Capitolo 20

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«Di che stai parlando?» domanda Derrin a Kalen, dimostrandosi visibilmente preoccupato per me.

«È una lunga storia» rispondo io, massaggiandomi le tempie, dopo aver appoggiato il pugnale al capezzale delle mie ginocchia premute sul legno.

Noto che Derrin sta squadrando Kalen dall'alto al basso e sono convinta che questa ostilità non porterà a nulla di buono.

«Aspetta un momento... Tu sei quel ragazzo che la inseguiva a Landa» lo riconosce, provocando una mia incontrollata alzata di spalle.

«Oh una riunione di famiglia. Certo che siete bizzarri» commenta Asso, rimasto in disparte. Si era seduto con la schiena appoggiata al modesto albero maestro dell'imbarcazione. Se non fosse stata per quella vela, la barca avrebbe avuto l'aspetto di una zattera rettangolare con lo scafo a forma di mezzaluna rovesciata.

Asso stava sbocconcellando il pezzo di salsiccia affumicata che aveva rubato dalla dispensa dell'Aurea. Tranquillo e imperturbabile come se assistesse ad una rappresentazione teatrale.

«Un punto per volta, per favore» suggerisce Kalen, portandosi la mano alla fronte. Ha ancora la camicia strappata, come se fosse caduto in mezzo ad una pianta di rovi. E ogni volta che lo guardo non riesco a non provare un'insieme di emozioni negative che variano dalla tristezza alla compassione.

«Cominciamo dalla maledizione allora» risponde Derrin, stringendo il timone fino a farsi sbiancare le nocche. Sembra arrabbiato e non lo avevo ancora mai visto così teso, aspettandosi che succeda qualcosa da un momento all'altro.

«Io sono maledetto, da... Da quando ho memoria» comincia a raccontare Kalen, dopo aver annuito. «Divento fortissimo, ma non capisco chi sono e credo che tutti vogliano farmi del male. Finisco per far del male, senza rendermene conto e senza volerlo. Quando la rabbia finisce, i sensi di colpa tornano a darmi il conto di ciò che ho fatto». La sua voce nasconde un'immensa malinconia, riesco a percepirla stringergli il cuore in una morsa violenta e farlo appassire lentamente come il veleno di un serpente. Adesso ho la certezza che ho fatto la scelta giusta a ridargli il pugnale.

«E il maleficio delle sirene? Hai anche quello?» domando, interrompendolo, sperando sia sufficiente a portare il dialogo da una parte meno dolorosa per lui.

«Dio, per fortuna no. Ho saputo che i malefici intaccano difficilmente chi ha una maledizione. Ed è effettivamente così».

«La tua forza però ti è servita a scappare» cerco di trovare una nota positiva in lui, ricordando le sbarre della sua cella aperte. Quel passaggio che gli ha permesso di liberarsi dalla prigionia.

«Sì» sussurra triste, come se non bastasse a tirarlo su di morale.

«Ma cosa c'entra con Lainnyr?» insiste Derrin.

«Anche lei ha la maledizione, ma in una misura molto lieve» gli risponde Kalen, per poi guardarmi. Nei suoi occhi c'è una traccia di dispiacere. Che si sentisse almeno un po' in colpa di avermi passato la maledizione?

«Quindi vi conoscete?» pone un'altra domanda sempre più confuso, con l'aria di chi si sente preso in giro.

«No» rispondo io, dando la spiegazione più ovvia, sperando di calmare Derrin. «Siamo solo compagni di sventura».

«Non mi è ancora chiara una cosa. Se sei pericoloso come dici, perché non ti hanno imprigionato da qualche parte?».

«Lo hanno fatto» risponde di nuovo Kalen con calma. Sospira come se dare quelle spiegazioni gli costasse un'enorme fatica. «Mi tenevano indebolito. Lei sa come. Se non sono totalmente cosciente la maledizione non si manifesta. Però Domina mi ha aiutato a scappare, perché rimanere costretto nel dormiveglia non è vivere. Loro, la ciurma di Barbarouge, volevano abbandonarmi in un posto sperduto a morire, ma poi avevano paura che potessi cavarmela e raccontare dove si trova la loro tana. Per vendetta personale. Ma non ti preoccupare. Con questo pugnale la maledizione è sotto controllo». Si accarezza l'arma tenuta in un fodero al suo fianco sinistro e ora ha occhi solo per lei. La tratta come una parte consistente del suo corpo, come se fosse un arto. Un tesoro finalmente ritrovato. 

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