VI

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Tornò a Londra all'inizio di febbraio.

Era nevicato qualche altro paio di volte ma, anche se Emma si era persa i fiocchi, il bianco candido la accolse ancora per qualche giorno.

La riaccolse la città che amava, la riaccolse il suo appartamento a Notting Hill, la riaccolse il gatto, la riaccolse il Royal College of Art, la riaccolse il cielo grigio, il caffè di Starbucks.

Ma non la riaccolse il ragazzo della panchina, il ragazzo che le aveva chiesto della sua musica, il ragazzo dai capelli scuri e ricci e gli occhi di quel colore che si formava sulla tavoletta di Emma quando iniziava a mischiare il verde con il marrone chiaro.

Era passato un mese dall'ultima volta che lo aveva visto, ma Emma continuava a pensarci.

Ed il 10 arrivò e ripartì per due settimane, senza di lui.

Forse è tornato in America, si diceva Emma ogni mattina mentre fissava la panchina vuota.

Ma un giorno lo trovò ancora, sempre in quella bellissima Londra.

Stava passeggiando lungo il Tamigi, Emma, nella sponda con i grattacieli.

Non amava particolarmente quella parte di Londra, forse perché non c'era niente che la legasse davvero lì, ma amava fare quella strada sull'ora del tramonto, quando il cielo diventava rosa.

Emma pensava che il tramonto visto dalle sponde del Tamigi fosse la cosa più bella da vedere prima di tornare a casa.

Sì fermò poco prima del Tower Bridge, e rimase immobile finché anche l'ultimo raggio non sprofondò nel fiume.

Poi attraversò il ponte, fino alla sponda opposta, e continuò ad avanzare. Si sentiva già più felice, dopo quella vista.

Si sentiva così fortunata di vivere a Londra, di pronunciare il suo nome, quando la gente le chiedeva dove abitasse.

La pedonale era illuminata dalle forti luci dei lampioni, e le mani di Emma erano affondate nelle tasche del suo cappotto, per mantenersi calde.

Poi i suoi occhi caddero oltre l'entrata di un pub.

Emma si bloccò immediatamente, senza spostare lo sguardo, senza battere palpebra.

Lo vide, lì, oltre la porta di vetro, dietro il bancone, mentre porgeva due boccali di birra ad una coppia di uomini.

I capelli erano un po' più lunghi, ma non toccavano ancora le spalle.

Emma avanzò verso il pub, poi entrò. Fissò qualche altro secondo il ragazzo, poi avanzò verso di lui.

«Un hamburger» disse, attirando la sua attenzione.

Il moro si voltò e sorrise appena incontrò lo sguardo di Emma.

«La ragazza di Capital Radio» osservò, «Oh, tu» fece finta di essere sorpresa lei.

«Lavori qui? »

«No, sono dietro il bancone per rubare i liquori» gli sorrise lui, lei si sentì un po' cretina.

«Volevi qualcosa?» gli chiese poi il ragazzo, Emma si sedette su uno degli sgabelli vuoti davanti a lui.

«Un hamburger» disse, «Ed una coca cola» aggiunse.

Lui scarabocchiò qualche parola su un pezzo di carta e poi lo porse ad un altro cameriere: quest'ultimo scomparì nella cucina.

Emma fissò attentamente la maglia bianca del ragazzo, per cercare il cartellino con il nome, ma non c'era.

«E' di Primark» disse lui attirando l'attenzione di Emma sul suo viso. Lei lo osservò perplessa.

«La maglia, è di Primark» ripeté.

Emma fissò il bancone, per smettere di focalizzarsi su di lui.

«Non sei inglese» disse il ragazzo, la sua era un'affermazione.

«Neanche tu lo sei» disse lei alzando ancora lo sguardo, anche la sua era un'affermazione.

«Devo ancora perfezionare il mio accento londinese» pensò ad alta voce. «Sei italiana, giusto?» disse poi, «Ho preso qualche lezione di italiano» aggiunse.

«Giusto» disse Emma, «E tu sei americano». Il ragazzo annuì.

Una piccola coda si era formata davanti al bancone, ma lui lasciò che la gente migrasse verso l'altro cameriere.

Un uomo di mezza età porse un piatto al ragazzo dai ricci scuri, lui lo poggiò davanti ad Emma.

«Non hai la targhetta con il nome» disse la ragazza, «Come ti chiami?» chiese.

«Timothée» rispose lui.

«Timothée?» ripeté Emma.

«Mio padre era francese» spiegò.

Timothée, era quello il nome che Emma aveva cercato di indovinare, che Emma moriva dalla voglia di scoprire.

Non era né Jonathan né Simon. Ma era appropriato alla sua figura, esprimeva bene la curva con cui le sue ciocche si arricciavano ed il miscuglio di marrone e verde che colorava i suoi occhi.

Era perfetto per lui.

«E su sei...»

«Emma»

«Emma» ripeté lui, poi sorrise.

«Non hai più preso l'autobus» osservò lei.

Sentiva di poter dire qualsiasi cosa, in quel momento, come se lo conoscesse da sempre.

«La mia auto è stata riparata» disse Timothée.

Il ragazzo rimase a parlare con Emma finché il pub non iniziò a spegnere le luci. Non aveva lavorato per niente quella sera, si era solo seduto davanti a lei, dall'altra parte del bancone, la aveva ascoltata, poi aveva parlato lui.

Non vuole recuperare niente del suo passato, si disse Emma, vuole solo il presente.

Non vuole recuperare niente del suo passato, si disse Timothée, vuole solo dimenticarlo.

La aveva riaccompagnata a casa, alla fine di quella sera.

«Grazie» disse Emma.

«Buonanotte» le disse lui.

E ad Emma quella notte sembrò davvero buona, quando si distese sul suo letto.

Torna a casa || Timothée ChalametWhere stories live. Discover now