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Non era sicura che quella fosse la giusta abitazione. Aveva sentito che, in una discussione, accennava a casa sua come vicina a quella dei gemelli Teln, ma non era certa che quella davanti a sé fosse quella esatta.

Certo era che quelle vicine erano tutte agghindate, gran parte di loro nel giardino aveva pure un cartello in legno con sopra inciso il cognome degli abitanti.

Quella metà della bifamiliare era anonima. Così impersonale eppure ordinata nella sua ordinarietà.

Colpi di tosse rimbombarono all'esterno. Xenya si strinse nelle spalle e attraversò il giardino curato prima di bussare tre volte alla porta.

«Avanti, è aperto» urlò la voce all'interno, confermando l'identità dell'abitante.

Xenya spinse a palmo aperto l'uscio e le parve di essere entrata in casa propria. Stesse dimensioni, stessa tipologia di mobili e stesso senso di estraneità. Nessun soprammobile, nessun ricordo, nulla.

Altra tosse secca indicò alla fata la via verso la camera da letto e, sfiorando appena la lastra di legno, Xenya fu sorpresa di vedere proprio ciò che si aspettava.

Il vaso da notte aveva impregnato l'aria della stanza con l'olezzo acido del vomito che, accompagnato da fazzoletti e asciugamani in tessuto ricolmi di sangue e abbandonati sul pavimento, di certo non dava una piacevole visione della situazione in cui versava la persona voltata verso la direzione opposta.

«Madeline» la chiamò.

La donna si rigirò con lentezza nel letto, fronteggiando Xenya con il volto peggiore che aveva mai indossato nella sua carriera di mutaforma. Il buio che regnava sovrano, insieme all'aspetto della donna, aveva rivelato tutto.

I capelli biondi, impregnati di sudore, le cadevano sgraziati su tutto il viso cereo e scavato. L'occhio sinistro si era gonfiato e dalla narice un rivolo sanguigno iniziò a scendere, subito tamponato dalla donna con l'ausilio di un fazzoletto.

«Pensavo di averti detto qual è il mio vero nome» l'ex Direttrice parlò con voce rauca, sforzandosi poi di aprirsi in un misero sorriso che la costrinse a contenere due colpi di tosse.

«Perché non me ne hai parlato?» domandò Xenya, incrociando le braccia al petto e osservando sconsolata quel poco che rimaneva della donna perfetta apparsa sugli schermi di Palazzo della Pace.

«Se sei qui» sussurrò l'altra, controllando che l'epistassi si fosse fermata «significa che non c'era bisogno che lo dicessi. Da quanto lo sai?» chiese, abbandonando anche quello straccio sul pavimento.

«Avevo qualche sospetto. Al Cinquantatré, prima che me ne andassi, molte persone hanno sofferto sintomi dell'irradiazione.» Sospirò, iniziando a raccogliere il tessuto infetto abbandonato e buttandolo dentro il vaso da notte. Se ne sarebbe liberata una volta uscita. «Devi liberartene, o rischi di non guarire.»

Sasha sorrise amara, abbandonando il capo sul cuscino.

«Per quel che mi riguarda, potresti anche lasciare aperta la finestra e lasciare che la radiazione solare acceleri il tutto.» Chiuse gli occhi. «Sto morendo, Xenya.»

Lo stomaco le si strinse al punto da farle davvero percepire gli odori di quella stanza, al punto da farla quasi vomitare. Ma la cosa peggiore di tutte era che, nel fondo della sua psiche, la soldatessa non poteva dire di non esserselo aspettato.

Sasha Darkspire, meglio conosciuta come Madeline Foxn, stava morendo e Xenya non ne era sorpresa.

Non perché lo sapesse, ma perché sapeva sarebbe successo a qualcuno prima o poi. Tanta gente era stata seppellita al Cinquantatré per l'irradiazione. Altrettanta però era guarita o perlomeno riusciva a convivere con i problemi nati a causa di essa.

Y - La RinascitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora