Capitolo 9

1.2K 93 7
                                    

Per raggiungere la spiaggia avevano dovuto attraversare un intero quartiere.
Avrebbero potuto prendere la motoretta, ma lo scoppiettare del motore avrebbe finito per attirare l'attenzione, quindi avevano deciso di spostarsi a piedi. Pidge portava con sé uno scanner in grado di rilevare vari tipi di energia, che indicava emissioni di luxite poco più a est. Il loro compagno non si separava mai dal suo pugnale quindi, se avessero raggiunto l'arma, avrebbero trovato Keith.
A meno che non ci fossero altri marmoriti nelle vicinanze.
Il sole stava lentamente calando dietro l'orizzonte e Lance ringraziava il fatto che l'imbrunire avesse allontanato la maggior parte delle persone, soprattutto turisti, che durante la giornata popolavano le spiagge. Quella verso cui erano diretti era più fuori mano rispetto alle principali, ma sperava che Keith non si fosse imbattuto in qualche ritardatario.
Pidge procedeva spedita, gli occhi sul piccolo schermo azzurro, totalmente disinteressata al panorama che la circondava. Lance la seguiva passo passo, concentrando il più possibile la mente e i sensi nel tentativo di cogliere tracce di Keith.
Abbandonarono il sentiero sterrato e circondato da bassi cespugli, per affondare i piedi nella sabbia ancora tiepida. In quella zona il litorale era irregolare, ricco di insenature e rientranze, e popolato da diversi capanni di pesca. Alcune barche erano ormeggiate nell'acqua bassa, coperte da teli e pronte per essere utilizzate alle prime luci dell'alba.
Con il crepuscolo incipiente, ogni angolo poteva essere un nascondiglio.
Pidge si fermò e abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe.
« Odio la sabbia. » commentò con una smorfia. « Però credo di aver trovato Keith. »
Mostrò a Lance lo schermo dello scanner e l'indicatore che lampeggiava in corrispondenza di una casetta di fronte a loro.
Era una costruzione malmessa, chiaramente abbandonata. Il legno era marcio, corroso dalla salsedine in diversi punti e le tavole che coprivano il tetto in parte spezzate: come rifugio appariva tutt'altro che accogliente.
Lance si avvicinò con circospezione alla porta, che i cardini sembravano reggere per miracolo. Tentò di tranquillizzarsi: non aveva motivo di essere intimorito, doveva solo far ragionare Keith, non affrontare un nemico, ma non era sicuro di niente.
Keith l'aveva rifiutato con una forza tale da fargli dubitare di tutto quello che aveva visto e provato nei giorni precedenti. Era arrivato a considerare che quell'avvicinamento fosse reale solo per lui.
Ci aveva messo un po' prima di rendersi conto che, probabilmente, Keith era solo spaventato. L'aveva espresso nel peggiore dei modi, certo, ma doveva essere terrorizzato: dai suoi sentimenti, da quelli di Lance, dal bacio, dalle sue stesse emozioni che si manifestavano in una mutazione aliena.
Poteva solo immaginare cosa si agitasse nella sua mente, ma una cosa era certa: avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Quel pensiero gli restituì la determinazione e la calma necessarie.
Lanciò un'occhiata a Pidge, che annuì; poi aprì la porta.
« Keith... »
Dall'oscurità si sentì rumore di legno grattato, poi una sagoma scura si sollevò.
Fu questione di un attimo e Lance si trovò scaraventato a terra, mentre la creatura guadagnava l'unica via di fuga alle sue spalle. Si trattò di una frazione di secondo, ma percepì gli artigli sulla pelle attraverso la stoffa leggera della maglietta.
« Keith! » lo chiamò di nuovo, rialzandosi, questa volta con maggiore decisione.
Nella scarsa luce residua, poteva vedere il bagliore dei suoi occhi, che non avevano nulla di umano. Lo sentì ringhiare e, per reazione, intravide Pidge afferrare qualcosa.
Quando guardò meglio, si rese conto che stava puntando contro il compagno quella che aveva tutta l'aria di essere una pistola.
« Pidge! Fermati! » strillò, prima di riuscire a controllarsi. « Vuoi sparare a Keith?! Sei matta?! »
« Non è in sé, non possiamo iniettargli l'antidoto in questo modo! » protestò la ragazza. « É solo un anestetico, non gli farà del male. »
Lance, però, non aveva la minima intenzione di permettere a qualcuno, chiunque fosse, di puntare un'arma contro Keith. Poteva solo immaginare come potesse sentirsi, nello stato confusionale in cui versava, a essere tenuto sotto tiro come avevano sempre fatto con i loro nemici. Non era uno di loro e non voleva in nessuno modo che si sentisse tale.
« Mettila via. » ribadì, recuperando un tono di voce più fermo. « Non ce ne sarà bisogno. »
La vide rinfoderare l'arma con una certa riluttanza e allontanarsi di alcuni passi.
Poteva capire il suo timore: Keith ora assomigliava ai Galra che avevano combattuto per tanto tempo nello spazio e che avevano causato loro dolore e perdite. Aveva un aspetto ferino e un comportamento pericolosamente irrazionale, ma questo non significava che meritasse di essere trattato come un mostro.
Lance si avvicinò a Pidge, allungando una mano.
« Dammi l'antidoto, ci penso io. »
Lei lo squadrò, scettica come non mai.
« Non sono sicura che sia una buona idea. »
« Non lo è nemmeno puntare una pistola contro Keith, credimi! »
Pidge emise un breve sbuffo e gli allungò una siringa.
« Va bene, però fai attenzione. Sono riuscita a sintetizzare una sola dose, o la va o la spacca. »
Lance annuì, la prese e iniziò a muoversi cautamente in avanti.
La figura di fronte a loro era piegata su sé stessa, quasi accucciata. Gli ricordava i grossi felini che si vedevano nei documentari sulla savana, quando si preparavano ad assalire la preda. Si augurava solo di non avere quel ruolo nella storia.
« Ok, Keith, ascoltami. » iniziò, sforzandosi di mantenere un tono di voce calmo e ragionevole. « Ho qui l'antidoto. Fattelo iniettare e sarà finita. »
Quello che gli giunse in risposta fu un ringhio tutt'altro che rassicurante.
« Non ti avvicinare! »
Era la voce di Keith ma, allo stesso tempo, aveva un fondo di animalesco che la rendeva quasi irriconoscibile.
Lance dovette farsi forza per avanzare ancora.
« Ascolta, per favore. È l'antidoto che aspettavi. L'ha fatto Pidge, è sicuro, andrà tutto bene. Keith, la mamma e Michelle ti stanno aspettando a casa, non vedono l'ora che torni. Anche Luis, l'avresti mai detto? Alla fine si è affezionato a te. Ci sono anche gli altri, Hunk e Shiro. Shiro è preoccupatissimo, devi tornare a dirgli che stai bene, sai com'è fatto. »
« Shiro... »
Il tono di Keith sembrava triste, l'espressione addolorata, come se si stesse scusando per qualcosa.
Lance distava da lui ormai solo un passo.
« Va tutto bene. »
Allungò una mano per toccarlo, in una sorta di richiamo al gesto che aveva lasciato incompiuto alla sua fuga. Quella storia era precipitata perché Lance non era riuscito a mantenere un contatto che lo rassicurasse.
« Dopo potrai prendertela con me, se vuoi, ma adesso lascia che sistemi questo casino. »
Lentamente, riuscì a posare le mani sulle sue spalle e a lasciarle scivolare lungo le braccia. La pelle di Keith era calda sotto le sue dita, percorsa appena da un leggero tremito. Sembrava si fosse calmato almeno un po' e Lance si azzardò a prendere fiato a sua volta.
Proprio per quello non vide il movimento fulmineo, ma percepì solamente il dolore lancinante alla spalla e la spinta che lo scaraventò di nuovo sulla schiena.
Pidge, alle sue spalle, gridò, ma Keith non accennò a spostarsi da sopra di lui o a mollare la presa delle zanne affondate nella sua carne.
L'istinto gli urlava di colpirlo e liberarsi, ma Lance s'impose la calma.
« Sto bene, Pidge. Non preoccuparti. »
Non propriamente vero, ma non era il momento di essere pignoli.
« Hai ragione, è uno schifo. » mormorò, chinandosi in avanti verso l'orecchio di Keith. « Hai tutti i motivi del mondo per essere furioso, però ascoltami. Permettimi di aiutarti. »
Sollevò una mano e la posò sulla schiena di Keith, accarezzandolo piano. Il tremito che aveva percepito non si era ancora placato.
« Se hai paura, ti capisco. Sono spaventato anch'io. Ma che dico? Dios, sono terrorizzato. » continuò. « Però sono anche un testardo che non abbandona le persone a cui vuole bene. Sì, hai capito perfettamente. Questo idiota ti vuole bene, non importa che tu sia bianco, viola o a pois. Non sono mai stato razzista. E non ti lascio da solo. »
La mano raggiunse i capelli e li accarezzò.
« Non ti lascio, capito? »
L'altro braccio lo circondò e lo strinse gentilmente.
Keith mugolò e un attimo dopo una nuova fitta gli trafisse la spalla, segno che le zanne appuntite avevano mollato la presa.
Lance strinse i denti, ignorando la sensazione del sangue che gli imbrattava la maglietta.
« Keith... » provò a chiamarlo.
L'altro tenne il volto affondato nel suo petto e solo al secondo richiamo si azzardò a sollevarlo appena.
I suoi occhi avevano ombre più scure che ne macchiavano l'oro.
Lance sorrise, si sporse in avanti e gli posò un bacio sulla fronte.
« Va tutto bene. » mormorò. « Dammi il braccio, sarà questione di un attimo. »
Keith si ritirò, permettendogli di mettersi seduto, ma rimase appoggiato a lui mentre gli porgeva il braccio lasciato scoperto dalla maglia a mezze maniche.
E Lance non aveva la più pallida idea di come si facesse correttamente un'iniezione di antidoto, ma quello non era il momento giusto per domandarlo, quindi improvvisò.
Sentì Keith irrigidirsi appena e rilassarsi una volta libero dall'ago. Poi rimase immobile, respirando contro la sua spalla sana, per un tempo che gli parve infinito.
Pidge si avvicinò con aria circospetta.
« State bene? » chiese cauta, aggirandoli per avere una visuale migliore.
Lance abbozzò un sorriso.
« Sono stato meglio, ma non mi lamento. Keith? »
Pidge lo scrutò più da vicino e annuì.
« Credo sia solo stordito dalla reazione del suo organismo all'antidoto. Si riprenderà presto. La tua spalla invece ha un aspetto orribile. »
« Grazie, Pidgey. È per questo che mi presterai la tua per aiutarmi a portarlo a casa! »

Safe and SuondWhere stories live. Discover now