Capitolo 6

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Di Lupi, Nulla e Fangirl

In genere cerco di ironizzare su ciò che mi accade. Sul serio, ci provo sempre, e ci ho provato anche quella volta. Ma quando muori per la seconda volta in pochi giorni è difficile trovare qualcosa di divertente in ciò che ti circonda. Quando ero morta per la prima volta, avevo sentito il camion venirmi addosso con tutto il suo peso. Avevo sentito l’impatto contro il freddo metallo, le ossa frantumarsi, le vene scoppiare e il sangue sgorgare. Era stata un’esperienza che non avrei mai voluto ripetere. Non so dire cosa mi sconvolse di più: l’essere stata investita in quel modo o l’essere divorata dal Lupo gigante. In quel momento, al cimitero, con la certezza che Capitano fosse sparito nel nulla lasciandomi sola, era stato tutto cento volte più doloroso. Le zanne del Lupo non erano eteree, come in realtà sembravano, e io ero meno fantasma di quanto pensassi. Avevo sentito chiaramente i denti penetrarmi nella carne e distruggermi ossa e budella, senza distinzione. Ma anche quella era stata una cosa veloce. Prima un concentrato di dolore e sofferenza, poi il nulla più assoluto. E per nulla, non intendo uno spazio senza fine o un buco nero. Intendo nulla. Non so se fossi finita concretamente in un posto, non sentivo niente. Né il mio corpo, fisico o spirituale, né ciò che mi circondava. Se c’era, qualcosa che mi circondava. Tutto era incolore, immateriale. Non sapevo se fossi sospesa da qualche parte o se avessi i piedi poggiati sul terreno. Tutti i sensi erano confusi, cancellati. Non c’era tempo, non c’era spazio, in quel non-luogo. Perché se quello non era un non-luogo, allora cos’era? Non riuscii a dargli altro nome. L’unica cosa che sentivo erano i miei pensieri. Chiassosi, insistenti.

Dove sono?

Cos’è successo?

Capitano, ci sei anche tu?

Mamma?

Fu una tortura infinita, che passai a riflettere, a farmi domande, a risolverle. Dov’ero? Da nessuna parte. Cos’era successo? Nulla. E Capitano? Non esisteva. E la mamma? Neanche. Tutto era una negazione. Tutto era morto. Tutto era nulla.

Il momento di depressione, torpore e ripensamenti sembrava non passare mai. Fui sommersa dai ricordi e dalle emozioni di quando ero viva. I miei compleanni, i litigi con le amiche, la morte della mamma. Perché vivere se poi finiva tutto così? Se poi finiva tutto nel nulla? Decisi di immaginarmi Capitano accanto a me, per tenermi compagnia, per rispondere alle mie domande, ma non ci riuscii. Tentai di vederlo dove non c’era, in genere riuscivo bene a viaggiare con la fantasia, ma il nulla assorbiva anche quella. Il nulla assorbiva tutto… finché non sentii un suono. Un suono vero, niente più silenzio. Era debole, quasi inesistente, ma c’era. Era una voce.

- Mamma? – diceva. – Mamma, dove sei?

Cercai di creare un luogo in  quel nulla, un luogo dove potessi trovare questo bambino, dove potessi capire di chi era quella voce e dove si trovava il proprietario. Non ci riuscii. Il nulla divorava la mia fantasia.

- Mamma? – chiese ancora la voce, flebile.

Provai a rispondere. – Dove sei? Dimmi dove sei.

Non sapevo se parlai davvero, se dalle mie labbra era uscito alcun suono. Non sapevo neanche se ce le avevo, le labbra per parlare. Non sentivo niente. Ma la voce rispose.

- Mamma, sono qui! – disse, e sembrava un po’ più vicina.

In quel momento, feci il più grande sforzo di pensiero di tutta la mia vita e non vita. Immaginai di avere un corpo e un terreno sotto i piedi con tutta la mia forza, immaginai il cuore che batteva e che pompava il sangue nelle vene, i muscoli mettersi in moto, gli occhi aprirsi. E finalmente il non-luogo sparì. Tutto divenne bianco. Sempre nulla, pensai, ma almeno era un colore. Almeno era qualcosa. Il bianco era infinito in tutte le direzioni, anche il pavimento era bianco, liscio e perfetto. Avrei potuto trovarmi in una scatola oppure in un pianeta, non avrei saputo dare dei confini a quel luogo. Ma almeno avevo un corpo, ero qualcosa. Indossavo ancora gli abiti di quando ero morta e riuscivo a vedermi i piedi. Ero ricoperta di sangue dalla testa ai piedi come se il camion mi avesse appena investita e probabilmente avevo un aspetto orribile, ma non sentivo dolore. Poggiai una mano sul cuore. Niente. Bene, pensai, da fantasma a zombie. Di male in peggio, insomma.

La Scrittrice FantasmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora