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Aveva morbide onde bionde che le ricadevano sul volto niveo, come quei marmorei volti cerei e lucidi; impassibili ed eterni, che portano fieri ricordi di un passato che mai vivremo. Non avevo mai visto quella figura prima di allora, e si stava incamminando verso di me: lentamente saliva la breve rampa che l'avrebbe portata al mio corpo stremato, ma i suoi piedi, nascosti dalla lunga tunica, non emettevano alcun suono, nel calpestare i gradini; e la sua tunica non strusciava né sembrava piegarsi ogni volta che le sue ginocchia – se sotto l'abito le possedeva davvero! – si flettevano per sollevarne il corpo sul gradino successivo. Era come se fosse d'aria anche lei, leggera, silenziosa, bianca e quasi incorporea. E questo non faceva che ravvivare il mio terrore.

Il cuore riprese il suo frenetico movimento nel mio petto, come un prigioniero chiuso in una cella in fiamme, che scuote disperatamente le sbarre che lo trattengono, urlando di liberarlo; come se anche il mio stesso organo vitale volesse abbandonare questa dimora sull'orlo del collasso.

Il sangue scorreva con foga nelle mie vene: lo sentivo pulsare alla testa, che ancora doleva, e frusciare nelle orecchie. Un caldo fiotto gocciolò copioso dalla fronte, nascondendo per un attimo la mia vista dietro un manto rosso. Il mio corpo era come una nave in mezzo ad una tempesta: uomini che correvano in ogni angolo cercando riparo o tentando di salvare il possibile; alberi maestro spezzati, squarci, e vele stracciate e spazzate via dal vento.

A quel punto desideravo alzarmi, scappare, urlare, ma appena tentai di muovermi, la forza venne meno, e ricaddi in preda alle vertigini e ai conati di vomito, incapace di vincere l'incredibile lotta che rappresentava, in quel momento per me, un qualsiasi movimento.

Stavo affondando, la tempesta mi spingeva giù.

Presto avrei conosciuto i mostri celati negli oscuri fondali.

I miei pensieri erano tanti, confusi: un caleidoscopio di voci, suoni, immagini e possibilità.

La fanciulla stava raggiungendo il pianerottolo sul quale giacevo.

Avevo il terrore che un mio grido avrebbe attratto lo sguardo apparentemente distratto di quell'essere, quindi stringevo i denti e lasciavo la mia mandibola fremere e tremare, senza assecondare le sue richieste.

La fanciulla aveva già superato la rampa.

Riuscivo a vedere il suo volto latteo e luminoso, come la porcellana.

La ragazza dal viso di porcellana ma dalla consistenza dell'aria era a pochi passi da me.

Io mi morsi le labbra per trattenere un grido o un singhiozzo.

Sperai che fosse solo un'ombra; che non potesse sentirmi: una parata della morte che avrebbe attraversato la mia carne, lasciando solo un transitorio torpore glaciale.

Ma ahimè, la fanciulla non scivolò via come un soffio di vento.

Voltò per la prima volta i suoi occhi verso di me, era a pochi decimetri di distanza e riuscii a cogliere l'orrore che aleggiava nelle sue innaturali orbite.

Aveva l'intero bulbo oculare nero; un nero così fitto e profondo da non riflettere nemmeno un tenue luccicore.

Non dimenticherò mai quegli occhi - se occhi erano! Due porte spalancate verso chissà quale abisso di oblio e perdizione!

Ma quella vista fu niente in confronto a ciò che avrei visto a breve.

Che pietà provo adesso per quella povera anima innocente che fui!

A pochi centimetri da me, la creatura si inginocchiò, emettendo un agghiacciante scrocchio misto all'umido suono dello schizzo di un denso e melmoso fluido. L'immagine di un osso che si spezzava, scagliando alcune schegge, pervase la mia mente; conquistandola. Il suono penetrò la mia carne, e sembrava rimbombare nelle mie cavità, percuotendo le mie ossa, come se tentasse di frantumarle davvero.

Mi lasciai sfuggire un gemito e una lacrima intrisa di sangue; del mio sangue.

Presi un respiro, ma l'aria era impregnata dell'inteso odore ferroso di quel fluido che una volta tratteneva la nostra anima.

Non potrò dimenticare mai gli attimi successivi a quello.

La creatura si accorse del mio gemito, e rispose al mio profondo disagio.

Mosse i sui connotati: all'inizio in un sorriso, poi le sue labbra di si aprirono, e ne uscì una risata.

Il suono della sua risata era limpido, giovanile. Anche il suo corpo ebbe gli spasmi tipici di una risata. Ma mentre dalla sua gola usciva una risata umana, il suo viso sembrava corrompersi, deteriorarsi: il suo viso bianco e traslucido cominciava ad ingrigirsi, e ad ogni movimento del viso, ogni contrazione dei muscoli facciali la sua pelle si crepava. La sua risata continuava a fuoriuscire come una cascata che rovina al suolo, e lei sembrava non sentire il suo volto sfaldarsi come cemento, frantumarsi come vetro.

Io lo sentivo; e mi sembra di sentirlo ancora, l'incrinarsi della sua pelle!

Il suo viso avvizziva ma lei rideva senza accorgersi del danno che provocava.

Era sull'orlo della rottura, e io avevo il terrore di cosa si potesse celare dietro i cocci raggrinziti del suo viso!

Alla fine non riuscii più a trattenere il mio terrore e mi lasciai dominare da un urlo.     

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La RisataWhere stories live. Discover now