VANIGLIA PICCANTE

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Buio.

Un buio che sembrava senza fine.

E rabbia.

Una rabbia che quando esplose,

riuscì a portarsi via ogni cosa.

Anche lei stessa.

E poi il nulla.

Un nulla che sapeva di niente.

PROLOGO

Aprì gli occhi. Sbattendo le palpebre, più volte. Si sentiva stordita, come se avesse dormito per un tempo che sembrava infinito. Grandi occhi color nocciola pian piano cercavano di delineare ciò che c'era intorno. Era una stanza piccola con pareti bianche e tende candide, dalle quali filtrava debolmente un po' di luce. Provò ad alzarsi ma non riusciva a muoversi, si sentiva incredibilmente debole e stanca. Poi i suoi occhi si chiusero di nuovo. Quando li riaprì, una signora vestita di azzurro se ne stava in piedi davanti a lei, controllava qualcosa vicino al suo letto. Lo sguardo si soffermò sul suo braccio sinistro e vide un piccolo tubicino con un ago infilato nella pelle, al quale era attaccata una boccetta contenente un liquido trasparente. Si sentiva sommersa da una stanchezza innaturale, voleva parlare ma le parole non uscivano. Sorrise appena, alla signora vestita di azzurro e lei le mise una mano sulla fronte, accarezzandola. Fu allora che ricordò il motivo per il quale si trovava sdraiata in quel letto. Una venere bianca in un prato di fiori appassiti.

Vide sua madre, accanto a lei, dormiva appollaiata su di una sedia. Lo sguardo stanco, la bocca contratta. Fece dei lunghi respiri. La gola un po' indolenzita e le mani piene di un formicolio anomalo, ma non sapeva per quanto avesse dormito e la considerò una condizione normale post-trauma. Decise di non chiamarla, voleva lasciarla dormire. Probabilmente era preoccupata. Probabilmente con quella bravata aveva fatto preoccupare un po' tutti. Girò la testa, delicatamente perché non riusciva a muoversi bene e vide sul comodino un vaso pieno di fiori, i suoi fiori. Li vide consumati dal tempo e appassiti. C'erano petali sparsi qua e là. Ma nessuno li aveva buttati via, erano tutti dentro a quel vaso. Papaveri senza petali. Papaveri spogli di ogni cosa. Come si sentiva lei in quel momento, senza più niente dentro. Era stato lui. Solo lui avrebbe potuto regalargli dei papaveri. Fu in quell'istante che lo vide. Appoggiato al vaso, c'era un biglietto, riconobbe la sua calligrafia. Provò a prenderlo ma le sue braccia erano così pesanti. Poi i suoi occhi si chiusero di nuovo e lei sprofondò in un sonno senza sogni.

Si svegliò all'improvviso ed era notte fonda. Aveva sete. Vide una cordicella accanto al suo letto e provò a prenderla. Stranamente stavolta il suo braccio ubbidì ai suoi comandi e la tirò. Un suono stridulo invase la stanza. Nella penombra di una luce di emergenza, vide di nuovo i papaveri e quel biglietto. Lo prese e lo aprì piano e il cuore cominciò a martellare. Quasi esplose dal petto. E in quell'istante si rese conto di quanto ancora lo amasse, e di quanto allo stesso tempo, lei mancasse immensamente.

"Ti prego, apri questi occhi."

Questo diceva il biglietto. Lo lesse e se lo portò vicino al naso. C'era ancora il suo profumo. Inconfondibile. Pungente. E per un istante quasi lo vide, in piedi davanti a lei. Con il suo sorriso ammaliante e gli occhi color del mare calmo. Per quanto avrò dormito provò a chiedersi, ma non fece in tempo a formulare la domanda che una signora dall'aspetto gentile entrò nella stanza.

"Finalmente ci siamo svegliate."

Le sorrise e le mise una mano sulla testa per sentirle la temperatura. Voleva parlare, provò a formulare qualche suono, ma venne subito interrotta da Rosa, così c'era scritto sulla targhetta attaccata al camice dell'infermiera.

"Non sforzarti a parlare, avverto subito la tua famiglia. Bentornata nel mondo. Hai proprio un cuore d'acciaio."

ZERO

VANIGLIA PICCANTEWhere stories live. Discover now