Capitolo V

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Il primo pomeriggio era giunto in quel terzo giorno d'attesa e di regolamento dei conti col passato a Chatelet. Tutti gli occhi dell'intera nazione erano puntati su quella piccola cittadina. Ma sarebbe stato meglio dire che gli occhi della nazione fossero puntati verso il proprio passato, uno sguardo da sempre caduco che ora dopo ora si faceva via via sempre più fermo, sicuro, deciso finalmente a disseppellire gli scheletri dal proprio armadio, dalla propria terra insanguinata, non più timoroso del responso che la verità avrebbe dato.

Il senatore Gallond si passava tra le mani il suo orologio Cromox, mitigante azione per smorzare l'ansia, e intanto guardava dalla finestra della hole la pioggia che rispetto ai giorni precedenti sembrava andar cessando e tiepidi raggi di sole si facevano strada tra le nuvole come la verità cercava di farsi strada tra gli inganni. Non era più il tempo di aver paura di scottarsi, costasse quel che doveva costare. Il collaboratore Andrè Lumell lo informò che circolavano alcuni pettegolezzi secondo i quali non combaciavano le impronte digitali del componente della banda ucciso con quelle ritrovate nelle armi nel borsone anni prima. Il componente della banda ucciso era un altro. Ma questo in cuor suo Gallond già se lo sentiva. Lumell lo informò anche che un tizio, uno che sembrava "un pezzo grosso" voleva vederlo. Tale signor Dubois, sicuramente qualche pezzo governativo. Gallond lo invitò ad entrare, poi chiese a Lumell di rimanere solo e i due, Gallond e Dubois, scesero verso le piscine dell'albergo, un luogo come un altro per rimaner soli e parlare.

Non appena la riservatezza fu garantita,

Dubois- "Sapevamo che prima o poi questa situazione sarebbe potuta capitare. Hanno scoperto che il morto non era Orco ma il vantaggio che abbiamo si sta assottigliando"

Gallond- "Evidentemente è giunto il giorno del giudizio", con un sorriso amaro

Dubois- "Togliti quell'atteggiamento fatalistico. Se c'è qualcuno che ha più da perdere in questa storia sei proprio tu Gigante. Non te lo dimenticare"

Gallond- "Che farete, mi impiccherete al sifone come con tutti quelli che non vi sono serviti più?"

Dubois- "Fosse stato per me ti avrei già ammazzato allora se solo mi avessero dato retta", poi guardando il Cromox che Galland portava al polso, "se non fosse stato per il Barone .... è a lui che devi tutto".

Nell'indifferenza di giornalisti e curiosi la signora Elisabeth si fece tra essi strada raggiungendo la camera 7 dove ad attenderla c'era il solo commissario Bonnet, finalmente decisosi ad ascoltarla. Come in un fiume in piena e riuscendo a trattenere le lacrime solo per i secondi iniziali Elisabeth svuotò il sacco.

*** 1983 ***

Dall'interfono del suo studio, una delle tante lussuosissime stanze di un vecchio castello poco fuori Bruxelles, il Barone Nero diede la direttiva al suo maggiordomo di lasciar passare i tre ospiti. Poco dopo il colonnello dei servizi segreti belgi Toulan, il suo collaboratore Dubois e Tuono entrarono.

"Conosci già chi è lui" fece il colonello a Tuono indicando il Barone Nero. "Certo signore" la risposta del giovane.

Barone Nero- "E anch'io so chi sei te. Gradisco sempre informarmi su tutto, soprattutto su dove vanno a finire i miei soldi"

Con un colpo di tosse a cessare sul nascere l'imbarazzo Toulan entrò a piè pari nella discussione:

Toulan- "Barone ho portato qui il ragazzo per avere una fonte diretta sul fatto che il Comitato ci sta sfuggendo di mano"

Barone Nero- "Il problema è Panza?"

Toulan- "Già"

Tuono- "Quello è un pazzo totale. Col suo piccolo esercito si è messo in testa di comandare il Belgio"

I fiumi dell'odioWhere stories live. Discover now