- Mamma? – chiese ancora la voce, questa volta palpabile, vicina.

Sollevai lo sguardo di scatto e finalmente mi resi conto di non essere sola. Di fronte a me c’era un ragazzino sui dodici anni. Indossava un pigiama estivo bruciacchiato ed era scalzo. Era ricoperto di carbone, come se fosse passato dentro un camino acceso. I suoi capelli erano scompigliati e gli occhi brillavano mentre mi guardava, a bocca aperta. Poi abbassò lo sguardo e mise il broncio.

- Tu non sei la mia mamma – disse con quel genere di tono triste a cui non puoi resistere neanche se ti chiami Adolf Hitler.

Mi avvicinai a lui, sperando di non fargli paura mentre grondavo sangue. – No, piccolo. Mi chiamo Grid. Sai che posto è questo?

Lui scosse la testa. – Non lo so. Credo che sia il Paradiso. O l’Inferno.

Strinsi le labbra. – Anche tu sei qui da poco?

Il bambino annuì. – Come ti chiami? – gli chiesi, cercando di fare conversazione con l’unica forma di non-vita che avessi incontrato fino a quel momento.

- Edoardo – rispose, senza alzare lo sguardo.

- Perché cercavi la tua mamma? Anche lei è…

Lui annuì, tirando su col naso. – Sì. Siamo morti in un incendio. Fortunatamente la mia sorellona non era in casa, lei si è salvata. Poi è comparso il Lupo gigante e mi ha portato via.

Strinsi gli occhi, ragionando. – Anche a me. È stato il Lupo a portarmi via. E la tua mamma?

Scosse la testa e mi guardò con gli occhi lucidi. – A lei l’ha presa un Leone ancora più grande del Lupo. Abbiamo avuto tanta paura, e adesso non la trovo più.

Feci un rapido calcolo. E se quel luogo (qualunque cosa fosse) fosse diviso in tre parti, una per ogni bestia? Se fosse stato così, noi saremmo stati nella sezione del Lupo, e Capitano e la madre del bambino in quella del Leone. Per ritrovare Capitano, sarei dovuta uscire da quel posto di cui non conoscevo neanche la vastità e attraversare la zona del Leone, anche quella probabilmente altrettanto immensa. Sembrava impossibile, una missione infinita, ma si poteva fare. Mi chinai all’altezza del ragazzino e gli poggiai le mani sulle spalle.

- Senti un po’, Edo – dissi, cercando di sembrare sicura di me. – Che ne dici se andiamo a cercare la tua mamma? Credo di aver capito com’è fatto questo posto, forse ci riusciamo.

Il suo sorriso mi fece capire che, anche se era una missione quasi impossibile, ce l’avremmo fatta. – Davvero?

Annuii. – Certo.

Lui fece i salti di gioia, letteralmente, poi mi gettò le braccia al collo. – Grazie, Grid, grazie!

In quel momento mi sembrava tutto rosa e bello. Avevo un compagno di viaggio, uno scopo e l’abbozzo di un piano. Dopo quelle che pensai furono cinque ore, non mi pareva più tanto semplice. Avevamo iniziato a camminare, mano nella mano, cercando qualcosa. Qualunque cosa. Ma non avevamo trovato niente. Ora, dovete sapere che sono una che si arrende facilmente. E, vedendo quanto tempo ci stavamo impiegando a trovare chissà che cosa, avrei subito gettato la spugna, se non fosse stato che il ragazzino aveva ancora l’energia di quando eravamo partiti. Mentre marciavamo, faceva dondolare le nostre mani avanti e indietro, e il suo sorriso fiducioso non era ancora sparito. Che forza di volontà, pensai. Ero anch’io così a dodici anni? Probabilmente no. A un certo punto iniziò addirittura a fare conversazione. Mi chiese da dove venivo, con chi vivevo, quanti anni avevo (mi sorprese dicendomi che sembravo più grande della mia età) e cosa mi piaceva fare. Quando sentì che la mia vita era leggere, gli si illuminarono gli occhi.

La Scrittrice FantasmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora