Test

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Un sopracciglio sottile si sollevò sul viso di lei, ma non ripose.

Charlie sospirò, esasperato.

«Non sono in combutta con Grindelwald! Perché mi trovo qui?»

Fu l'uomo a rispondere: «Perché sei stato trovato in un luogo dove avrebbe dovuto esserci lui. Del mago oscuro non c'era traccia alcuna, ma c'eri tu.»

Charlie lo fulminò ed esclamò: «Scusate se esisto!»

L'uomo serrò le labbra, ma non commentò e subito dopo dei passi risuonarono all'esterno della cella: la giovane donna era tornata.

«Nessun Charles Owens è segnato negli archivi, sia nella sezione Esseri che in quella Animali.» Disse questa ai due, che si scambiarono un'occhiata.

La donna sospirò e annuì. «Bene Goldstein. Lasceremo la questione a chi si occupa di questo.»

Con un colpo di bacchetta di lei, la porta si aprì.

I due uscirono e quando la porta della cella si richiuse, Charlie domandò: «Posso tornare a casa, quindi?»

Le due però lo ignorarono e solo l'uomo rimase a guardarlo dall'altra parte delle sbarre.

«No.» Rispose, «Prima dobbiamo sapere se ciò che dici è vero.»

Il rumore dei passi delle due era sparito e Charlie si ritrovò a guardare l'uomo, che continuò: «Ovviamente, è vero. Un mago oscuro e potente come Grindelwald dubito che si alleerebbe ad un ragazzino licantropo, per giunta no-mag.»

Charlie non fece in tempo a ribattere, che l'altro se ne andò, allontanandosi dalla cella, lasciandolo a fissare con odio le sbarre e il muro di pietra dietro queste.

Il giovane licantropo rimase rinchiuso per un tempo che non seppe quantificare. Non sapeva proprio a che cosa dare la priorità e i suoi pensieri oscillavano tra la preoccupazione di essere stato fatto prigioniero dal MACUSA oppure la preoccupazione di cosa sarebbe successo quando sarebbe tornato a casa. Era certo che Noah lo avrebbe come minimo ucciso.

Si alzò dal materasso e squadrò la catena a cui era legato, che era stata fissata al muro grazie alla magia. Iniziò a camminare per la sua cella: avanti e indietro, dal misero letto alla parete di sbarre, a cui scoprì non poteva avvicinarsi fino a toccarla, la catena sembrava irrigidirsi di colpo e il ragazzo non poteva avanzare nemmeno di un altro passo.

Cambiò il suo percorso: da destra a sinistra e viceversa.

Ogni tanto lanciava occhiate alle sbarre, sperando nell'arrivo di qualcuno che lo liberasse. Il suo udito era all'erta, ma solo dei deboli suoni gli arrivavano da lontano. Il ragazzo sbuffò: perché lo tenevano lì?

All'improvviso, quasi saltò quando sentì il suono di passi e voci. Erano in due, constatò.

Finalmente, i passi raggiunsero la cella e due uomini comparvero davanti alle sbarre.

«Charles Owens, dobbiamo registrarti in quanto Lupo Mannaro.» Disse uno, il più alto dei due.

Charlie scrollò le spalle, come a dire che potevano fare quello che gli pareva.

«Quando e dove sei nato?»

«Il venticinque Ottobre, del 1911. A Seattle.»

«I tuoi genitori sono entrambi licantropi?»

«Lo erano.» Rispose il ragazzo.

«Sono morti?»

«Mia madre, sì. Mio padre non lo so.»

Mentre l'uomo più alto faceva le domande, l'altro osservava e, in mezzo a loro, un foglio volteggiava a mezz'aria e una penna scriveva, facendo tutto da soli.

«Sei nato licantropo da una coppia di licantropi. Sai gestire le tue trasformazioni, quindi?»

«Sì.»

L'uomo alto annuì, poi disse: «Ora dobbiamo entrare, spostati al muro di lato.»

Charlie, con un sospiro di rassegnazione, si mise nel punto indicato dall'uomo, al muro.

«Girati.»

Il ragazzo strinse i pugni, ma obbedì, voltandosi con la faccia al muro.

Sentì la porta aprirsi e richiudersi.

«Bene, ora faremo dei semplici test. Puoi girarti.»

Ancora una volta, Charlie obbedì.

«Test? Quali test?» Domandò, mentre notava che l'altro uomo aveva una borsa di pelle in mano.

«Nulla di preoccupante.» Fu l'altro a rispondere, ma Charlie tenne d'occhio il tizio con la borsa.

«Togli la giacca e la camicia.»

Il ragazzo sgranò gli occhi ed esclamò: «Che cosa?!»

Il volto dell'uomo divenne una maschera dura e ripeté: «Togli la camicia, ragazzo.»

Dalle labbra di Charlie fuoriuscì un verso di esasperazione, poi imprecò e iniziò a togliersi la giacca sgualcita e la camicia.

L'altro aveva estratto dalla borsa degli strani congegni, che avvicinò al torso nudo del giovane licantropo, che si irrigidì ma non si scostò. Con un colpo di bacchetta, l'uomo alto fece comparire dal nulla un'altra pergamena e una penna d'oca, che si misero a fianco delle prime. Il suo collega, invece, stava dando veloci colpetti a quegli strani aggeggi attaccati ora alla pelle di Charlie. Sembrava stessero facendo delle valutazioni sulla salute fisica del ragazzo.

«I valori sono nella norma. Sta bene, dovrebbe mangiare di più.» Disse l'uomo più basso all'altro, che annuì.

Così, i congegni furono rimessi nella borsa ed entrambe la pergamene con le rispettive penne svanirono nel nulla.

«Puoi rivestirti.»

Il ragazzo obbedì.

«Il tuo umore cambia all'avvicinarsi del plenilunio?»

«Sì.»

«Come ti senti?»

Il ragazzo digrignò i denti: odiava quei due e il loro modo di fare.

«Mi sento di merda!» Esclamò.

I due non sembrarono essere rimasti sconvolti e l'uomo alto disse: «Beh, è normale. Tipico in quel periodo per voi.»

Si allontanarono e, prima di uscire gli ordinarono di rimettersi nuovamente con la faccia al muro. Poi, il ragazzo sentì la porta aprirsi e chiudersi alle sua spalle e quindi si voltò.

«Abbiamo avvisato il tuo branco della tua presenza qui, Noah Bryson è il capo giusto? Appena sarai libero di andare, qualcuno di loro verrà a prenderti.»

Charlie non rispose e i due si allontanarono senza aggiungere altro.

Sì, si sentiva decisamente di merda. 



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