Capitolo 43

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Non era facile concentrarsi su qualcosa che non fosse la fine. Non in quel momento.

Eppure con tutte le mie forze sentivo che era l'unica cosa che potevo fare.

Dovevo distrarla.

Sento la sua stretta nella mia mente. Continua a leggermi nel pensiero, anticipando ogni mia mossa. Era come combattere contro uno specchio: lei mi prevedeva nel riflesso del mio pensiero.

Non avrei mai vinto e la magia non mi avrebbe salvato, non questa volta. A meno che non avessi tentato di coglierla di sorpresa.

La pietra è sempre stato l'elemento più ostile, il cocciuto e difficile da comandare e sto scommettendo tutto sul suo aiuto.

Immagino qualcosa di positivo, per evitare che Malia capisca cosa sta accadendo alle sue spalle. O almeno che cosa dovrebbe accadere. Non posso saperlo, dal momento che ho gli occhi completamente chiusi.

Percepisco il vento muoversi. Qualche elemento che mi ha scagliato contro, si avvicina a me. Alla mia faccia. Mi creo ancora una volta un riparo con la terra e sento il mio controllo sulla pietra oscillare.

Malia ride ancora, dandomi dell'ostinata e proclamando la mia morte.

Lo sforzo mi fa sentire un sapore aspro in bocca. Non ho mai controllato più incantesimi in una volta. La duna che mi faceva da scudo si sbriciola. La pietra riprende a seguire il mio richiamo.

Un mattone nero si stacca dal suo castello, poi un altro e un altro ancora.

Ma non ci do peso. Le lancio contro un'ondata di vento. Troppo debole, che lei piega a metà con estrema facilità. 

I miei muscoli sussultano.

Malia non si accorge di nulla. O almeno lo spero. Spero che lei sia troppo presa dalla mia mente e che non abbia intenzione di voltarsi verso il suo palazzo. Ma è una speranza trattenuta, come un grido di chi ha la bocca secca e perso la voce.

«I tuoi amici sono morti» mi dice con tono avvelenato «Dovresti raggiungerli visto che è tutta colpa tua. Li hai abbandonati come cani sul ciglio della strada. Poi pensi che sia io la cattiva della storia».

Deglutisco e schiudo leggermente le palpebre, soltanto per vederla sfocata sotto una piccola curva di luce. Poi le richiudo immediatamente per evitare di osservare per sbaglio il mio incantesimo dietro di lei e farmi scoprire.

«Beh... Non mi hai detto nulla di carino. Eppure siamo sorelle» ribatto, cercando di non farmi intimorire.

Lei mente. Sta mentendo. Deve per forza essere così.

«Dovrei accoglierti e farmi pugnalare? E poi io non sono tua sorella. Questo corpo è solo un contenitore». Sento che sta sorridendo beffarda. «Chi è dalla parte del torto adesso?».

«Sempre tu» rispondo convinta. «Visto che vuoi sottomettere il mondo ai tuoi piedi».

«Ora basta» inveisce arrabbiata.

«Esatto, ora basta» convengo con lei.

Chiudo i pugni, proprio come se avessi appena afferrato una maniglia e poi li tiro verso di me, li porto al mio petto.

Lo schiocco mi fa aprire gli occhi di scatto. I mattoni volano verso la mia direzione. Pesanti e scuri come ombre. Veloci come i proiettili dei pirati.

Ma prima di raggiungermi dovrebbero colpire Malia.

Lei se ne accorge solo in quel momento. Quando guarda il riflesso nelle mie iridi e nella mi mente. Lo stupore dipinge il suo viso da bambina facendo apparire più vecchio.

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