Capitolo 2: Di lacrime e di polvere

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Quel giorno pioveva. Lo scrosciare dell'acqua accompagnava il silenzio che si era formato fra me ed il ragazzo.

La pioggia aveva da sempre avuto un buon ascendente su di me: mi rilassava. Quale serata sarebbe mai potuta essere migliore di letto, pioggia ed un bel libro di poesie? La pensava diversamente Layla, la mia compagna di stanza all'Accademia. Non l'avrei esattamente definita mia amica, ma era la persona che più si potesse avvicinare a tale concetto nel mio caso. Lei la odiava, la pioggia, diceva la mettesse di malumore. Ogni volta mi raccontava di come si sentisse a disagio nell'udire i tuoni e vedere i fulmini. Forse perché il cielo plumbeo le rovinava il colore dei capelli, facendolo sembrare grigiastro, o forse semplicemente perché non era un tipo da grigio ma da rosa sfavillante. Chissà cosa starà facendo adesso...

Fui destata dai miei ricordi da un ticchettio metallico. Bastian si era infilato una lunga sigaretta fra le labbra piene ed estratto dalla tasca dei pantaloni un accendino.

– Non si fuma qua. – sbottai acida indicando l'uscita.

Lui mi guardò si sottecchi. Abbassò il piccolo dispositivo rivestito da metallo argenteo e mise la sigaretta dietro l'orecchio. Per un istante mi sembrò un pittore con il pennello sistemato in quella stessa maniera pronto a studiare l'oggetto della sua futura opera: me. Scacciai immediatamente quella visione dalla mia mente e lo fissai a mia volta.

– Bastian, quindi. Quale sarebbe il tuo cognome? – chiesi poggiando le spalle alla parete opposta dell'abitacolo rispetto a dove si era seduto, aveva appoggiato la pistola sulle gambe lunghe incrociate, fasciate dal bianco resistente della tenuta. Io abbassai le mani. – Poi potresti mettere da parte quella dannata cosa? Mi mette ansia. – asserii indicando con un cenno del capo l'arma che il ragazzo mi aveva prima puntato contro con la mano sinistra. Mancino. Pensai. Ora so che braccio dovrei spezzargli.

– Oh! – sospirò lui come se l'avesse notato solo in quell'istante. Reinserì la sicura e l'appoggiò elegantemente a terra, a fianco alla mia che giaceva come un vecchio giocattolo rotto. Dalla finestrella il lampo di un fulmine gli illuminò il viso in maniera tetra. Le sue pupille si restrinsero per l'improvvisa luce, per poi dilatarsi nuovamente quando l'illuminazione tornò quella per cui ci eravamo abituati. – Gravestone. Bastian Gravestone. – si presentò.

– Gravestone? Che cognome tombale! – scherzai io alzando le braccia al cielo. Lui mi guardò malefico.

Certo che se un'occhiata avesse potuto uccidere, sarei già morta!

– Non farmi quello sguardo truce dai! Ok, era una battuta squallida, lo so. – continuai facendo spallucce, distogliendo gli occhi dai suoi.

– Non sono qui per giocare, Lena Landon. 

Divenni più seria.

– Su allora, dimmi per quale motivo sei qui, caro il mio cagnolino dell'alleanza. Non si tratterà di certo di una visita di cortesia nei confronti di un'orfana il cui padre è stato rovinato dall'Allenaza del Sole. Mi sbaglio? E cosa sei diventato in questi due anni dopo il diploma? – chiesi muovendomi verso di lui fino così da guardarlo dall'alto verso il basso; essendo lui seduto compostamente sulla poltrona ed io in piedi. Alzò gli occhi osservandomi con disprezzo. – Caporale? – continuai stringendogli con forza la medaglietta appesa al petto tanto da farmi sbiancare le nocche.

– Anche mio padre era caporale. 

Bastian si alzò di scatto, la piastrina mi scivolò di mano graffiandomi il palmo. Diritto, mi sovrastava di tutta una testa. Lo guardai un attimo prima di indietreggiare allarmata.

StarlenaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant