Capitolo Ventinove

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Oggi è il 5 Marzo. Ad una settimana di congedo dall'ospedale mi sono ripresa quasi completamente. Non sono ancora tranquilla, non finchè Patrick vigila per la città. Sto da mia madre. Ultima settimana qui a San Francisco. Mi sento quasi felice.

Shane e Kelly sono tornati in Europa. La nonna sta ancora male e non potevano proprio fermarsi e poi Shane e Will sono tornati insieme e si sa che l'amore vince sempre su tutto. Non proprio sempre, ma il concetto è quello.

Per andare al tribunale indosso una gonna nera e una camicetta a righe verdi. Metto i tacchi, mi faccio una coda alta e mi trucco pesante. Deve vedere con chi ha a che fare.

Dico a mamma di sbrigarsi e usciamo di casa una mezz'oretta prima dell'incontro con il giudice. Passo da un panificio prima e prendo dei cornetti per fare colazione.

Arriviamo in tribunale e l'ansia mi mangia. Così, sana per come sono.

Un brivido mi attraversa da piede a testa e cerco di stare calma.

Salgo le scale velocemente e mi accomodo in un grande stanzone pieno di sedie e roba da giudici. Mi sembra di stare in un film, in uno di quei gialli spaventosi da farti tremare tutta.

Ci sono in media quaranta persona in sala. Tra cui sei donne tutte una di fianco all'altro che mi guardano con fare consolatore. Quasi mi compatissero. Sorrido loro in modo distaccato e freddo e mi giro verso la porta principale.

Lo vedo entrare con un viso da angelo che marchierei volentieri con un bello schiaffo. Cerca di intimidirmi con lo sguardo ma tengo duro. É accompagnato da due agenti di polizia e davanti a lui entra il giudice.

Durante il processo mi fanno moltissime domande, rispondo ad ognuna con assoluta sincerità e noto il suo sguardo fisso su di me. Prima arrabbiato. Poi triste.

Lo sfido con gli occhi. E sussurro con le labbra "sei finito. addio stronzetto" .

Sei anni di galera per violenza e tentato omicidio. E tre per trauma morale e fisico.

Mi sento come un enorme peso che si scioglie dal petto quando il giudice pronuncia quelle parole.

Resto sbalordita nel sentire la testimonianza di altre tre donne che denunciavano le sue aggressioni. Che porco.

Mi fanno tutti un grande applauso per il coraggio dimostrato e mi sento grata ai servizi della polizia per avermi aiutata quel maledetto giorno difficile da dimenticare.

Guardo per l'ultima volta quell'uomo che mi ha fatto così tanto male. Mi avvicino a lui e lo fisso dritto negli occhi.

«A mai piú, Mr. Dirley.»

Prendo la borsa dal banco dov'ero seduta e esco.

E pensare che ti amavoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora