Chi ha preso Luigi?

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 Le sembrava di essere la protagonista di una illogica, insensata commedia drammatica scritta da uno sceneggiatore crudele e perverso. Stordita, confusa, camminava per casa cercando in tutte le stanze Luigi, con mani tremanti continuava a formare il numero di sua madre.

Finalmente sentì la voce assonnata di Luisa. A quel punto Paola si lasciò andare a un pianto isterico senza peraltro riuscire a dire una sola frase comprensibile. In piena crisi di panico non era in grado di mettere in ordine le parole. La voce si era bloccata dall'angoscia. Dalla paura.

Luisa udiva impercettibili suoni mescolati a singhiozzi e lamenti. Per dormire assumeva un sonnifero che la faceva piombare in un sonno sintetico e profondo. Pensando che la persona dall'altro capo del telefono non fosse per niente lucida, riagganciò senza indugi. Contò altre venti gocce nel bicchiere, staccò la spina del telefono imprecando verso chi, di notte, non trovava nulla di meglio da fare e riprese il suo sonno interrotto dalla altrui disperazione.

Con il telefono stretto in una mano, quasi a cercare conforto e riparo da una situazione incomprensibile a qualsiasi mente umana, Paola uscì in giardino. Aveva bisogno di prendere aria, sentiva che le stavano mancando le forze. Il pigiama in seta non era sicuramente adatto alla temperatura esterna di quella notte, ma Paola non percepiva più nulla. Né caldo, né freddo. L'unica sensazione che provava, sconosciuta fino a quel momento, era il vuoto nel suo torace.

S'inginocchiò sull'erba gelata che le entrò nella pelle come minuscole sciabole affilate. L'urlo straziante lacerò quella notte limpida e stellata.

— Luigiiiii...

Il grido disperato arrivò fin lassù, alla volta stellata e impotente, fino alla luna luminosa, irrispettosa, che rischiarava il giardino affollato di ombre.

Tommaso, devo chiamare Tommaso.

Le dita intorpidite, quasi congelate, dolevano per lo sforzo nel comporre il numero di Tommaso.

— Pronto... ma chi è a quest'ora?

La voce impastata e seccata di Aurora non la sorprese.

— Aurora, per favore devo parlare con Tommaso, ti prego non riattaccare... Luigi... Luigi... non trovo Luigi...

Aurora aveva riconosciuto la voce alterata di Paola sicuramente in preda a una delle sue solite crisi di nervi. Tommaso aveva confessato la breve relazione lo stesso giorno in cui Paola era stata dimessa dall'ospedale. Aveva supplicato la moglie di perdonargli quella scappatella. Sì, così aveva definito la storia d'amore con Paola: una scappatella! Con l'aria di un bambino sorpreso con le mani nella Nutella, aveva confessato ad Aurora di essere il padre di Luigi. Aveva continuato tra le lacrime affermando che Paola gli aveva teso una trappola; non potendo Enrico procreare aveva scelto lui per colmare la sua voglia di maternità. Quando Paola gli comunicò di essere incinta, si era sentito vittima di una donna ambiziosa. Vigliaccamente le lasciò credere che per amore suo e del loro bambino avrebbe lasciato lei, Aurora, sapendo benissimo che quello che stava promettendo era una menzogna dettata dal timore di uno scandalo.

Questa era stata la triste versione di Tommaso raccontata tra lacrime inutili e superficiali di fronte alle quali Aurora si era intenerita e commossa accogliendo tra le sue braccia il traditore.

Il pollice di Aurora sul pulsante rosso del cellulare sembrò una condanna per Paola che sentì improvvisamente il telefono farsi muto. Si raggomitolò su se stessa, per cercare un riparo, una forma di protezione da quella notte gelida e disperata. Un torpore innaturale la stava portando via, in un'altra dimensione. Forse era lì che Luigi si era rifugiato.

Luigi...Luigi...

Oramai era ridotta a un lamento la voce che usciva dalla bocca secca, le sue belle labbra morbide si erano ridotte a due sottili striscioline violacee; da quella fessura usciva solo il nome di suo figlio ma nessuno, in quella notte che la stava inghiottendo come una belva affamata, la poteva udire.

La sua mente offuscata da freddo e dolore si rifiutava di collaborare mentre lei, rannicchiata sull'erba indurita dal gelo, non riusciva più a muovere neanche un dito. Con le poche forze che le erano rimaste, si trascinò fin dentro casa, consapevole che se non si fosse riscaldata sarebbe morta senza sapere dove fosse il suo bambino.

Con questo pensiero, strisciando come un animale ferito a morte, riuscì a rientrare. Si aggrappò al divano, stremata, si sdraiò sui cuscini di velluto rosso, avvolgendosi nel plaid. Sentiva il suo corpo, oramai vicino all'assideramento, intiepidirsi, il sangue riprendere a fluire nelle vene.

Fortunatamente stringeva ancora tra le mani il telefono come unico, fragilissimo filo che la teneva legata al mondo reale. Il cervello stava collassando ma ancora mandava segnali di vita nel ricordarle che, durante la gravidanza, aveva inserito nella memoria dei numeri "preferiti" il 118.

Bastava premere quel tasto, bastava una leggera pressione. Poteva, doveva riuscire in quella che sembrava essere una banalissima azione: fare una telefonata.

Chi ha preso Luigi?

La sposa in grigio perlaWhere stories live. Discover now