《 𝐏 𝐑 𝐎 𝐋 𝐎 𝐆 𝐎 》

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In origine, la prima tribù ad esser stata creata fu quella degli Zekos.
Il Popolo Perfetto abitava la galassia da solo, su una terra meravigliosa, ricca di monti celesti e bianchissime spiagge, in cui scorrevano acque cristalline e dove colorati fiori spandevano il loro intenso profumo paradisiaco in fitte selve prive di pericoli. I caldi raggi degli astri più luminosi scaldavano la pelle di tutti gli abitanti, mentre stupende lune rischiaravano le notti fresche, solcate da brezze leggere. Su questa terra, nulla veniva a mancare e ogni desiderio veniva esaudito prima ancora di poter nascere nel cuore di uno degli abitanti. La popolazione destinata ad essere immortale incarnava le più antiche virtù dell'universo, così come i suoi vizi e le sue volontà.
Nessuna civiltà e nessun pianeta o astro abitato in seguito riuscì ad eguagliare la bellezza e la perfezione degli Zekos o della loro patria natia.
Eppure, tale perfezione mancava di una cosa, quel popolo straordinario sentiva l'assenza di un di più, che permise a quella cultura leggendaria di attraversare l'intera galassia, scoprire tutti i pianeti, lasciare la propria indelebile impronta nel cuore di ogni Mondo o Regno, donando agli Zekos il nome di Zingari del Cielo, il popolo nomade.
E se sulla docile e calda Midgard quella parola così arcaica, trasmessa dagli Zekos stessi durante le loro soste sulla Terra, era destinata ad assumere una sfumatura negativa, un che di dispregiativo, che classificava come zingari comunità senza casa, spesso ladri o malviventi, gli antichi ed originali Zingari erano tutto l'opposto e portavano alto il loro nome, reso mistico dalle culture e avvolto in una nube di leggendaria perfezione dalle bocche di esseri proveniente da tutta la galassia, di padri che narravano ai figli e nonni ai nipoti, di amici che si sussurravano antiche storie e di maestri che insegnavano affascinanti miti.
Non esisteva terra in cui gli Zekos non avessero messo piede, o pianeta che non bramasse nel proprio cuore il ritorno di quella popolazione, volendo poter ospitarla sul proprio suolo il più a lungo possibile. Era un vanto, un vero e proprio onore. L'arrivo degli Zingari del cielo era il miracolo che capita una volta in cento vite, la pioggia copiosa durante una lunga siccità, la caccia fruttuosa in tempi di carestia, la luce della libertà in un periodo di oppressione, lo spiraglio aperto sull'immortalità da cui ogni essere mortale voleva spiare. Già da miliardi di miliardi di anni gli Zekos avevano abbandonato la loro terra perfetta, trasformando ogni pianeta nella loro casa occasionale, ogni popolo la loro famiglia, ogni cultura nell proprio passato, diventando al contempo il futuro di tutto l'universo.
E nei Regni che avevano la fortuna di ricevere quella tanto ambita visita, la tradizione era sempre la medesima, la procedura la stessa: un'usanza che si ripeteva di mondo in mondo, impressa nei secoli e pronta ad estendersi all'infinito, attraverso lo spazio e il tempo. Su quei pianeti, nel giorno più arido dell'anno, all'ora più calda del giorno, la terra tremava e i tamburi suonavano, mentre la leggendaria tribù compariva all'orizzonte, nella città più popolata, dove avrebbe trascorso tredici giorni e tredici notti, stanziata nella pianura, nel bosco, nel deserto più vicino, in pieno contatto con la natura, fungendo da ponte tra l'antico e il moderno, tra il vecchio e il giovane, ricollegando i viventi all'origine del mondo. E a quel punto, dopo aver destato la gioia dell'intero pianeta, qualsiasi esso fosse, gli Zekos avanzavano la loro richiesta, famosa in tutta la galassia, tramandata in ogni locanda e ricamata in ogni salsa. La tradizione del popolo, il loro destino, era inequivocabilmente segnato: la loro principessa, figlia del Grande Sciamano, avrebbe cercato marito in ogni angolo dell'universo, fino a trovare l'uomo che le avrebbe conferito il titolo di regina. Solo allora, con la corona degli Zekos sul capo, si diceva che la ragazza sarebbe stata in grado di ricondurre il proprio popolo a casa, in quel pianeta perfetto scomparso e abbandonato da molto, dove avrebbe potuto dare origine alla sua progenie, che avrebbe riscontrato la medesima sorte, vagando per lo spazio alla ricerca di un degno coniuge.
In quei tredici giorni di sosta, ogni uomo, giovane o vecchio, era invitato a presentarsi all'accampamento degli Zingari, per chiedere la mano della figlia dello Sciamano, che molte leggende portava con sé. Si diceva infatti che essa fosse il primo Angelo mai nato, l'antico simbolo della perfezione, della bellezza e della bontà, la sposa perfetta, la regina migliore. Erano innumerabili i miti che parlavano, più o meno consciamente, della ragazza, definita come l'entità più casta mai nata, incapace di morire finché non avesse portato a termine il suo destino.
E così, ad ogni ora del giorno e della notte, esseri brillanti e coraggiosi si presentavano al cospetto del popolo, pronti a sottoporsi all'impossibile prova che avrebbe identificato il primo re Zekos, e che nessuno aveva mai superato. I candidati alla prova erano tenuti a passare un'intera ora – che fosse del giorno o della notte – con la principessa, al termine della quale gli veniva posto dal padre di lei sempre il medesimo quesito: dovevano dichiarare il più grande difetto della fanciulla. Millenni e millenni erano trascorsi, fiumi di giovani spavaldi e pretenziosi si erano presentati davanti alla candida tenda dove alloggiava la figlia dello Sciamano, sicuri di poter trovare un'imperfezione in quel volto, una nota stonata nelle sue parola, una falla nel suo carattere angelico, senza che alcuno di essi fosse però in grado di rispondere a quella così semplice domanda. Domande su domande venivano poste alla principessa, coloro che tentavano quell'impossibile prova le chiedevano di cantare, di danzare, di adoperare persino la magia, talvolta. Ma era in grado di suonare qualsiasi strumento, poteva imparare ogni canzone, sapeva cucinare tutti i piatti esistenti, era abile in qualsiasi attività mai inventata. Ogni giovane uscito dalla tenda immacolata della principessa aveva scoperto la ragazza essere proprio come il suo alloggio: candida, senza una sola pecca o un punto debole, semplicemente perfetta. E tutti erano costretti così a tornare alla propria casa a bocca asciutta, vedendo poi gli Zingari ripartire alla ricerca di un nuovo pianeta su cui portare la speranza di trovare un re. Miliardi di anni erano trascorsi dalla nascita della principessa Zekos, un lasso di tempo talmente ampio da non poterlo classificare con nessun numero o misura esistente, ma solo con la parola tanto, che era però a sua volta un eufemismo se paragonato all'effettivo lasso di tempo. Il popolo nomade aveva lentamente perso le speranze, nessun discendente dell'antico popolo primario che aveva visto lo Sciamano reggere tra le braccia la figlia neonata, annunciandone il nome alla propria grande famiglia, credeva più possibile la realizzazione di quell'antica profezia, che stava trasformandosi in una maledizione per il Popolo Perfetto, un miraggio di pace e completezza ancora così lontano, costantemente sfocato e soffocato dai repentini fallimenti di coloro che tentavano di dare una risposta all'impossibile enigma.
Eppure nessuno di loro rallentava il passo, nessuno zingaro cantava con meno vigore o ballava con ridotta allegria; anche quando le speranze sarebbero state nulle, loro non avrebbero arrestato la loro ricerca, avrebbero continuato a passare da un pianeta all'altro, suonando a ritmo del battere dell'antico bastone dello Sciamano, sussurrandosi a vicenda che quella sarebbe stata la volta buona, che ne erano sicuri.

Per l'ennesima volta, sotto il sole cocente del dì più rovente, gli Zingari del cielo toccarono il suolo di nuovo pianeta con i loro piedi scalzi, facendo tintinnare i bracciali che portavano alle caviglie ad ogni passo, ora di corsa, ora di danza. Accerchiati da una fine nuvola di polvere sollevata da quelle centinai di passi compiuti all'unisono, gli Zekos avanzarono per quella nuova landa sabbiosa e desertica, incitati dal suono di antichi strumenti di cui si era dimenticato il nome o di moderni tamburi dal potente rombo, marciando in un caos che portava con sé la perfezione dell'origine di tutto. Primo di tutti, a condurre quella popolazione che si avvicinava alla civilizzazzione come un circo giunge in una nuova città, il Grande Sciamano camminava senza esitazione, battendo sul terreno il nodoso bastone di legno proveninete dalla loro mistica terra, dando così il tempo ai canti del suo popolo, a cui di tanto in tanto prendeva parte con un distinto urlo pieno di vigore, o un'esclamazione in una lingua di cui si era smarrita la conoscenza all'interno dei millenni. Al suo fianco, con un passo tanto leggero da sembrar accarezzare il suolo, la principessa degli Zekos seguiva la strada del padre, avvolta in una veste bianca che si diceva esser stata creata da una nuvola sottile, il capo coperto da un telo leggero e semitrasparente, che fasciava i suoi lineamenti e lasciava visibili due abbaglianti occhi azzurri, simili al ghiaccio più freddo o al cielo più terso.
Più il centro abitato si faceva vicino, più la voce del popolo nomade si faceva sentire, gridando la propria storia e la prorpia speranza, benedicendo quella terra che li avrebbe accolti e pregando per i loro uomini, affinché potessero riuscire nella tanto agoniata impresa.
“Stiamo per giungere, bambina mia.” sorrise lo Sciamano, mentre alte vette dorate si affacciavano con sempre maggiore chiarezza all'orizzonte, mostrando agli occhi colorati del suo popolo la civiltà che stavano per incontrare, la cultura con cui, ancora una volta, stavano per mischiarsi. Molte grida di gioia si alzarono, mentre i più piccoli indicavano la possente città, chiamandola a sé con entusiasmo e i più anziani sorridevano alla vista di una nuova patria con cui fondersi, magari l'ultima che avrebbero visto nella loro lunghissima vita.
“Credete che questa sarà la volta giusta?” domandò con un filo di voce la principessa, riproponendo allo Sciamano la domanda che gli poneva dinanzi ad ogni pianeta in cui si fermavano. Lo Sciamano serrò le palpebre, inspirando a fondo l'aria del luogo e ricordando tutte le visite fatte a quella stessa terra, da quando non era altro che l'insieme di quattro capanne di cacciatori rudi e tonti, ad ora, così grande e maestosa. Riaprì gli occhi di scatto, mostrando due iridi bianche e lattiginose, da cieco, puntando quello sguardo che non poteva vedere se non attraverso i ricordi davanti a sé, alla ricerca di un orizzonte che non poteva scorgere.
Asgard...” chiamò in un sussurro, simile al soffio di vento che muove le fronde dei pini centenari nei boschi più grandi.
“Non mi ha mai deluso.”


























[Jotunheim]

"Sì, sono tornato."
"Ciao Bruce..."

ebbene sì signori, non sono morta, non mi sono ritirata e non ho deciso di fondermi con il mio alter ego verde e parecchio irascibile. so che questo non è il sequel di "Progetto Gemelli Medusa" e spero possiate perdonarmi se la sto tirando un po' per le lunghe, ma per fare le cose bene bisogna avere la giusta ispirazione, altrimenti scriverei delle vere schifezze.
perciò ora vi propongo qualcosa nato mesi fa e abbandonato nelle mie bozze di wattpad da tempo immemore, prima di essere rispolverato, rielaborato e terminato.

spero che questa storia possa piacervi e vi invito a commentare con i vostri pareri e le vostre idee, perché la parte che preferisco nel pubblicare qui su wattpad è proprio leggere tutto ciò che mi scrivete, i vostri pensieri e le eventuali battute, gli insulti ai personaggi (a volte anche a me) e i sospiri di sollievo.

perciò spero vi possa piacere e spero ancora una volta di essere riuscita a dare il mio massimo.

||𝐏𝐄𝐑𝐅𝐄𝐂𝐓 𝐏𝐄𝐎𝐏𝐋𝐄|| 𝘓𝘖𝘒𝘐Where stories live. Discover now