattia della malinconia e dell'angoscia, e se la curavano male. Se la curavano a caso, come Yann, che a quel punto aveva più dipendenze che voglie. Ci avevo litigato e non sapevo dove fosse. Lui aveva una freccia tatuata sul polso e quando mi dava la mano, la freccia indicava me. Quando stava con me, mi sentivo felice, mi accarezzava la pancia, mi chiudeva gli occhi, usava parole enormi e rassicuranti. Mi sembrava che tutti si annoiassero e si sentissero soli, era normale che ci toccassimo così con urgenza.

Verso le cinque, il dj cominciava a mettere Kraftwerk, the Buggles, Depeche Mode, mi veniva nostalgia di cose mai vissute, di cose che succedevano prima che io fossi nata, che avevo letto o visto nei video. Pensai che avrei dovuto chiamare mia madre prima o poi, continuavo a rimandare.

Il Duca era un club e nursery per disperati, sempre gli stessi, tutti fatti e fatti uguali. Sentii chiamare il mio nome, aprii leggermente la porta del bagno. Era Pico, c'era il suo riflesso nello specchio sporco, MickyykciM

"E' un'ora che ti cerchiamo" disse

"Sono in bagno"

"Lo vedo"

Ci guardammo come per capire come procedere nella conversazione.

"Perché stai piangendo?" disse

"Non lo so in realtà. Mi viene da piangere e basta"

Certe volte, speravo di avere uno squilibrio chimico nella testa, così da mitigare il senso di colpa. Mi sentivo ingrata verso la vita, avrei voluto viverla in maniera più allegra, ma non ci riuscivo.

"Ti senti male?" disse Pico

"Sì, direi di sì"

Vale era comparsa dal nulla, appoggiata ai lavandini, con le labbra rosse. Com'è bella, pensai. Anche al liceo era la più bella di tutte. Era sottile, ma forte, sembrava un filo che voleva occupare il centro del mondo.

Invece io mi sentivo un po' debole, effettivamente. Talmente debole che, quando vidi delle macchie scure e liquide per terra, pensai di aver perso sangue. Spalancai immediatamente la porta.

"E' mio?"

"Cosa?" disse Pico. Gli indicai le macchie per terra.

"Spero di no" Sembrava disgustato, come se dentro di lui non ci fosse sangue.

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⏰ Last updated: May 11, 2020 ⏰

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